Mese: Maggio 2018

Miriam Mafai, un’intellettuale con la sete di sapere!

 

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Come donne ”nessuno ci ha regalato niente”

Ci sono persone che, quando ci lasciano, scavano un solco profondo nella nostra anima, perché perdiamo con loro un punto di riferimento costante ed ineludibile della nostra esistenza.

Miriam Mafai è una di queste: protagonista e guida esemplare che si è prodigata, con passione e coraggio, in innumerevoli battaglie politiche, civili e sociali in difesa delle donne. Non mi piace fare di lei una sorta di stucchevole “amarcord“, ma piuttosto di ricordarla come donna impegnata sul fronte politico e giornalistico che ha raccontato la storia dell’Italia e delle donne attraverso ciò che i suoi occhi hanno visto.

La sua particolare e costante attenzione al mondo femminile e alle sue problematiche credo sia stata facilitata e avvantaggiata, prima di tutto, dalla sua condizione  di madre. A differenza, infatti, di tante donne che hanno vissuto o vivono la conquista della loro libertà come una vicenda privata, lei non ha mai smarrito il legame profondo che la univa alle altre donne. Non ha mai smesso di pensare e di agire nella consapevolezza che la sua libertà non fosse autentica, sincera se non condivisa da tutte.

E questa era la molla che la spingeva a confrontarsi con le femministe, sempre pronta a cogliere e denunciare violenze e soprusi sulle donne, a condividere tutte le battaglie per una effettiva parità.

Miriam ha respirato cultura sin dalla sua nascita, a Firenze, il 6 febbraio del 1926. Suo padre era il noto pittore Mario Mafai e la madre la scultrice Maria Raphael. Ha vissuto sulla propria pelle il fascismo, le leggi razziali (era ebrea da parte di madre) e si è avvicinata alla politica diventando attivista e militante del Partito Comunista Italiano. Dopo l’8 settembre1943 ha partecipato alla Resistenza antifascista a Roma e ha lavorato presso l’ufficio stampa del ministero dell’Italia occupata.

Terminata la guerra aveva sposato il segretario della Federazione aquilana del partito comunista Umberto Scalia dandogli due figli e separandosi successivamente. Alla fine degli anni Cinquanta decollava, invece, la sua carriera giornalistica: inviata a Parigi come corrispondente del settimanale “Vite Nuove”; nel 1960 redattrice parlamentare dell’organo del PC l'”Unità”: dal 1965 al 1970 direttrice di “Noi Donne”. Inviata speciale di “Paese Sera” ha contribuito alla nascita di “La Repubblica” diventandone editorialista.

Successivamente, dal 1983 al 1985, ha presieduto la Federazione della Stampa Italiana. Senza dubbio il giornalismo è stato una delle sue grandi passioni che sembrava anteporre all’amore per Giancarlo Pajetta, il ragazzo rosso, uomo difficile e fuori dal comune. Il loro legame, durato trent’anni grazie anche al carattere mite di Miriam, è da annoverare tra quelli di maggiore rispetto nelle differenze di un Partito che non lasciava spazio all’iniziativa femminile. Un’unione considerata scandalosa nel partito stesso: “Dalle donne comuniste si pretendeva un rigore morale” racconterà la giornalista.

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Sempre instancabile e curiosa la Mafai ha dedicato molto spazio anche all’attività saggistica che annovera tra le sue opere scritti di notevole spessore letterario e politico. Tra le sue opere “Pane Nero. Donne e vita quotidiana nella seconda guerra mondiale” una biografia collettiva al femminile del nostro paese; “Botteghe oscure, addio”, “Come eravamo comunisti”, “Dimenticare Berlinguer”. Non mancano articoli sul terrorismo, la responsabilità della sinistra, le stagioni delle stragi e poi le grandi inchieste: dalla legge sul divorzio alla 194, alla fecondazione assistita, alla laicità dello Stato. Temi scottanti ma trattati sempre con lucida e attenta analisi.

È proprio per la sua intensa attività come cronista, femminista militante e acuta osservatrice che vinse il “Premio Montanelli” nel 2005 per lo sviluppo della cultura italiana del Novecento, con particolare attenzione al mondo delle donne. E a tal proposito, in varie occasioni, ha sempre incoraggiato le giovani donne a uscire dai modelli stereotipati che i media diffondevano.

L’immagine di una donna che utilizza solo la sua bellezza per fare carriera non corrisponde alla realtà, perchè ci sono donne che lavorano, che raggiungono posti di responsabilità in vari settori… occorre crederci, per non demoralizzarsi e non pensare che ci si debba piegare dinanzi alla disoccupazione, al sacrificio, alla condizione subalterna. “Alle giovani dico sempre di non abbassare la guardia, non si sa mai. Le conquiste delle donne sono ancora troppo recenti”: questo il messaggio che ci ha lasciato Miriam, spentasi a Roma il 9 aprile 2012.

@paola

 

Tanto assurdo e fugace…

 

frida_kahlo_pNon rinnego la mia natura, non rinnego le mie scelte, comunque la si guardi sono stata fortunata nella vita. Molte volte nel dolore si trovano i piaceri più profondi, le verità più complesse, la felicità più vera. Tanto assurdo e fugace è il nostro passaggio per questo mondo, che l’unica cosa che mi rasserena è la consapevolezza di essere stata autentica, di essere la persona più somigliante a me stessa che avrei potuto immaginare.

No reniego de mi naturaleza, no reniego de mis elecciones, de todos modos he sido una afortunada. Muchas veces en el dolor se encuentran los placeres más profundos, las verdades más complejas, la felicidad mas certera. Tan absurdo y fugaz es nuestro paso por el mundo, que solo me deja tranquila el saber que he sido auténtica, que he logrado ser lo mas parecido a mi misma que he podido.

