
Nacque il 2 giugno 1913 a Owestry, nello Shropshire, una contea al confine con il Galles. Il padre era avvocato e la madre di origine alto-borghese, e fu proprio lei a spronarla a scrivere, fin dai suoi dieci anni. Barbara studiò a Liverpool e si laureò in Lingua e Letteratura inglese a Oxford nel 1934. Durante la guerra prestò servizio all’Ufficio censura di Bristol e nelle fila del Wrens (Women’s royal naval service). Al termine del conflitto trovò lavoro come ricercatrice all’Istituto internazionale di cultura africana, a Londra, e redattrice della rivista “Africa”.
Da tutte le esperienze trasse ispirazione per i suoi romanzi, il primo pubblicato fu Some Tame Gazelle, nel 1950 (Qualcuno da amare, La Tartaruga, 1994). Seguirono Excellent Women(1952), Jane and Prudence (1953), Less than Angels (1955), A glass of Blessing (1958), poi, inspiegabilmente, il suo editore Jonathan Cape, e come lui molti altri, si rifiutò di pubblicare An Unsuitable Attachment, uscito postumo nel 1982, come anche An Accademic Question, nel 1986.
Erano gli anni Sessanta e la sua prosa, priva di ribellismo e passioni forti, ritenuta anacronistica per quei tempi, non attraeva più. Per l’autrice cominciò un lungo silenzio, un vero e proprio oblio, in cui, nonostante l’amarezza, continuò a scrivere e a dedicarsi al suo lavoro londinese, fino alla pensione, che arrivò nel 1974, allorché decise di andare a vivere, con la sorella Hilary e gli amati gatti, a Barn Cottage, nel villaggio di Finstock, Oxfordshire.

Ma cosa le veniva rimproverato? Barbara Pym scriveva di amenità come camere d’affitto in edifici condivisi, ristrettezze normali del dopoguerra, pesche di beneficienza, lavoro e rapporti tra colleghe e colleghi, traslochi, garden party in quartieri non completamente ricostruiti, cura dei fiori in chiesa, razionamento del cibo, infinite tazze di tè offerte, ricevute e desiderate.
Poco importanti le trame, che vedevano in azione pensionati, impiegate, bibliotecarie, antropologi, curati anglicani da sposare, tipi e tipe eccentriche, persone non particolarmente belle, eppure affascinanti, donne incuranti del loro aspetto, che magari indossavano vestiti smessi da altre, molto attive in parrocchia.
Scriveva di zitelle sicure di sé, quando ancora la parola single non le designava, che sapevano vivere senza un uomo, un amore, dignitosamente sole, o che anelavano ad affetti pacati con uomini apparentemente noiosi e coltivavano molti interessi, attive nella comunità accademica, o in campagna, o in parrocchia. Insomma “donne eccellenti”, come il titolo del suo più celebre romanzo (La Tartaruga, 1985, il primo tradotto in italiano).
Raccontava una vita apparentemente tranquilla che nascondeva nevrosi e rimpianti, sublimati nella devozione, o nell’impegno personale, nelle buone maniere o nel pettegolezzo appena accennato. Un mondo molto british dove non scoppia la tragedia e la quotidianità, semplicemente banale, è pur sempre un’opportunità di vita.