Mese: gennaio 2016

Con Dacia Maraini… Donne mie

donne[1]

Donne mie illudenti e illuse che frequentate le università liberali,
imparate latino, greco, storia, matematica, filosofia;
nessuno però vi insegna ad essere orgogliose, sicure, feroci, impavide.
A che vi serve la storia se vi insegna che il soggetto
unto e bisunto dall’olio di Dio è l’uomo
e la donna è l’oggetto passivo di tutti
i tempi? A che vi serve il latino e il greco
se poi piantate tutto in asso per andare
a servire quell’unico marito adorato
che ha bisogno di voi come di una mamma?

Donne mie impaurite di apparire poco
femminili, subendo le minacce ricattatorie
dei vostri uomini, donne che rifuggite
da ogni rivendicazione per fiacchezza
di cuore e stoltezza ereditaria e bontà
candida e onesta. Preferirei morire
piuttosto che chiedere a voce alta i vostri
diritti calpestati mille volte sotto le scarpe.

Donne mie che siete pigre, angosciate, impaurite
sappiate che se volete diventare persone
e non oggetti, dovete fare subito una guerra
dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini, ma
contro voi stesse che vi cavate gli occhi
con le dita per non vedere le ingiustizie
che vi fanno. Una guerra grandiosa contro chi
vi considera delle nemiche, delle rivali,
degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria
tutti i giorni senza neanche saperlo,
contro chi vi tradisce senza volerlo,
contro l’idolo donna che vi guarda seducente
da una cornice di rose sfatte ogni mattina
e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,
scintillanti di collane, ma prive di braccia,
di gambe, di bocca, di cuore, possedendo per bagaglio
solo un amore teso, lungo, abbacinato e doveroso
(il dovere di amare ti fa odiare l’amore, lo so)
un’ amore senza scelte, istintivo e brutale.

Da questo amore appiccicoso e celeste dobbiamo uscire
donne mie, stringendoci fra noi per solidarietà
di intenti, libere infine di essere noi
intere, forti, sicure, donne senza paura.

dacia-maraini[1]

Dacia Maraini

Giornata della Memoria

Ricordare, fare memoria, tenere viva la storia.

Perché farlo ancora?

Non solo per evitare che l’oblio cada sui fatti di allora, ma che le ragioni che resero quel mare banale non ci sfuggano mai.

Ricordarci che ognuno é un uomo… a questo serve fare memoria!

Storia fa rima con Memoria, e la Storia siamo noi!

391303_4871211271976_21558954_n[1]

 

La storia di Ada in “Lezione di piano”

Lezioni-di-piano-orizzontale.jpg
Lezioni di piano” un film del 1993 che rimane, a distanza di tempo, un “cult” dove passione e complicità fanno da sfondo rendendolo sempre attuale.
Siamo nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Ada, una donna vedova con una figlia è muta dall’età di sei anni, lascia la Scozia, per andarsi a sposare in Nuova Zelanda: il matrimonio è avvenuto per procura e non conosce lo sposo. Nel viaggio porterà, oltre alla figlia di nove anni, la sua dote e un pianoforte; la musica è infatti la sua più grande passione.
Purtroppo far arrivare il pianoforte dalla spiaggia dove sbarcano alla nuova casa di Ada è pressoché impossibile: il marito si rifiuta anche solo di provare. Un vicino di casa, europeo, ma che vive secondo le usanze Maori, capisce l’importanza del pianoforte per la donna, lo recupera, lo acquista e si propone di prendere delle lezioni di piano proprio da Ada.
In realtà il desiderio di quest’uomo per questa donna e quello di lei per il suo pianoforte li renderanno complici in una trattativa che da amanti e li unirà poi per tutta la vita.
E’ la trama del film “Lezioni di piano”  a cui fanno da sfondo magnifici scenari di terre vergini e lussureggianti. Il pianoforte unisce le passioni di un uomo e di una donna che si insegnano vicendevolmente ciò in cui più credono: il loro amore per qualcosa di profondo che va al di là di loro stessi.
E, mentre tasto dopo tasto, Ada riconquista il suo piano lui impara a innamorarsi e lei a vivere una vita di musica che la salva da una realtà dove tutto sembra inesorabilmente affondare nel fango presente ovunque.
L’incanto si rompe quando i due amanti vengono scoperti, segnale di inizio di una vita nuova: significativa la scena in cui Ada decide di far gettare il piano nell’oceano, simbolo della sua passata esistenza.
Come sempre è la passione a farla da padrona, a dirigere menti e cuori verso destini mai pensati, a governare la vita, riempendola, e a portare musica anche nelle profondità degli abissi dove regnano solo freddo e silenzio proprio come nei cuori avidi.
Un film per riscoprire in noi le passioni più nascoste, per risentirci vivi e dal fango che spesso dobbiamo affrontare, tornare a vivere nella luce del sole parlando, suonando e amando noi stessi e gli altri.

