Mese: gennaio 2020

Ipazia vista da uno scrittore egiziano

 

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Una cella di due metri per lato. Una fragile porta di legno sconnessa. Una tavola, con sopra tre pezze di lana e lino, e un tavolino con un calamaio e una vecchia lampada con lo stoppino logoro e la fiamma danzante. A Ipa, il monaco egiziano, non serve altro per vivere nel monastero sulla vecchia strada che collega Aleppo e Antiochia, due città la cui storia ha inizio nella notte dei tempi.  È il V secolo, un momento decisivo nella storia della Cristianità. Sono anni di violenza religiosa, di lotte e contrasti feroci, e la fede nel Cristo vuol dire scegliere una fazione, abbattere i propri nemici, e così decidere del proprio stesso destino.  Nestorio, l’abba che ha preso Ipa sotto la sua protezione, il venerabile padre con cui a Gerusalemme e Antiochia il monaco ha discusso liberamente dei libri proibiti di Plotino, Ario e degli gnostici, è nella tempesta. Nel 428 d.C. è stato ordinato Vescovo di Costantinopoli e ora, due anni dopo, è accusato di apostasia, la più terribile delle accuse, l’abbandono e il tradimento della fede nel Cristo. Il Patriarca Cirillo, l’Arcivescovo di Alessandria, ha scritto dodici anatemi contro l’«apostata», colpevole ai suoi occhi di non riconoscere che «il Cristo è Dio nella sostanza e che la Vergine è Madre di Dio». 
Che Chiesa è mai quella che scomunica un saggio dal volto radioso, un uomo santo e illuminato che ha il solo torto di ritenere assurdo che «Dio sia stato generato da una donna»? Che Chiesa è quella rappresentata dal Patriarca Cirillo, capo di una diocesi dove i cristiani al grido di «Gloria a Gesù Cristo, morte ai nemici del Signore!» hanno scorticata la pelle e lacerate le membra della filosofa Ipazia, «la maestra di tutti i tempi»? 
È un tempo infausto per il monaco Ipa, poiché a tremare non sono soltanto i pilastri della religione, ma anche quelli del suo cuore. Da quando il sole cocente della bella Marta è spuntato per lui ad Aleppo, Ipa ha conosciuto i sussulti dell’angoscia e i fremiti della passione. E gli orrori si sono impadroniti a tal punto della sua anima che gli sembra a volte di parlare con Azazel, il diavolo in persona. 
Affascinante racconto delle peripezie umane, sentimentali e religiose di un monaco, sullo sfondo degli appassionanti conflitti dottrinali tra i Padri della Chiesa e dello scontro tra i nuovi credenti e i tradizionali sostenitori del paganesimo, Azazel è una di quelle rare opere letterarie capaci di gettare uno sguardo profondo e originale sulla Cristianità e l’Occidente, e di raccontare un’epoca in cui le pagine della storia avrebbero potuto essere scritte diversamente.

 

Youssef Ziedan, nato nel 1958, è un celebre studioso prima che uno scrittore: è stato professore di filosofia islamica e sufismo e oggi dirige il Centro dei Manoscritti e il Museo della Biblioteca di Alessandria. Il romanzo in cui compare Ipazia, Azazel, vincitore del premio internazionale per il miglior romanzo in lingua araba del 2008 […]

via Ipazia vista da uno scrittore egiziano — Bambole Spettinate Diavole del Focolare

Christine de Pizan, antesignana del femminismo!

La prima femminista della storia è vissuta nel Quattrocento e si chiamava Christine de Pizan. In un’epoca in cui la donna rappresentava il simbolo del vizio e della corruzione morale, Christine de Pizan  si schierò con forza contro la misoginia e la violenza di genere immaginando una città utopica abitata esclusivamente da donne.

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“Christine de Pizan”, miniatura tratta dal manoscritto “Libro della Città delle Dame”,  1401-1500, Bibliothèque nationale de France, Parigi.

“Ahimè, mio Dio, perché non mi hai fatto nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere”: l’ironia pungente di questa frase non proviene da un saggio femminista degli anni Settanta. È tratta, invece, da un testo risalente ai primi anni del Quattrocento: a scriverla è Christine de Pizan, la prima donna scrittrice d’Europa e la prima, fra tutte, che con le sue opere ha denunciato la disparità e le violenze di genere.

