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Bridget Jones: single di transizione tra Novecento e Duemila. E le single di oggi?

C’è stato un momento ben preciso in cui  è sparita dall’immaginario collettivo la figura della zitella triste. Quella delle zie non sposate, anni cinquanta, rigorosamente vergini e puritane ( si facevano chiamare signorine anche a ottant’anni), vestite prematuramente da anziane, guardate con malinconia, spesso acide e più o meno segretamente invidiose. Personaggi da tragedia, insomma, sfruttate da nipoti interessati, come ne “Le sorelle Materassi” di Palazzeschi, o anime nere come “La cugina Bette” di Balzac.

A metà degli anni novanta, infatti, è arrivata lei, Bridget Jones, dalla penna fortunata della scrittrice Helen Fielding. Buffa, simpatica, colorata, divertente, non di certo vergine, solo un disastro in amore.

E fu subito rivoluzione! L’ ironica Bridget divenne subito un’icona, anche perché dal successo  dei primi articoli sull’ Indipendent e sul Telegraph, nacque un libro, “Il diario di Bridget Jones” e la celebre saga cinematografica.

Ma chi è Bridget?

Bridget è una trentenne indipendente: ha un lavoro in cui non è molto valorizzata ma che comunque riempie la sua vita e in cui cerca di fare carriera senza demordere. Sfugge a una famiglia un po’ imbarazzante (come Elizabeth di Orgoglio e pregiudizio a cui la storia è ispirata) da cui sfugge riparandosi in una cerchia di amici fidati tra cui il confidente gay che anticipa una tendenza. Cerca spasmodicamente un uomo e si strugge se il telefono non squilla, inoltre rimedia figuracce memorabili nei tentativi di seduzione. Non provoca tristezza ma simpatia. Insomma una figura in bilico tra il mondo patriarcale e il mondo di oggi.

Il primo mondo è ovviamente rappresentato dai genitori di Bridget che non concepiscono che a più di trent’anni non sia sposata e non abbia figli. Gli amici dei suoi, poi le ripetono  il “Tic Toc” dell’orologio, ricordandole che il tempo per procreare sta per esaurirsi. Come le millennials , invece, è ossessionata dalla sua immagine, che confronta con modelli irraggiungibili. Tutti i giorni si pesa constatando che non riesce a dimagrire, anche perché non riesce a rinunciare a qualche bevuta di troppo.

In realtà a  Bridget interessa avere un rapporto stabile, anche se non un matrimonio vero e proprio, e, come accade anche oggi, fa molta fatica a trovare un uomo maturo, serio, adatto allo scopo. In questa ricerca spasmodica si butta a capofitto in un’amicizia erotica con il suo capo playboy impenitente, l’irresoluto Daniel/Hugh Grant, un cosiddetto narcisista patologico perverso. 
Quando fa capolino  Mark Darcy, la storia poi evolve secondo il famoso romanzo della Austen con classico lieto fine, sebbene senza matrimonio, che avverrà quasi vent’anni dopo, nell’ennesimo sequel.

A questo punto viene da domandarsi se le trentenni di oggi siano ancora come la Bridget degli anni Novanta?

Le trentenni di oggi.

Personalmente no!

Nessuno oggi metterebbe in croce una trentenne, ma neanche una quarantenne, perché non é ancora sposata. Per quanto riguarda poi la procreazione, sono sempre più le madri single che ricorrono alla procreazione assistita persino in tarda età, anche eterologa. Quindi la ricerca di un uomo a fini procreativi ha lasciato lo spazio alla scienza. E l’orologio della riproduzione si è spostato.  In tante poi non sono madri, in numero sempre crescente, sia per scelta, sia per motivi legati alla crisi economica. La società occidentale, per motivi vari, non incentiva il desiderio di maternità.

Inoltre il modello  moderno di relazione uomo/donna,  si sta spostando più verso una successione di amicizie erotiche che su un rapporto duraturo, sempre meno desiderato, anzi, forse temuto, anche dalle stesse giovani donne di oggi.

