Mese: giugno 2018

Emozioni…

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Emozioni,

che possono

essere belle

o brutte.

Ma in entrambi

i casi ci fanno

pensare su noi

stessi.

Facendoci crescere

oppure renderci felici

ma sempre con molta

riflessione sulla

nostra vita.

Giovanna Maria Giovenale


Che cosa é un’emozione? Un’ emozione è qualcosa che altera il nostro stato abituale…. è un’onda che ci attraversa, che ci scuote dalla nostra condizione. É ciò che ci rende vivi, che ci fa intraprendere strade, che ci permette di stupirci e scoprire ogni cosa. Insomma l’emozione ci fa vivere senza dar niente per scontato. É, inoltre, il termometro della nostra anima e l’unico strumento che ci dice come e dove siamo in un preciso momento.

Un’ emozione è qualcosa che altera il nostro stato abituale…. è un’onda che ci attraversa, che ci scuote dalla nostra condizione. É ciò che ci rende vivi, che ci fa intraprendere strade, che ci permette di stupirci e scoprire ogni cosa. Insomma l’emozione ci fa vivere senza dar niente per scontato. É, inoltre, il termometro della nostra anima e l’unico strumento che ci dice come e dove siamo in un preciso momento.

paola

 

Teresa Forcades, monaca femminista e teologa queer

 

Se non avete ancora sentito parlare di Teresa Forcades è ora di rimediare. La 52enne catalana è infatti un personaggio davvero eccezionale: monaca benedettina di clausura e teologa femminista queer, è da tempo impegnata inbattaglie contro la lobby delle industrie farmaceutiche, ma anche per l’emancipazione della donna dentro e fuori la Chiesa, per la difesa dell’aborto, dei diritti civili e del mondo LGBT. Inoltre è anche una militante politica anticapitalista.

Fa vita di clausura, ma nel 2015 ha ottenuto un permesso di esclaustrazione, ovvero la possibilità di uscire dal monastero per tre anni per impegnarsi nella lotta politica per l’indipendenza della Catalogna.

Nata a Barcellona il 10 maggio 1966, dopo una specializzazione in medicina interna a Buffalo, negli Stati Uniti, e un master in teologia ad Harvard, a metà degli anni ’90 abbandona la carriera di medico per entrare nel monastero benedettino di Montserrat. Si definisce lei stessa una femminista queer:

Siamo chiamati da Dio a essere originali, siamo tutti diversi, pensateci. Una persona può davvero rientrare in una categoria prestabilita? Ecco io credo che ogni essere umano sia in questo senso “queer”.

E ancora:

“Queer” è un termine che cominciò a circolare negli anni Novanta. Può voler dire “attraversamento”, “passaggio”, “transizione”. Poi ha preso il significato di bizzarro, strano, stravagante. Quello che intendo è affrontare una teologia fuori dagli schemi precostituiti.

Professoressa di teologia e gender studies alla Università Humboldt di Berlino, ai suoi studenti parla del legame tra Dio e la parità di genere, queerness, diritti gay, medicina riproduttiva e fertilità. È cattolica e parla di queste cose da una prospettiva cattolica, ma assolutamente progressista e inclusiva:

Nella Chiesa c’è l’idea che la cosiddetta ‘teoria del gender’ sia qualcosa che deve essere combattuto. Non la si vede come qualcosa di positivo. Ma io penso che i tempi stiano cambiando. Oggi quello che dobbiamo fare come credenti e come teologi non è ignorarla, discriminarla. Forse dobbiamo sviluppare una teologia non discriminatoria verso queste diversità che esistono.

Teresa ha deciso di abitare la contraddizione, di stare dentro l’istituzione  della Chiesa, ma col coraggio di denunciare e prendere posizione in modo anche radicale, in controtendenza rispetto al pensiero dominante delle gerarchie.

Legge il Vangelo per la prima volta a 15 anni e ne rimane folgorata: in quell’occasione organizza da sola una specie di messa sotto un ulivo vicino casa, usando come croce dei pezzi di legno più grandi di lei. La famiglia la osserva dar vita alla Via Crucis da sola, tutti credono sia impazzita: “Per me invece è stato del tutto naturale, spontaneo”.

Il suo impegno politico inizia già durante gli anni del liceo, soprattutto con le lotte ecologiste. Poi arriva la laurea in medicina e inizia il dottorato negli Stati Uniti. Nello stesso tempo avverte un forte interesse per la teologia e ottiene un Master of Divinity ad Harvard (seguito da un dottorato in teologia a Barcellona).

Nel 1995torna per un breve periodo in Spagna e, prima di tornare negli Usa, decide di trascorrere alcune settimane di studio – deve preparare un importante esame per medicina – presso il monastero di San Benedetto a Montserrat, vicino Barcellona. È lì che capisce di volersi fare suora. La famiglia all’inizio non accetta di buon grado, la madre continua a ripetere: “Se si fa suora la diseredo”, ma la sua vocazione non vacilla. In ogni caso le viene proposto un periodo di attesa: la madre badessa le suggerisce di aspettare prima di terminare gli studi. Teresa termina gli studi, e torna dopo due anni, decisa a prendere i voti.

Quando parla del suo rapporto col divino Teresa lo fa in modo molto onesto:

Che significa che Dio ti chiama? Come si può non solo avere un’idea di Dio ma una vita che si orienta in modo così radicale, assoluto, a un rapporto personale con Dio, quando Lui forse neanche c’è? Come si fa? È solamente fidandosi. Nel monastero si pensa entrino donne e uomini che hanno trovato Dio, ma nel monastero invece si entra perché si desidera trovarlo.

