La pura poesia è geroglifica: decifrabile solo in chiave di destino.
CRISTINA CAMPO, Fiaba e Mistero.

Cristina Campo, poetessa italiana che nasceva il 29 aprile 1923, fu misconosciuta in vita, tanto da essere nota soltanto ad esperti di cose letterarie quali Roberto Calasso, Alfredo Cattabiani e Elémire Zolla, con il quale convisse dal 1959.
Aveva un vero e proprio culto della bellezza e questa sua ricerca estetica trovò la guida in due autori, Simone Weil e Hugo von Hofmannsthal: “Poesia geroglifica e bellezza: inseparabili e indipendenti. Sentire la giustizia di un testo molto molto prima di averne compreso il significato, grazie a quel puro timbro che è solo del più nobile stile: il quale a sua volta nasce dalla giustizia. (…)
Come nella natura, che è bella solo per necessità reale, così anche nell’arte la bellezza è un soprammercato: è il frutto inevitabile della necessità ideale”. Antimoderna e antiprogressista, con Zolla si dedicò allo studio dei mistici e si avvicinò a un cattolicesimo tradizionale, preconciliare, per aderire infine alla chiesa bizantino-ortodossa.
Pubblicò soltanto una raccolta di versi, Passo d’addio, nel 1956 e si dedicò alla compilazione di un’antologia di ottanta potesse italiane che però non vide mai la luce. Numerose in compenso le sue traduzioni: Simone Weil naturalmente, ma anche Katherine Mansfield, Virginia Woolf, William Carlos Williams, John Donne.
Qui i seguito alcune sue poesie:
AMORE, OGGI IL TUO NOME
Amore, oggi il tuo nome
al mio labbro è sfuggito
come al piede l’ultimo gradino…
ora è sparsa l’acqua della vita
e tutta la lunga scala
è da ricominciare.
T’ho barattato, amore, con parole.
Buio miele che odori
dentro diafani vasi
sotto mille e seicento anni di lava –
ti riconoscerò dall’immortale
silenzio.
“Se qualche volta scrivo è perché certe cose non vogliono separarsi da me come io non voglio separarmi da loro. Nell’atto di scriverle esse penetrano in me per sempre – attraverso la penna e la mano – come per osmosi”. Cristina Campo (1923-1977) fece della poesia un atto mistico, arrivando a cesellare le parole e i versi, addensandoli ma contemporaneamente rendendoli leggeri. L’amore è allora una distrazione che viene a sconvolgere la ricerca del divino, della bellezza, pur nel suo dolcissimo apparire.

ROBERT MOTHERWELL, “JE T’AIME”
QUADERNETTO
Un anno…Tratteneva la sua stella
il cielo dell’Avvento. Sulla bocca
senza febbre o paura la mia mano
ti disegnava, oscura, una parola.
E la sfera dell’anima e dell’anno
vibrava in cima uno zampillo d’oro
alto e sottile il sangue.
Ne tremavamo
sorridenti agli sguardi – all’accostarsi
buio di quel guardiano incorruttibile
che nei giardini chiude le fontane.
Capodanno ’53-’54
(da Passo d’addio, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1956)
DOLCE OTTOBRE
Si ripiegano i bianchi abiti estivi
e tu discendi sulla meridiana,
dolce Ottobre, e sui nidi.
Trema l’ultimo canto nelle altane
dove sole era l’ombra ed ombra il sole,
tra gli affanni sopiti.
E mentre indugia tiepida la rosa
l’amara bacca già stilla il sapore
dei sorridenti addii.
(da Passo d’addio, 1956)

LES TRÉS RICHES HEURES DU DUC DE BÉRRY, “OCTOBRE”
“Dolce ottobre” intitola Cristina Campo la sua poesia. E la dolcezza è davvero la caratteristica di ottobre, sospeso tra i ricordi degli ultimi fuochi d’estate e la promessa delle prime nebbie. Un mese che divampa di colori e ridipinge i boschi e i giardini prima del lungo riposo invernale.