Oggi l’immagine della donna da difendere ( come fa l’austeniano Mark Darcy con Bridget), che risolve tutti i suoi problemi, pur nell’ombra, è molto desueta. In Star Wars , ad esempio, il nuovo cavaliere Jedi è una donna, Rey, il personaggio con le armi più potenti dell’universo Marvel, è capitan Marvel, donna. La dolce fanciulla salvata dal principe è un’immagine che ora fa sorridere le millennials. La condizione di single, oggi, appare più triste negli uomini, che non a caso sono più spinti dalle madri ad accasarsi in quanto ritenuti più fragili dalle madri rispetto a figlie, sempre più indipendenti.

Dell’originaria Bridget, negli anni venti di questo secolo, che cosa sopravvive?

Con l’avvento del terzo millennio il mutamento del mondo femminile è stato radicale, l’emancipazione è diventata una vera parità e in certi casi una conquista nel rapporto tra maschio e femmine. La donna che lavora che fa carriera non ha più bisogno di un maschio protettore, perché non ne sopporta più lo sguardo vigile, il controllo, la continua osservazione.

La donna giovane oggi non vuole più persone che la controllino. Bridget Jones cercava di sfuggire, ma oggi la donna è già sfuggita.  

Siamo ancora in una fase di transizione, quindi non sappiamo qual è il futuro, possiamo però vedere l’emergere di  nuove figure come ad esempio FleaBag ( una serie televisiva britannica ambientata a Londra e presente in piattaforme come Netflix). Fleabag è una donna libera, che non ha la minima paura di essere ciò che è, nel bene come nel male. E il femminismo del personaggio emerge proprio dal fatto che non intende nascondere le proprie debolezze. La trama di Fleabag ruota intorno a una donna irriverente, spregiudicata, cinica e persino irritante in certi casi. O che semplicemente appare così se paragonata agli schemi sociali in cui le donne si ritrovano (ancora).

Giugno in versi… Josefa Parra.

Giugno: la luce gialla e dorata che viene dai campi di girasole e dalle messi che maturano.

Ma non sono protagoniste di questi versi della poetessa spagnola Josefa Parra: ne sono piuttosto lo scenario, il corollario, il pretesto per parlare d’amore, per paragonarlo alla resistenza dei girasoli.

GIUGNO

Lasciati annientare
dalla luce gialla e acuta dei girasoli,
lascia che il sole di giugno ti ferisca e ti maltratti
con aghi d’oro.
Riposa dall’amore in un dolore più alto,
muori dal desiderio che geme nelle radici
e sostiene le piante.
Alla fine, il dolore non è un merito; né il desiderio
di un corpo è una sventura più grande della sete.
Salva il tuo nome.
Lasciati annientare tra i girasoli;

Che nessuno dica che muori d’amore e non di febbre.

Josefa Parra

(da Mujeres de carne y verso. Antología poética femenina en lengua española del siglo XX, 2002)

Josefa Parra

Josefa Parra Ramos, (Jerez de la Frontera, 7 febbraio 1965), poetessa spagnola.

Laureata in Filologia, ha ricevuto il Premio Cernuda nel 2000. Il suo tema principale è l’amore, declinato nel fuoco vivo della passione e dell’erotismo, nelle braci dell’assenza e nelle ceneri della nostalgia.

Guerra in Ucraina, uomini soli al comando. Dove sono le donne?

Summit dei vari uomini di potere!

In questa tragica e assurda guerra le donne non ci sono ai tavoli dove si decide il futuro mondiale.

Le abbiamo viste negli scantinati, abbracciate ai loro bambini, ripararsi dai missili che cadevano sulle loro case; le abbiamo seguite mentre erano in fuga sugli autobus salutare con le lacrime agli occhi i figli e i mariti che restavano a combattere; abbiamo partecipato al loro strazio quando si facevano spazio nelle stazioni ferroviarie nel tentativo di salire su un treno, verso una salvezza oltre confine.

