Mese: marzo 2021

Stai zitta, e perché?

Le parole sono importanti. 

Le parole contro le donne hanno il potere di costruire muri per innalzare prigioni, di ferire sensibilità, di istigare alla violenza, di creare stereotipi in cui ingabbiarle. 

Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più (Torino, Einaudi) di Michela Murgia analizza le frasi presenti nel nostro vissuto quotidiano e che abbiamo, più o meno, sentito rivolgerci. 

È un libro di piacevole e scorrevole lettura che, per chi si occupa da tempo di queste tematiche, può apparire scontato ma un “ripasso veloce e sintetico” fa sempre bene a tutte. Per chi invece è ai primi approcci o per le giovani generazioni, questo libro ha un grande pregio: conoscenza, analisi, riflessione e acquisizione di consapevolezza. E non è poco. 

Nella seconda di copertina è ben riassunto lo scopo del lavoro: «Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti, dalle notizie… per ogni dislivello di diritti che le donne subiscono a causa del maschilismo esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica…» 

C’è un profondo legame tra la discriminazione di genere e le parole che ci vengono rivolte. Frasi fatte e ripetute e spesso amplificate dai media o dai social che ci piombano addosso. 

Quelle di noi che hanno già una corazza riescono a schivare i colpi, per le altre, quelle parole diventano pietre… Pietre pesanti. 

Per le donne, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, potersi esprimere è sempre stata una libertà ostacolata, spesso ridicolizzata se non addirittura punita. Già, perché una donna che parla è sempre considerata un po’ “sovversiva”. 

La prima frase analizzata è proprio quella che dà il titolo al libro: “Stai zitta”. Lo dicono quasi sempre gli uomini infastiditi, a volte anche inconsciamente, dall’idea che una donna possa avere un’opinione e osare contrapporla alla loro. 

Recentemente abbiamo assistito alle prese di posizioni di alcune donne famose su tematiche spinose nel nostro Paese. Le reazioni sono state sotto gli occhi di tutte e di tutti: “Sei cantante e dici la tua sui migranti? Continua a cantare e stai zitta. Sei scrittrice e fai un commento su come il governo gestisce l’emergenza pandemica? Scrivi i tuoi libri e per il resto stai zitta. Fai l’attrice e rilasci una dichiarazione sulle scelte collettive per fermare il cambiamento climatico? Era molto meglio quando facevi i film e stavi zitta”. 

Voci di donne giovani: galline 
Voci di donne anziane: cornacchie.

Un’altra frase che ci sentiamo spesso dire quando reclamiamo più presenza femminile nei posti apicali è quella: «Ormai siete dappertutto». E appena ribattiamo che non è vero e che la statistica lo conferma, ecco altre parole, altre frasi: «È offensivo coinvolgere le donne solo in quanto donne» oppure «Contano le idee e non chi le porta», o ancora «Non ci sono nomi di donne prestigiosi come quelli degli uomini». Tutti ciechi di fronte al dislivello di presenza e di rappresentanza.  

Giornata della Poesia 2021, diamo voce anche ai poeti!

Due poesie brasiliane per celebrare la Giornata Mondiale della Poesia, stabilita dall’UNESCO nel 1999 e quindi giunta alla sua ventiduesima celebrazione. Ho scelto testi metapoetici: quello brevissimo ma pregno di significati di José Paulo Paes e i versi di rivendicazione dell’orgoglio poetico di Manoel de Barros.

José Paulo Paes

ALIBI

Se i poeti non cantassero
cosa avrebbero i filosofi da spiegare?

(da La poesia è morta ma giuro che non sono stato io, 1988)

Manoel De Barros

LA POESIA È CUSTODITA NELLE PAROLE

La poesia è custodita nelle parole –
è tutto ciò che so.
Il mio destino è non capire quasi nulla.
Sul nulla ho conoscenze profonde.
Non coltivo connessioni con il reale.
Per me potente non è chi scopre l’oro.
Potente per me è chi scopre cose insignificanti:
del mondo e nostre.
Per questa piccola frase mi hanno eletto imbecille.
Mi sono emozionato e ho pianto.
Ho un debole per gli elogi.

(da Trattato generale delle grandezze del trascurabile, 2001)


José Paulo Paes (Taquaritinga, 22 luglio 1926 — San Paolo, 9 ottobre 1998), poeta, traduttore, critico letterario e saggista brasiliano. Modernista della Generazione del’45, e precisamente dei “Novissimos”, si dedicò anche alla “poesia concreta”, avanguardista e visuale, che struttura il testo poetico a partire dal suo supporto.


Manoel Wenceslau Leite de Barros (Cuiabá, 19 dicembre 1916 – Campo Grande, 13 novembre 2014), poeta brasiliano. Modernista, ma vicino alle avanguardie europee di inizio secolo e al primitivismo: i suoi testi spaziano nella natura del “pantanal” alla ricerca delle piccole cose, del “nulla da raccontare”.

@paola

Storia di Vivienne Westwood, una donna con una missione che va oltre la moda.

