“Non posso vivere senza questa signora che ammiro come fosse un grand’uomo e amico più fedele e più rispettato. Ella comprende Newton; ella ha in odio la superstizione, in una parola, mi fa felice”. (Voltaire)
Se vogliamo ricordare il Settecento, e in particolare il “Secolo dei lumi”, ci vengono subito alla mente tutte le più grandi menti di quel periodo che hanno apportato un grande balzo verso la modernità… Ma sono tutte maschili! Ci fu, invece, una donna che brillò nella prima metà del ‘700, per la propria intelligenza e cultura, tanto da superare molti dei suoi contemporanei, che è stata purtroppo ricordata dalla storia solo come l’amante di… Questa donna è Émile du Châtelet.
Gabrielle Émile Le Tonnelier de Breteuil nacque a Parigi nel 1706, sotto il regno di Luigi XIV, da un’illustre famiglia aristocratica, dedita alla cultura e al sapere. Émile non deluse le aspettative della sua famiglia e studiò il latino, l’italiano, l’inglese, la matematica, la letteratura, il teatro e, cosa non comune per una donna, addirittura si occupò di politica.
“Innamorata delle scienze fisiche e delle teorie di Leibniz e di Newton, le studiava con un rigore tale da fare arrossire gli altri intellettuali”.
Émile, oltre alla cultura e all’intelligenza univa anche fascino e bella presenza tale da essere molto amata e molto corteggiata. Nel 1725 andò in sposa ad un aristocratico, Louis Marie Florent du Châtelet (1727 -1793), un marito molto accomodante per lo spirito libero nella mente e nel corpo di Èmile, che non perse occasioni di avere relazioni extraconiugali. Questo fino all’incontro con Voltaire nel 1733. Francoise-Marie Arouet (1694 -1778) era in quel periodo già popolarissimo e affermato, “uno degli esponenti di punta del movimento dei philosophes“, lui era un quarantenne ambizioso, lei una donna della brillante societá. E così divennero subito amanti.
Ma, diversamente da altri amanti, Voltaire fu il primo a riconoscere nella persona di Émile una posizione non inferiore alla sua, sia sul piano intellettuale che su quello sessuale. Nel castello di Cirey (appartenente al marito), gli amanti discutevano davanti a una tazza di caffè, mangiavano e poi si dedicavano ai loro studi, cenavano e leggevano poesie.
Come una scienziata moderna Émile dormiva poco “si costringeva a rimanere sveglia immergendo le mani in acqua gelida“. Lavoravano insieme e anzi fu proprio la presenza della fascinosa donna che Voltaire apprese i principi della fisica, “lui le leggeva ad alta voce quel che aveva scritto ogni giorno e accoglieva volentieri le sue critiche e i suoi suggerimenti“.
Il loro fu un vero sodalizio lavorativo, ma anche Émile non trascurava il suo di talento, componendo ottime analisi sulla Bibbia e sul suo amato Newton, tanto da essere nominata, anni dopo, membro dell’Accademia delle Scienze di Bologna.
Anche dal punto di vista sessuale, i due erano una coppia molto aperta; Voltaire troppo cagionevole di salute per essere un vero amatore, accettava quindi (a volte con qualche rimostranza) le numerose relazioni a cui la sua donna si abbandonava, specialmente con altri poeti. Nel 1746 conobbe la sua più grande passione, Jean-Francoise de Saint-Lambert (1761-1803), giovane poeta di corte, di cui si innamorò follemente. Saint-Lambert, esperto libertino, accondiscese a questa passione, anche perché poteva in questo modo far ingelosire la sua precedente amante, la marchesa di Boufflers.
Émile si ritrovò con orrore incinta a quarantaquattro anni (un’età molto pericolosa per l’epoca), Voltaire le rimase accanto sino all’ultimo; Émile sapeva che non sarebbe sopravvissuta al parto, ma nonostante ciò continuò la sua vita da studiosa.
Purtroppo morì pochi giorni dopo il parto, nel 1749… aveva da poco ultimato i suoi commenti sui “Principia” di Newton. Di lei ci rimane, oltre alle sue opere filosofiche, un bellissimo saggio “Discorso sulla Felicità“rivolto specialmente alle donne, “Nel quale tentò di dare una definizione chiara e precisa della felicità e di suggerire come una donna possa raggiungerla”.
“Amare ciò che si ha, saperne gioire, godere dei privilegi del proprio stato, non invidiare coloro che ci sembrano più felici di noi, applicarsi per perfezionare noi stessi e per ricavare i maggiori vantaggi dai nostri comportamenti, è tutto quello che chiamo felicità”
paola chirico