Quando scoppia una guerra le donne se non possono arruolarsi e restare a combattere, scappano con quello che hanno di più caro: i loro figli. Possiamo solo immaginare il dolore di dovere abbandonare casa e affetti e affrontare un viaggio pieno di incognite con dei bambini da accudire.

Servono pannolini, cibo, acqua pulita e tante parole rassicuranti per i più piccoli costretti ad assistere a scene di distruzione e disperazione. Ė qualcosa di così doloroso che non vorremmo accadesse mai a chi amiamo e che dobbiamo proteggere.

Succede, invece, in tutte le guerre e sta accadendo anche in Ucraina. Tutte le mamme del mondo sognano per i loro figli una vita fatta di opportunità e traguardi ambiziosi che si possono raggiungere solo dove regna la pace, uno tra i beni più preziosi da conquistare e mantenere.

Lo dimostrano i tanti conflitti disseminati nel pianeta e spesso dimenticati dai media. Sono le donne con i loro piccoli quelle che pagano il prezzo più alto nelle zone di guerra, spesso vittime di stupri usati dagli eserciti come armi per umiliare il nemico.

In questa guerra in Ucraina non ci sono donne ai tavoli dei negoziati. Abbiamo visto delegazioni di soli uomini, capi di stato, generali, ministri, mediatori. Si susseguono solo volti maschili che parlano un linguaggio aspro.

A un certo punto Putin è apparso a sorpresa circondato da donne, tutte hostess dell’Aeroflot, la compagnia di bandiera russa, sedute a un tavolo senza più le distanze alle quali ci aveva abituato. Un’immagine non scelta a caso dal leader russo: quella di un uomo solo al comando che parlava rilassato a delle donne silenti e per forza ubbidenti, in ascolto del loro capo.

Ė preoccupante l’assenza di figure femminili nelle stanze dove si prendono decisioni in queste ore. Appare come una mosca bianca sul palcoscenico mondiale della guerra in Ucraina, Ursula von der Leyen, spesso scambiata come un’accompagnatrice nelle visite ufficiali, fatta sedere su divanetti a parte o smentita dai suoi stessi colleghi come è successo di recente quando ha annunciato che ci sarebbe stato l’ingresso dell’Ucraina nella Unione Europa.

Servono più donne in politica, perché per natura hanno una predisposizione alla cura e tendono a proteggere quello che viene messo nelle loro mani. Nelle donne non c’è la stessa forza distruttrice che prende il sopravvento quando a decidere sono solo uomini.

Lo abbiamo visto in più occasioni, anche durante la pandemia, con i paesi governati da donne che hanno avuto meno danni per il Covid.

Quando a governare sono solo uomini, senza il punto di vista femminile e l’apporto dell’ingegno femminile, l’umanità tutta perde. È triste vedere scene strazianti delle donne ucraine in fuga dalla guerra e a quelle costrette a vivere in campi profughi, sono quasi dieci milioni.

E insieme a loro non scordiamoci di quelle private dei loro diritti più elementari, come le afghane, alle quali i talebani continuano a negare l’istruzione, unica vera chiave per una donna di costruirsi un futuro indipendente.

Le guerre non sono mai la soluzione e chi esalta l ‘uso delle armi temo non abbia mai visto il loro effetto. Lasciano solo odio, fame e morte.

Buona Pasqua!

È la speranza, amica fedele, a offrire agli uomini quella piacevole ansia di futuro, di giorni che verranno e che saranno migliori.

È la speranza a dominare l’ animo, sempre, anche nei momenti folli e bui.

Auguri!

Paola

Il coraggio di Timoclea attraverso il dipinto di Elisabetta Sirani.

Può una donna spingere in un pozzo un rude soldato? Sí, se risponde al nome di Timoclea.