Frida Kahlo


Riuscire ad accettarsi per quello che si è, con i pregi e i difetti, con le aspettative che non sempre vanno a buon fine, con l’ego che a volte è forte e luminoso e altre è buio e vacillante, non è semplice. L’emotività sempre sul filo del collasso, l’empatia che aiuta e distrugge se orientata male, i sensi di colpa che non sai neanche perché li hai, l’ idea che credi gli altri abbiano di te e che spesso non corrisponde alla tua. Riuscire ad accettarsi veramente nella nostra meravigliosa e terrificante unicità è un lavoro che richiede tempo e pazienza. A volte essere unici somiglia drammaticamente a essere soli.

paola

Dora Maar: fotografa di talento, e non solo musa di Picasso!

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Dora e Picasso si incontrano nel 1936, lei ha 25 anni, lui di anni ne ha 54. Henriette Theodora Markovich (1907-1997) è arrivata da poco a Parigi da Buenos Aires, dove ha vissuto per anni, con la famiglia, padre architetto croato e madre francese. Lei è intelligente, colta, dotata di curiosità intellettuale ed è impegnata nel sociale. È indipendente e anticonformista e dopo gli studi artistici tra lezioni di fotografia e pittura sceglierà la fotografia.

A questa professione si dedicherà con il nome d’arte Dora Maar. In pochi anni diventa una fotografa famosa e di grande talento. Si occupa di fotografie pubblicitarie e di moda utilizzando tecniche diverse: tagli prospettici e deformazioni, doppie esposizioni e collages, il tutto inframmezzato con immagini in cui ritrae angoli di città e scene di strada degradate con mendicanti e povertà e questa sarà sempre la sua personale e continua ricerca. Con fotomontaggi utilizza i personaggi delle foto di strada inserendoli in architetture ribaltate da rotazioni e deformate in camera oscura. “Le sue fotografie mi ricordano le tele di De Chirico”, diceva Picasso alla sua nuova amante Francoise Gilot  parlando delle fotografie di Dora.

Dopo l’incontro nel caffè dei Deux-Magots, Dora sarà per sette anni compagna e musa ispiratrice di Picasso e vittima del suo genio creativo. Insieme passano un’estate intensa e felice, che si prolunga con un periodo molto ricco artisticamente. Picasso inizia Guernica e Dora è al suo fianco, solo lei può fotografarlo. Lo fa di continuo: lo riprende solo, mentre lavora, mentre sta con gli amici. La giovane fotografa tutte le fasi della lavorazione e della realizzazione di Guernica facendone un diario fotografico unico che costituisce ancora oggi un dossier famoso e molto prezioso.

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Per Picasso, le donne si dividevano in due categorie, «dee e pezze da piedi», e godeva sommamente a farle precipitare da una categoria all’altra. «Sei troppo alta, troppo bella, troppo libera», la rimproverava, imbarazzato dalla sua statura. Per indebolirla, la convinse ad abbandonare la fotografia per la pittura, dove lui dominava indiscutibilmente il campo. Le critiche distruttive dell’artista erano quotidiane: “… tanti segni per non dire niente”, la derideva senza pietà. Il loro rapporto è sempre più tormentato e Dora arriva a dire: “ …solo io so quello che lui è …è uno strumento di morte …non è un uomo, è una malattia”.

Tra loro è arrivata infatti nel frattempo una nuova e giovane amante, Francoise Gilot, che esibisce in pubblico la sua gravidanza. La resistenza di Dora si spegne a poco a poco inghiottita dalla depressione che la conduce al ricovero in una clinica psichiatrica e agli elettroschok, poi la psicoanalisi con Jacques Lacan che le promette la guarigione. “ Tutti pensavano che mi sarei uccisa dopo il suo abbandono. Anche Picasso se lo aspettava. Il motivo principale per non farlo fu di privarlo della soddisfazione”.

Dopo due anni di analisi Dora ritrova il proprio equilibrio e con esso la forza di riprendere in mano la propria vita. Quattro anni dopo la morte di Picasso, Marie-Thérèse si impiccò. Tredici anni dopo Jacqueline, l’ultima compagna, si sparò alla tempia.

Dora sopravvisse a Picasso, chiusa nel suo appartamento tra le opere dell’amato, che si era divertito a dipingere sulle pareti una serie di insetti. Riassumendo il loro legame, aveva detto: “Io non sono stata l’amante di Picasso. Lui era soltanto il mio padrone”. È già anziana, aveva settant’anni, quando si riavvicina alla fotografia utilizzando materiali sempre diversi . In quegli anni di solitudine le è vicino, come accompagnatore (e sarà poi il suo unico biografo) James Lord, il soldato americano omosessuale già amico di Picasso.

Muore comunque sola nel 1997 senza eredi: nel ricovero in cui è ospitata le suore che l’accudiscono non sanno neppure chi sia. Il patrimonio, di valore inestimabile, va all’asta. Nella sua casa di Parigi, sigillata da anni, tutto parla d’arte: persino le crepe nel muro sono state trasformate, con tratti di matita, in serpenti e ragni, le scatole di fiammiferi in piccoli fauni. Centinaia di schizzi sono assiepati nei cassetti, ovunque, anche bozzetti e prove per Guernica.  Straordinari, e tutti con la faccia di Dora, la donna senza la quale oggi il più celebre dipinto di Picasso, Guernica, neppure esisterebbe.

Pablo Picasso - Guernica, 1937Pablo Picasso – “Guernica”, 1937 Parigi