Dopo il periodo iniziale, prima di prendere i voti, Teresa si rende conto che la vita di clausura non è così facile. La gioia è intervallata dai momenti di sconforto: dimagrisce, è sempre più pallida e triste, eppure resiste. Come le dicono le sue consorelle, “il monaco sperimenta come un cambio di pelle”.

All’inizio è stranita dal fatto che non possa pregare quando desidera farlo: il monastero tutto è ritmato dalle regole e dai rintocchi della campana. Quando è da sola nella cella e potrebbe pregare, fatica a farlo: Non si può pregare a comando, così come non si può amare a comando, dice. Ma Teresa fa una specie di scoperta: concentrandosi sul suo corpo associa le sensazioni fisiche a forme e colori (ad esempio, immagina il desiderio di pregare come una tensione quadrata e rossa nella pancia) e così riscopre la dimensione  intima e corporea della devozione, e la preghiera torna ad essere per lei una cosa viva e interessante.

Ma le difficoltà non sono finite: poiché in convento le mancano gli stimoli intellettuali, propone di diventare insegnante per le novizie. Le viene risposto che le regole del monastero non lo prevedono, al che Teresa risponde: Io vedo due possibilità: che Dio cambi me, oppure che Dio cambi voi, ovvero che cambi il monastero”Insomma propone di rendere il suo monastero più simile ai monasteri maschili: Perché non poteva essere così anche per noi suore?”.

Mentre è in convento, poco prima di prendere i voti, Teresa tra l’altro si innamora di un uomo (un medico): a quel punto si trova a un bivio e arriva a prendere in considerazione la possibilità di uscire dal monastero e condurre una vita laica. È un momento importante, in cui ha modo anche di esplorare la sessualità, dimensione negata nella vita religiosa. Ma alla fine rimane delle sue idee: diventa monaca di clausura..

Decide poi di non abbandonare la medicina: da monaca di clausura ovviamente non ha modo di seguire i pazienti, ma si dedica alla  ricerca  e alla riflessione su etica e bioetica. Nel 2006 scrive ad esempio un libro sui crimini delle grandi compagnie farmaceutiche, un lavoro che porta a termine dopo una lunga ricerca e una lunga fase di raccolta dati. La sua grande passione è la giustizia sociale: in tutti i suoi lavori Teresa applica il suo spirito critico e la sua attenzione per i meccanismi subdoli che generano sopraffazione di un gruppo su un altro, al fine di aiutare a scardinarli.

Riflette e scrive molto anche sulla perversa medicalizzazione della nostra società capitalista e sulla sessualità: ad esempio denuncia la pratica della labioplastica, un intervento chirurgico sempre più in voga che si effettua per rendere le labbra della vulva uguali. Con questo intervento le donne vengono trattate come delle Barbie, come se dovessero adattarsi a un modello ideale di donna, di corpo. E questo viene imposto loro dal mercato”.

Anche se è diventata monaca, Teresa non dimentica il suo impegno politico: a novembre del 2011 viene invitata da un piccolo partito anticapitalista catalano a fare una conferenza e, visto il grande successo, i militanti la stimolano a dar vita ad un movimento politico popolare per l’indipendenza della Catalogna.

Ispirandosi a pensatori e pensatrici, come ad esempio Hannah Arendt, Teresa ritiene importante che le persone desiderino un posto da chiamare “casa” e in cui si sentano radicate. Tutto ciò per lei è necessario per la libertà.

Oltre alle questioni mediche e politiche, Teresa è anche una pensatrice teologica, è la sua teologia queer è incentrata soprattutto su una particolare interpretazione dell’idea di Trinità. La Trinità per lei è infatti un’idea intimamente costituita dalla diversità, un dispositivo concettuale che ci fa capire che per avere autentica unità serve vera diversità.

Il pensiero trinitario è fondamentale per comprendere molti dei suoi punti di vista, come ad esempio l’uso che lei fa di un termine antico: “pericoresi”. Le persone nella Trinità, dice Teresa, stanno in un rapporto di identità per il quale, nel loro avvicinarsi e nel loro costituirsi, si “inorbitano” tra di loro (“peri” vuol dire “attorno”, mentre “coreo” deriva dal vergo verbo greco “fare spazio”).

Quando mi sento amata? Quando la persona che è accanto a me mi fa sentire che il mio spazio personale attorno a me si fa più grande. E questo non è uno spazio di distanza dall’altro, ma in cui posso trovarmi con l’altro.

Questa idea della pericoresi le permette di pensare, da teologa, che sia possibile accettare il matrimonio omosessuale come un sacramento:

Perché, ciò che c’è in Dio che anche un matrimonio può vivere, è l’amore pericoretico. Quando una coppia prova ad amarsi così, con questo amore, e richiedendo l’aiuto della Chiesa, penso che la Chiesa possa riconoscere che si tratta della testimonianza di una capacità umana che solo in Dio trova la sua realizzazione piena.

Teresa ha insomma una sua visione molto nobile del termine “queer”: “In Cristo c’è questa diversità, questa volontà di vedere in noi sempre un pezzo unico. Per questa ragione io uso la parola “queer” in teologia. Mi sembra una buona maniera per far capire cosa desidera Dio per noi”.

Del suo pensiero fa parte anche il concetto di Co-creazione con Dio, una nozione non nuova nella storia della teologia, perché già usata da Ildegarda di Bingen. La Creazione è qualcosa che Dio ha iniziato, ma che non può portare a termine senza di noi.

Fonte: Freedamedia.it

Qua qua qua

difficile cambiare il proprio stato
se come un’oca ti hanno bollato
e se poi ti spiumano ben ti sta.