A tal proposito la bravissima pittrice bolognese Elisabetta Sirani ci ha donato questo dipinto che riprende la vicenda.


Elisabetta Sirani, “Timoclea uccide il capitano di Alessandro Magno”(1659), Museo di Capodimonte, Napoli

Elisabetta Sirani (1638-1665) fu una bravissima pittrice nativa di Bologna. Ella si impose, artisticamente parlando, in un ambiente e in un campo che erano ritenuti una prerogativa maschile e lo fece grazie alla bellezza dei suoi dipinti che si avvalevano di una tecnica pittorica inconsueta per i tempi, frutto del suo immenso talento.

Purtroppo morì a soli 27 anni, probabilmente a causa di un’ulcera perforante o avvelenata per invidia, secondo voci che nei secoli non si sono mai spente. La Sirani ci ha lasciato questo straordinario dipinto che riprende la storia di Timoclea, una donna di grande coraggio, nella quale mi piace immaginare che la pittrice si sia in parte ritrovata.

Timoclea era una donna greca che decise di ribellarsi al suo stupratore, a rischio della propria vita. Nata a Tebe, era la sorella di Teagene, ultimo comandante di quel famoso Battaglione Sacro che per decenni aveva detenuto la supremazia sulla Grecia. Nel 335 a.C., durante la campagna di Alessandro Magno nei Balcani, la sua città venne conquistata. Il capo di una banda tracia (anche lui chiamato Alessandro) occupò la casa di Timoclea, si fece servire da mangiare e poi afferrò la donna, la portò in una delle stanze e la violentò.

Dopo che ebbe finito, si mise a interrogarla alla ricerca di ulteriori ricchezze. Prima la minacciò e poi le offrì di tenerla con sé e sposarla. Timoclea intravide nell’avidità dello stupratore l’occasione di vendicarsi della violenza subita. Condusse quella stessa notte il capo tracio a un pozzo, dove disse di aver nascosto i suoi beni.

Lui si sporse cercando avidamente di vedere il tesoro. Ma non c’era alcuna ricchezza ad attenderlo: Timoclea lo spinse facendolo precipitare sul fondo del pozzo. Poi iniziò a lanciargli addosso tutte le pietre che trovava finché non lo ebbe ucciso. I soldati della banda tracia la scoprirono e, avendo già ricevuto l’ordine di fermare le uccisioni, la portarono legata di fronte al loro generale Alessandro Magno. 

Qui, racconta Plutarco: «apparve, nell’aspetto e nell’incedere, ricolma di dignità e coraggio, mentre, senza turbamento né timore» diceva: «Mio fratello era Teagene, che cadde contro di voi a Cheronea per la libertà dei Greci, affinché noi non subissimo questa violenza; ma poiché ho subito questa indegnità, non mi rifiuto di morire: e infatti forse è meglio che io non sopporti, sopravvivendo, un’altra notte come questa». Alessandro ne restò ammirato e comandò di lasciarla libera.

Timoclea e i membri della famiglia del grande poeta Pindaro, però, furono tra i pochi a salvarsi dallo spaventoso saccheggio di Tebe.

Alessandro Magno decise di usare la città come esempio: diede alle fiamme i suoi edifici e vendette schiava tutta la popolazione. La resistenza della Grecia si spense per sempre.

* “De mulierum virtutibus” (Moralia), Plutarco, XXIV Timocleia.


Per l’otto marzo, niente mimose… regaliamoci un NO!

No, sono stanca.

No, non ne ho voglia.

No, non spetta a me.

No, non ti amo più.

No, non ho bisogno del tuo permesso.

No, devo lavorare.

No, pensaci tu.

No, non ho tempo.

No, non sono d’accordo.

No, non ho detto questo.

No, non mi scuso.

No, non mi sento in colpa.

No, vengo prima io.

La strada verso i sogni delle donne è costellata di NO. Quei NO che pesano, che ti si incastrano in gola, che ti fanno sentire sbagliata, egoista, ingiusta, inadatta.