Il mondo è pieno di stilisti che hanno creato qualcosa, una collezione, una rivisitazione di un culto, di uno stile, ma c’è solo un grande marchio britannico, amato, controverso, famoso per aver raccolto intorno a sé un genere musicale, quello del punk. Stiamo parlando di un brand che per tutto il mondo è più di una semplice visione di stile, è l’incarnazione della moda britannica, è l’emblema per chi vuole distinguersi dalla folla e parlare davvero di qualcosa. E la donna dietro questa etichetta è la più ribelle e anticonformista delle passerelle: la regina del punk, Vivienne Westwood.

A cinque anni realizzava scarpe, a dodici creava i suoi abiti e adesso, a 80 anni, portati alla grande, gira in bici per Londra e vuole (ancora) salvare il mondo. Sapeva di essere dotata di un’intelligenza fuori dal comune, una mente creativa, brillante. Sono queste le persone che possono davvero fare la differenza, soprattutto in tempi non proprio rosei come i nostri. Parlare di chi, come lei, ha creato il proprio impero dal nulla, è confortante.

Probabilmente questo aspetto avrà spinto la giovane regista, Lorna Tuckerex modella che prova una stima fortissima per la Westwood, a voler girare un documentario su di lei.

Il film si intitola Westwood. Punk, icona, attivista ed è uscito al cinema lo scorso anno in Gran Bretagna, nelle sale italiane il 20 febbraio, in occasione della settimana della moda.

Non aspettatevi “solo” una pellicola sulla moda: la vita e la carriera della Westwood vengono ripercorse enfatizzando tutti i momenti salienti, mostrandola così com’è, una vera e propria self-made woman, incline ad annoiarsi presto di mode e persone, sempre alla costante ricerca del cambiamento e dell’evoluzione. Ribelle davvero e non per strategia, ogni cosa che ha fatto è fedele ai suoi principi, non si è mai tradita, a costo di andare contro la sua stessa azienda.

Il lavoro per realizzare il docu-film è durato circa quattro anni, in cui la regista ha seguito la famosa designer in giro per il mondo, da dietro le quinte delle sfilate, alla creazione delle sue incredibili collezioni, passando da un “mare” di stoffa, ai ghiacci del Circolo Polare Artico, per combattere contro i cambiamenti climatici. Ma prima dell’icona e dell’attivista, come nasce il fenomeno dietro la donna più punk del Regno Unito?

Vi siete mai chiesti cosa vuol dire essere punk? È un modo di vedere la vita, è incoraggiare la propria libertà di espressione, la libertà di essere se stessi senza temere il giudizio degli altri. È tutto ciò che va contro l’immobilità sociale e del pensiero, e andare oltre le mode del momento e le convenzione sociali che ci etichettano o ci impongono cosa fare e chi essere è ciò che la società si aspetta da noi. È un grido puro e semplice di vita, di libertà in un mondo che ci vuole in silenzio. E la nostra Vivienne ci insegna questo da anni. E allora “Fallo punk!”.

Nata in Inghilterra, nel Derbyshire nel 1941, si trasferisce a Londra, dove  studia moda e oreficeria, ma lascia presto l’università, trova lavoro e studia per diventare insegnante. Si sposa con Derek Westwood, da cui prende il cognome, realizzando da sola il vestito per la cerimonia. Comincia a creare dei gioielli, che poi vende sulle bancarelle di Portobello Road. La mattina lavora, la notte crea i suoi abiti sul tavolo della cucina, ma le soddisfazioni sembrano non arrivare mai. Nessuno la prende sul serio. Ma la sua passione e la sua grinta non accettano rifiuti, si lascia alle spalle un divorzio e una vita da insegnante di scuola elementare, per seguire i suoi sogni. Ha praticamente creato la sua moda dal niente.

Tutto cambia con l’incontro di Malcolm McLaren, futuro manager dei Sex Pistols. I due, prima soci in affari e poi amanti, nel 1971, aprono il loro primo negozio d’abbigliamento, Let it Rock, al 430 di King’s Road di Londra. Il negozio si è reinventato più volte nel corso degli anni, seguendo l’evoluzione stilistica di Vivienne: nel 1972 Too fast to live too young to die, nel 1974 Sex. Durante questo periodo, il negozio era un punto di riferimento per gli amanti del rock. Il nome definitivo era, ed è tutt’ora,  World’s End. 

La giovane coppia ha ideato un revival stilistico della musica rockabilly e uno spiccato interesse per la moda Teddy boy, inventando un nuovo modo di vestire fatto di magliette stracciate con stampe provocatorie, reggiseni in bella vista, borchie, spille e look stravaganti, enfatizzati da colori forti, a partire dai capelli, tinti, spettinati all’insù e con grandi creste. Un successo tra i giovani londinesi. I due ragazzi non passano di certo inosservati. Le aspirazioni rivoluzionarie di Vivienne si riversano nella moda, un ambiente in cui può esprimere liberamente la sua riluttanza verso la società chiusa e immobile dell’Inghilterra di quegli anni.