Molto prima di Madame de Staël riuscì ad affermarsi nell’ambiente intellettuale dell’epoca con una scrittura e una capacità critica fuori dal comune. E secoli prima di Mary Wollestonecraft o di Simone de Beauvoir, le sue opere portarono per la prima volta alla luce le contraddizioni di una società patriarcale e profondamente misogina: Christine de Pizan fu poetessa, filosofa, editrice di se stessa e la prima scrittrice di professione di Francia, pur essendo, di fatto, nata in Italia.
Questa straordinaria donna oggi pressoché sconosciuta era giunta alla corte di Carlo V al seguito del padre, famoso e rinomato medico e astronomo. In pochissimo tempo riesce a guadagnarsi la stima dello stesso sovrano, tanto da arrivare a dirigere uno scriptorium e ad essere sempre presente in tutte le discussioni e le questioni di corte. E fu proprio qui che la sua curiosità, mista ad una vena critica di certo eccezionale, fece nascere in lei i germogli della sua riflessione filosofica “femminista”.

La donna è per natura un essere vizioso: è questa l’idea che gran parte della letteratura dell’epoca, dai romanzi fino ai saggi filosofici, difendevano. Malinconia e intemperanza erano le caratteristiche più spiccate dell’essere femminile che, per natura inferiore, per sopravvivere aveva come unica arma quella della seduzione; diffidare da loro, conquistarle, renderle affabili e mansuete e difenderle dai pericoli era l’invito che la maggior parte degli uomini di cultura facevano ai lettori.

A Christine tutto ciò non era mai piaciuto: è così, da un’aspra critica alla società cavalleresca che aveva sempre contrapposto la “dama in pericolo” al “cavaliere valoroso”, che nasce la sua opera più famosa. Da questo, e dalle sue tristi vicende biografiche.

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 “Christine de Pizan presenta il suo libro alla regina Isabella di Bavaria”, miniatura tratta dal “Libro della Regina”,  c1410-1414 circa, British Library, Londra.

Christine era rimasta vedova all’età di soli venticinque anni. Poco dopo la morte di suo marito anche il padre era venuto a mancare, lasciandola con tre figli e l’anziana madre: restare sole nella società dell’epoca voleva dire non essere più ritenute in grado di provvedere a se stesse, in quanto la vita autonoma e indipendente era considerata prerogativa esclusiva del maschio.

Il rifiuto a risposarsi o ad entrare in convento, poi, aveva attirato negli anni numerosi sospetti sulla sua natura “lussuriosa”: ma Christine non si piegò mai, e divenne con il duro lavoro la prima donna a riuscire a guadagnare autonomamente con la propria attività intellettuale e letteraria.

Christine fu anche la prima a scrivere dal punto di vista delle donne. E lo fece in un modo del tutto nuovo, componendo un’opera che non soltanto ha avuto la forza, agli albori del XV secolo, di denunciare la misoginia e le discriminazioni nei confronti della donna, ma lo ha fatto tramite un genere molto particolare. Decenni prima che Tommaso Moro o Campanella scrivessero delle loro città ideali, Christine de Pizan scriverà una vera e propria utopia tutta al femminile dal titolo “La città delle Dame”.

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“Christine riceve Dama Giustizia”, miniatura tratta dal manoscritto “Libro della Città delle Dame”, seconda metà del XV secolo, Biblioteca di Ginevra.

“Sembrano tutti parlare con la stessa bocca, tutti d’accordo nella medesima conclusione, che il comportamento delle donne è incline ad ogni tipo di vizio”: l’opera si apre con la scrittrice, mentre è nella sua stanza, intenta a scrivere.

Improvvisamente le appaiono tre bellissime dame, personificazioni di Ragione, Rettitudine e Giustizia: in un mondo costruito interamente sui pregiudizi, dicono le donne, è necessario edificare una città fortificata in cui siano le “dame” a regnare. In questa città ideale non esiste alcuna distinzione di ceto: dama, spiega Christine, è qualunque donna di spirito nobile.

Si tratta di un’opera estremamente innovativa sotto moltissimi punti di vista: Christine de Pizan è la prima a parlare di disparità culturale, di diritto all’istruzione, di violenza sessuale e di genere, in un’epoca in cui tutti i più grandi letterati dell’epoca avevano contribuito a costruire l’immagine della donna come corrotta dal vizio, dall’inettitudine e dalla debolezza fisica ed emotiva.

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Miniatura tratta dal “Libro della Regina”, 1410-1414 circa, British Library, Londra.

La scrittrice costruisce un’allegoria potentissima in cui è possibile realizzare il sogno di autonomia e libertà che lei stessa aveva difeso durante tutta la sua vita: la Bibbia e la mitologia l’aiutano in questo arduo compito, ma è l’esperienza di discriminazione vissuta e l’esempio storico di tante giovani donne che in passato avevano combattuto per la loro affermazione che dà valore alle sue riflessioni.

