Mese: Maggio 2023

Il centenario di Cristina Campo.

La pura poesia è geroglifica: decifrabile solo in chiave di destino
CRISTINA CAMPO, Fiaba e Mistero.

Cristina Campo, poetessa italiana che nasceva il 29 aprile 1923, fu misconosciuta in vita, tanto da essere nota soltanto ad esperti di cose letterarie quali Roberto Calasso, Alfredo Cattabiani e Elémire Zolla, con il quale convisse dal 1959.

Aveva un vero e proprio culto della bellezza e questa sua ricerca estetica trovò la guida in due autori, Simone Weil e Hugo von Hofmannsthal: “Poesia geroglifica e bellezza: inseparabili e indipendenti. Sentire la giustizia di un testo molto molto prima di averne compreso il significato, grazie a quel puro timbro che è solo del più nobile stile: il quale a sua volta nasce dalla giustizia. (…) 

Come nella natura, che è bella solo per necessità reale, così anche nell’arte la bellezza è un soprammercato: è il frutto inevitabile della necessità ideale”. Antimoderna e antiprogressista, con Zolla si dedicò allo studio dei mistici e si avvicinò a un cattolicesimo tradizionale, preconciliare, per aderire infine alla chiesa bizantino-ortodossa. 

Pubblicò soltanto una raccolta di versi, Passo d’addio, nel 1956 e si dedicò alla compilazione di un’antologia di ottanta potesse italiane che però non vide mai la luce. Numerose in compenso le sue traduzioni: Simone Weil naturalmente, ma anche Katherine Mansfield, Virginia Woolf, William Carlos Williams, John Donne.

Qui i seguito alcune sue poesie:

AMORE, OGGI IL TUO NOME

Amore, oggi il tuo nome 
al mio labbro è sfuggito 
come al piede l’ultimo gradino… 

ora è sparsa l’acqua della vita 
e tutta la lunga scala 
è da ricominciare. 

T’ho barattato, amore, con parole. 

Buio miele che odori 
dentro diafani vasi 
sotto mille e seicento anni di lava – 

ti riconoscerò dall’immortale 
silenzio.

“Se qualche volta scrivo è perché certe cose non vogliono separarsi da me come io non voglio separarmi da loro. Nell’atto di scriverle esse penetrano in me per sempre – attraverso la penna e la mano – come per osmosi”. Cristina Campo (1923-1977) fece della poesia un atto mistico, arrivando a cesellare le parole e i versi, addensandoli ma contemporaneamente rendendoli leggeri. L’amore è allora una distrazione che viene a sconvolgere la ricerca del divino, della bellezza, pur nel suo dolcissimo apparire.

ROBERT MOTHERWELL, “JE T’AIME”

QUADERNETTO

Un anno…Tratteneva la sua stella 
il cielo dell’Avvento. Sulla bocca 
senza febbre o paura la mia mano 
ti disegnava, oscura, una parola. 
E la sfera dell’anima e dell’anno 
vibrava in cima uno zampillo d’oro 
alto e sottile il sangue. 
Ne tremavamo 
sorridenti agli sguardi – all’accostarsi 
buio di quel guardiano incorruttibile 
che nei giardini chiude le fontane.

Capodanno ’53-’54

(da Passo d’addio, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1956)

DOLCE OTTOBRE

Si ripiegano i bianchi abiti estivi
e tu discendi sulla meridiana,
dolce Ottobre, e sui nidi.

Trema l’ultimo canto nelle altane
dove sole era l’ombra ed ombra il sole,
tra gli affanni sopiti.

E mentre indugia tiepida la rosa
l’amara bacca già stilla il sapore
dei sorridenti addii.

(da Passo d’addio, 1956)

LES TRÉS RICHES HEURES DU DUC DE BÉRRY, “OCTOBRE”

“Dolce ottobre” intitola Cristina Campo  la sua poesia. E la dolcezza è davvero la caratteristica di ottobre, sospeso tra i ricordi degli ultimi fuochi d’estate e la promessa delle prime nebbie. Un mese che divampa di colori e ridipinge i boschi e i giardini prima del lungo riposo invernale.

Il coraggio di Rosaria Schifani!

Rosaria Schifani

Indimenticabile.
Vi ricordate quel momento?
Rosaria Costa Schifani al funerale del marito (agente di scorta del giudice Falcone) e delle altre vittime della strage di Capaci.
Lei, Rosaria Schifani, capace di nominare i due ordini simbolici: quello gretto delle formule e dell’astrazione e quello vivo, dell’esperienza e della realtà.
Lei che leggeva il discorso scritto e che lo commentava con gli occhi, con le espressioni, con le sue parole, sotto lo sguardo impaurito del prete che suggeriva e cercava di arginare la sua forza, la sua meraviglia, la sua potenza.
“Io vi perdono però voi vi dovete inginocchiare”.

Sono passati 31 anni.
La foto è della grande Letizia Battaglia

“Rewind” di Gabriella Cortese.

Io che di fronte ad un errore
vorrei che la vita avesse il tasto REWIND
invece la vita non ha quel tasto
la vita va avanti comunque…
e suona che tu lo voglia o no
puoi solo alzare o abbassare il volume
e devi ballare
meglio che puoi…
però in qualche modo
adesso ne ho meno paura…

Kathrine Switzer: la prima donna a correre una maratona.