Carol, un film dove amore e passione sono i protagonisti

Siamo nella New York del 1952. Therese (Rooney Mara) è una giovane e introversa commessa dei grandi magazzini di Mahattan, Carol (Cate Blanchett) è una donna sopraffina ed elegante che in cerca di un regalo di Natale si aggira per il centro commerciale. Le due si incontrano, prima con lo sguardo poi verbalmente. Carol decide di comprare un trenino per la figlia, dimentica i guanti sul bancone. Therese glieli fa riavere a da lì si trovano sedute davanti ad un caffè a scrutarsi.
carol2-xlargeNella vita di Carol, donna sofisticata e sicura di sé, c’è un marito dal quale vuole divorziare che la ama ancora e una splendida figlia dalla quale non si vuole separare. Nella vita di Therese c’è Richard che la vuole sposare e l’amore per la fotografia. Nessuna delle due è soddisfatta delle proprie relazioni e di ciò che la società impone di essere, nessuna delle due può veramente esprimersi ed essere se stessa se non stando assieme. E qual è l’unico modo di stare assieme? Scappare. Scappare verso ovest con un lungo viaggio in macchina che per un attimo fa dimenticare l’America della Guerra Fredda e una società che vedeva l’omosessualità come un disturbo, una malattia. Ma non solo, scapperanno anche da una famiglia e da delle istituzioni che credono che una donna che ama un’altra donna non possa allevare adeguatamente una figlia. Scappano dalla costrizione di dover rispecchiare la perfezione dei valori ipocriti di questa società.
Nonostante tutto, durante questo viaggio Therese e Carol scopriranno amore e passione, ma torneranno presto alla realtà che le attanaglia.

9920603_origTodd Haynes, regista di Carol, tratta la vicenda da prospettive diverse che vanno dal piano sociale a quello di genere: Carol che è una donna che appartiene alla borghesia, non lavora, ha il vizio del fumo e dell’alcol e vive nella sua bella villa, mentre Therese fa parte del “popolo”, è ingenua e si dedica completamente alla fotografia, il suo unico metodo di espressione. Dall’altra parte c’è la prospettiva del genere, siamo davanti ad una società patriarcale dove la donna non può scegliere e l’uomo si trova profondamente ferito nell’orgoglio nel momento in cui viene rifiutato.

Perché vedere questo film? Perché Carol viene interpretata da una Cate Blanchett che lascia senza parole. Occhi di ghiaccio, incantevole, forte, perfetta nel suo ruolo.
Non si può non notare la fotografia magistrale e i costumi che ti riportano agli anni cinquanta. Non si può non rimanere esterrefatti da una recitazione sublime.

Perché non vederlo? Perchè non c’è niente di nuovo. L’animo di Carol pervade il film lasciando totalmente in penombra il personaggio di Therese che non riesce a venir fuori.  Anche nelle scene in cui c’è l’effettiva possibilità di creare un po’ di suspense e pathos, l’occasione non viene sfruttata del tutto e questo non permette allo spettatore di venir coinvolto totalmente nella storia.

Ingiusto e molesto

Che sia violenza fisica o “soltanto” verbale, il rispetto e la libertà sono nostre fino a che qualcuno non ce li leva.

 

 

Sono stata una ragazza nel roseto…

mare-dinverno

Una poesia di Mariangela Gualtieri

Sono stata una ragazza nel roseto
una ninfa. Quasi fantasma che stava
scomparendo
sono stata una ragazza di sedici anni
distesa. Ho attraversato il deserto
rapidamente, quasi volando,
una statua di pietra del Budda
dormiente, un Budda di cenere
sono stata. Una donna appesa.
Sono stata un uomo duro e forzuto.
Una eccentrica con un pesce in bocca
e poi il bambino dell’imperatore
del giardino orientale. Un albero
forse. Un topo. Un elefante
una lepre. Sono stata campo
di battaglia e una preghiera. Un papavero.
Un intero pianeta. Forse una stella
un lago. Acqua sono stata,
questo lo so. Sono stata acqua
e vento. Una pioggia su qualcosa
che ero stata tempo addietro.
Un giuramento. Un’attesa.
La corsa della gazzella. E proiettile
sono stata, freccia perfetta scagliata,
catacomba. Un credo – un lamento.
Un bastimento fra onde altissime.
Forse anche il mare.
E dunque – di cosa dovrei avere paura
adesso.

La poesia è tratta dalla raccolta “Le giovani parole” Einaudi ed. 2015

Mariangela Gualtieri (Cesena, 1951) è una poetessa e scrittrice italiana. Ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca negli anni Ottanta. Nella sua opera, sia poetica che di teatro, ha spesso accentuato l’aspetto della “inadeguatezza della parola”.

Lea Avizedek: la pittrice delle Donne

 

Lea Avizedek è una delle pittrici che si è dedicata a ritrarre figure femminili con estro e fantasia.

Le poche notizie che si  trovano su di lei qui in Occidente dicono che sia nata a Gerusalemme da una famiglia ortodossa che da cinque generazioni vive in Israele, dedicandosi (sin da giovanissima) al disegno e alla pittura, e dimostrando un talento e un tratto che la critica ha paragonato a quello di Toulouse-Lautrec.