Aracne, Didone, Lucrezia e Semiramide compaiono quali esempi alti e indiscutibili di forza e coraggio: ognuna con la propria storia di violenza subita e taciuta, ognuna con il compito di impersonare la necessità, una volta per tutte, di cambiare il mondo.

Quello che noi donne contemporanee ci auspichiamo!

 

Ruth Handler, l’imprenditrice ebrea che inventò la Barbie!

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La storia di Barbie inizia nel 1938, quando due giovani sposi, Ruth ed Elliot Handler, vanno a vivere a Los Angeles. Le varie vicende professionali che coinvolgono la coppia portano, nel 1945, alla nascita del nome “Mattel” dove “Matt” sta per Mattson ed “el” per Elliot.

Hardol Mattson, amico di Elliot, lavora con lui nel garage di casa, trasformato in un vero e proprio laboratorio. Qui producono manufatti di legno e in seguito anche mobili per case di bambole. Ruth collabora attraverso le sue idee, avviando la Mattel verso una produzione rivolta sempre più al mondo dei giocattoli.
Vorrebbe anche iniziare a produrre le bambole. Lei aveva già in mente l’immagine “moderna” della bambola ideale: gambe lunghe, vita sottile, busto florido e tratti del volto dettagliati.
Ma, anche di fronte a tanta precisione, nessuna delle sue idee viene presa in considerazione. Nel 1956, in Svizzera, Ruth Handler vede nella vetrina di un negozio di giocattoli una bambola che corrisponde a quella da lei pensata.
La bambola in questione si chiama Lilli e misura 29,5 cm di altezza; realizzata in plastica, raffigura una donna famosa che ricorda Brigitte Bardot. Lilli ha già una sua storia e gode di un vasto successo quando viene scoperta da Ruth.
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 Original Barbie. 1959. Created by Ruth Handler,
Lilli nasce in Germania prima come personaggio di un fumetto ed era disegnata da O.M. Hausser. Rappresentava una ragazza disinvolta e birichina, poi compare sul mercato tedesco il 12 agosto del 1955, indossando un abito specifico tra i molti del suo guardaroba, ma questi abiti non vengono venduti separatamente.
Questo incontro tra Ruth e Lilli avvia definitivamente il progetto e convince la Mattel a realizzarlo. Ne acquistarono tre esemplari e, una volta tornati in America, rielaborarono la bambola per far nascere pian piano Barbie, cioè l’esatto opposto della originaria Lilli, ma comunque molto somigliante.
La Mattel decide di usare il vinile come materiale di produzione e questo la porta a trovare nel Giappone un ottimo alleato, dove risiedevano numerose industrie specializzate nella lavorazione di questo materiale.
Negli anni che vanno dal 1957 al 1964 la produzione di Barbie si espanderà da Hong Kong alla Corea.
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Il nome è suggerito da quello della figlia degli Handler, Barbara.
Il 9 Marzo del 1959, (questa e’ la data ufficiale della nascita di Barbie) realizzarono la prima Barbara Millicent Roberts (nome completo di Barbie).
Barbie debutta ufficialmente in occasione della fiera del giocattolo di New York. La bambola si preannuncia già come un fenomeno commerciale senza precedenti: durante il 1959 vengono vendute più di 350 mila Barbie al prezzo di 3 dollari ciascuna.
Tale trionfo si deve in gran parte alla geniale intuizione di Ruth Handler, cioè commercializzare una bambola con ampio guardaroba fatto di abiti e accessori venduti separatamente.
Nel 1961 compare Ken, il fidanzato di Barbie (Kenneth è il nome del figlio degli Handler). Alla crescita della famiglia si aggiunge, nel 1963, Midge, l’amica di Barbie.
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Il 1964 è l’anno in cui Barbie approda in Italia. Nel 1964 Barbie cambiò completamente la fisionomia del volto e il tipo di trucco, compaiono le ciglia in fibra sintetica applicate sugli occhi dipinti, più grandi, i capelli cominciano ad allungarsi, sciolti sulle spalle e sono trattenuti da un nastrino alla sommità del capo.
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Un nuovo brevetto permette l’articolazione in senso rotatorio del busto, questa nuova bambola viene battezzata twist ‘n turn. Nel 1968 Barbie inizia a parlare: la nuova talking Barbie stupisce i suoi fan con tre frasi diverse.
Ruth ed Elliot Handler hanno così dato inizio alla storia di Barbie, che è arrivata fino ai giorni nostri.