Kathrine Switzer

Nella Boston degli anni ’60 la maratona non era considerata ” cosa da donne”, tanto che vi era un espresso divieto di partecipazione. Come spesso accade, però, questo preconcetto era destinato ad essere scardinato e l’artefice del cambiamento si chiama Kathrine Switzer.

Era il 1967 e il pettorale 261 era stato assegnato a “K.V. Switzer”. Nel modulo di iscrizione non era richiesto di specificare il sesso, era considerato scontato che i partecipanti fossero tutti maschi.

Alla partenza, tuttavia, c’era una ragazza di vent’anni di origine tedesca: Kathrine Switzer. Gli organizzatori, avvedutisi della situazione, reagirono con violenza. Poco dopo la partenza il direttore di gara, Jock Semple, aggredì Kathrine, la strattonò, cercò di strapparle il pettorale e le intimò: “Esci dalla mia corsa e dammi quei numeri!”.

Il compagno di squadra della Switzer, Arnie Briggs, corse in suo soccorso, ma non riuscì a bloccare Semple, che infine venne letteralmente abbattuto dal fidanzato della ragazza, Tom Miller, ex giocatore di football e lanciatore del martello. Katherine riuscì così a continuare la maratona, portandola a termine 4 ore e 20 minuti.

Il comportamento aggressivo degli organizzatori – come spesso accade con certe reazioni assurde e spropositate – determinò un risultato molto diverso da quello che avrebbe voluto Semple.

Lo strattone di Semple

L’ondata di indignazione che ne scaturì portò infatti all’apertura della maratona di Boston alle donne nel 1972.

L’anno precedente ciò era già accaduto a New York e fu proprio nella Grande Mela che Kathrine Switzer tagliò per prima il traguardo nel 1974.

Da allora la Switzer è diventata un’attivista e un vessillo dei diritti delle donne nelle maratone di tutto il mondo.

Il 17 aprile 2017, cinquant’anni dopo la sua prima, storica gara, l’atleta ha corso nuovamente a Boston, indossando ancora il pettorale 261. Questo numero, ormai diventato un simbolo, è stato ritirato dalle competizioni in onore di Kathrine.

Come nasce la festa della Mamma?

La festa dalla Mamma nasce così.
Da due donne: una madre e una figlia.
Lei è Ann Reeves Jarvis. Nella seconda metà dell’Ottocento, Ann si dedica a sconfiggere la mortalità infantile nelle campagne. E dopo la Guerra civile americana, comincia ad organizzare incontri e picnic per far incontrare madri che appartenevano a schieramenti che erano stati nemici negli anni della guerra tra Nordisti e Sudisti.

Scrive “Spero e prego che qualcuno, prima o poi, possa intitolare un giorno di festa alla mamma, giorno che possa commemorarla per il servizio impareggiabile che ella rende all’umanità in ogni campo della vita. Ha diritto a questo”.

Sarà proprio sua figlia Anna Jarvis, il 10 maggio del 1908 a realizzare il sogno della madre.
Quel giorno lei organizza nella sua città natale, Grafton, ma anche a Philadelphia e in molte altre città, eventi dedicati alle madri.

Nel 1914, dato il successo dell’iniziativa, il presidente americano Woodrow Wilson ufficializza la festa.

La Festa della Mamma si festeggia il 9 maggio negli Stati Uniti perché Ann Jarvis muore il 9 maggio 1905.
La figlia si è battuta per anni contro lo sfruttamento commerciale della festa, che riteneva contraddire lo spirito iniziale dell’idea di sua madre.

Ecco perché celebrare queste due donne proprio oggi.

Uno stralcio di un’ intervista di John Gerassi a Simone de Beauvoir.

” Una femminista si definisca di sinistra o no è di sinistra per definizione. Lei si batte per la piena uguaglianza, per il diritto di essere importante quanto qualsiasi uomo. É annessa, quindi, alla sua rivolta per l’uguaglianza di genere la rivendicazione dell’uguaglianza di classe.
… Così la lotta dei sessi comprende la lotta di classe, ma la lotta di classe non comprende la lotta dei sessi. Le femministe sono pertanto autenticamente di sinistra. In realtà, esse sono a sinistra di quella che chiamiamo tradizionalmente la sinistra politica.

Le altre sono conservatrici, nel senso che vogliono preservare ciò che è stato o quello che è. Le donne di destra non vogliono la rivoluzione. Sono madri, mogli, devote ai loro uomini.

E quando sono agitatrici, ciò che vogliono è spartirsi un pezzo di torta. Esse vogliono salari più alti, scegliere donne nei parlamenti, vedere una donna diventare presidente.

Fondamentalmente, esse credono nella disuguaglianza, con la differenza che vogliono essere in cima e non sotto. Si adattano bene al sistema o con piccole modifiche per soddisfare meglio le loro esigenze. Il capitalismo sicuramente si può permettere il lusso di acconsentire a che le donne entrino nell’ esercito o in polizia.
Cambiare, però, l’intero sistema di valore di ogni società, disfare il concetto di maternità: questo è rivoluzionario”.

Stralcio di un’intervista di John Gerassi a Simone de Beauvoir del 1976

Simone🌹 9 gennaio 1908 – 14 aprile 1986