Combinando gesso, tempera, matita o acquarello, Lea Avizedek dà forma a donne delicate ed eteree, assolutamente irresistibili al nostro sguardo. Sono donne solitarie, pensose, intente a leggere, a riposare, o in compagnia di amiche e familiari femminili, immerse nella natura e vibranti di vita.

Ed eccone alcune, festose come fanciulle rinascimentali: è un’esplosione di colori, una Primavera gioiosa, colma di fiori e di azzurro, di vestiti color pastello e capelli sciolti.

Foto 1 M

 

Le donne di Silhouette, intente alla cura o alla raccolta di rose, tingono di rosso carminio  e di arancio tutta la scena.

Foto 2 M

 

E queste tre donne non fanno venire in mente le Brontë come le dipinse anche il fratello, con le loro crinoline e coi capelli raccolti? L’opera, d’altronde, si intitola Three sisters.

Foto 3 M

In Woman talk il modo in cui le figure femminili si piegano, si curvano, si chinano per scambiarsi confidenze fa parte del mondo femminile, di quella condivisione profonda e affettuosa di gesti, parole ed emozioni che le donne creano fra loro sin da bambine, nel circolo delle amiche del cuore e che conservano nel tempo. Quella sorta di complicità che le rende uniche.

Foto 4 M

 

E poi ci sono i  momenti di lettura, meditazione,  che per Lea Avizedek, sono invece momenti solitari. Il gruppo sparisce, e sulle tele splendono donne dallo sguardo concentrato, inesistente, o evitante lo spettatore, come accade ogni qualvolta l’anima ha bisogno di ritirarsi in se stessa, lontano da tutto e da ogni persona.

Foto  M 5

Lea Avizedek ha detto della propria pittura: “Cerco di rappresentare le donne come esseri umani pieni di calore e di amore. La mia vita entra nella mia arte. Nulla di ciò che dipingo è una bugia”.

E in questo sta la capacità di Lea … quello di rendere manifesta al mondo l’essenza più vera, gioiosa e indipendente dell’animo femminile, che affascina e parla alla parte più profonda di noi.

Giulia Drusilla:condannata all’esilio per amore.

giulia

Augusta Giulia Drusilla, unica e bellissima figlia di Cesare Ottaviano Augusto, nacque, nel 39 a.C., dal matrimonio dell’imperatore con Scribonia.

Processata, per la sua condotta di vita non propriamente esemplare, fu condannata in esilio perpetuo prima nell’isola Pandataria, l’odierna Ventotene, poi a Regium Julium, l’attuale Reggio Calabria, dove si spense, nel 14  d.C., esattamente quattro mesi e undici giorni dopo la morte del padre.

Le notizie che gli storici hanno tramandato su Giulia Drusilla sono piuttosto scarne e frammentarie, ragion per cui il suo processo, la sua condanna e il suo esilio, che già a quei tempi avevano posto molti interrogativi e lasciato inquietanti dubbi, sono ancor oggi avvolti dalla nebbia del sospetto e del mistero.

Nonostante la pesante condanna, infatti, tutti i cronisti dell’epoca concordano nell’apprezzare la generosità, la sensibilità e la gentilezza d’animo di Giulia.

Macrobio, scrittore e storico latino del IV secolo dopo Cristo riferisce che la plebe romana chiedeva a gran voce il suo perdono ”per la squisita educazione ed estrema dolcezza, che attiravano enorme simpatia”.

Ma perché allora Augusto, clemente con molti dei suoi nemici, non volle concedere il perdono a sua figlia?  Il mistero rimane irrisolto e si colora di giallo: troppe morti e circostanze sospette avvolgono questa storia. L’accusa di condotta licenziosa e immorale maturò contro Giulia in un clima di congiure e malcontenti, dietro la facciata del principato giusto e felice.

Probabilmente la colpa più grande della donna fu la passione d’amore per Iulius, figlio di Marco Antonio, il più feroce avversario di Augusto. E in base alla “lex Julia de adulteriis”, voluta proprio dall’imperatore, Giulia dovette subire prima un umiliante processo e poi la condanna all’esilio perpetuo. Non le fu consentito neanche di assistere ai funerali dei figli e del padre.

Una sorte terribile, che non aveva tenuto conto del suo breve matrimonio con Marcello, figlio della sorella di Augusto e morto giovanissimo; né dell’unione con Agrippa, l’ammiraglio di Azio, stimato collaboratore del principe, con il quale aveva avuto Caio e Lucio, adottati per la successione e periti nel fiore degli anni in circostanze sospette.

Meno di tutte le giovò l’imposizione del matrimonio con Tiberio, figlio della matrigna Livia, sempre lontano con le sue legioni, che con il suo disinteresse spalancò le porte già aperte dell’adulterio.

Bella, colta, di gusti raffinati, Giulia era una donna piena di voglia di vivere, per educazione e sensibilità pronta a recepire le avanguardie culturali, ma anche a nutrire le speranze, le passioni e la voglia di non rassegnarsi alle imposizioni e alle etichette.

Una donna libera, insomma, femminista “ante litteram”.