I NO delle donne suonano come schiaffi, non come quelli degli uomini, che cadono giusti e pacati come sassi in uno stagno.

I nostri NO sembrano sempre urlati, isterici, ingiustificati, i nostri NO scatenano piccoli tsunami incontrollabili nella vita degli altri, suonano come una dichiarazione di guerra.

I nostri NO distruggono equilibri impossibili che sorreggiamo a suon di rinunce camminando sul filo della nostra salute.

Paola

L’oblio nuoce alla conoscenza: la storia della scrittrice Fausta Cialente.

Fausta Cialente da giovane

Pochi sono gli intellettuali che, negli anni, si sono confrontati con la scrittura delle donne: esigue sono le figure femminili che vengono ricordate oggigiorno (Sibilla Aleramo, Alda Merini, Ada Negri, Matilde Serao: chi altro?), e questo accade perché la memoria delle loro parole è stata volutamente occultata e nascosta ai lettori, soprattutto perché le donne non venivano ritenute abbastanza capaci di saper scrivere come uno scrittore, non sufficientemente in grado di trasmettere le stesse sensazioni tramite le parole che utilizzavano.

Parliamo di una vera e propria subordinazione della scrittura femminile nei confronti di quella maschile sulla base di criteri canonici valsi per moltissimi anni: criteri basati sullo stile, sul pathos, sull’etica di un’opera. Le donne, secondo la maggior parte dei critici, non facevano parte della casta inarrivabile degli scrittori, ma semplicemente si dilettavano con dei romanzi d’amore, relegati ad un pubblico di bassa lega (anch’esso formato da donne, naturalmente!).

Nonostante i pregiudizi e le difficoltà che le scrittrici hanno dovuto affrontare per arrivare a possedere quella dignità che era stata loro negata, nel ‘900 sembra esserci una sorta di rivalsa, di riscatto: è proprio in questo secolo che alcuni dei più importanti personaggi letterari del tempo sono donne.

Donne che vendono milioni di copie dei loro libri, che diventano pilastri intellettuali del secolo breve, che si fanno portatrici di battaglie per rivendicare la loro libertà intellettuale diventando scrittrici affermate e agognate dagli editori più importanti: parliamo di personaggi come Sibilla Aleramo, Alba De Céspedes, Anna Banti e, soprattutto, Fausta Cialente. Figura decisamente poco studiata e conosciuta, Cialente rappresenta la donna-scrittrice che si crea da sé, un demiurgo muliebre che crede fermamente nella propria libertà letteraria ed intellettuale, decidendo quindi di affermarsi in una società che non è pronta ad accogliere le scrittrici per conferire loro la giusta considerazione e dignità artistica. 

Fausta Cialente (Cagliari 1898 ) nasce come scrittrice autodidatta, diventando in seguito una giornalista radiofonica durante il periodo della Resistenza (una delle esperienze più determinanti e centrali della sua vita), collaborando inoltre anche con vari giornali dell’epoca tra cui “L’Unità”, “Noi donne” e “Il contemporaneo”.

La sua è decisamente una formazione di tipo cosmopolita e multiculturale: si trasferisce ad Alessandria d’Egitto appena ventenne (passando per Cagliari, Trieste, Firenze, Milano), in seguito al suo matrimonio con Enrico Terni (compositore e agente di cambio), e partecipa alle vicende italiane come figura intellettuale attraverso il giornalismo e i suoi numerosi racconti. Malgrado tutto, Fausta, ovunque vada, si sente una straniera, senza radici né casa: la sua multiculturalità è contemporaneamente nomadismo, che la porta ad affrontare numerosi viaggi senza mai insediarsi completamente in nessun luogo, senza appartenere a nessuna terra. 

Nonostante non abbia una dimora che possa essere definita “sua”, Cialente continua a scrivere romanzi, racconti, sceneggiature cinematografiche.

Il riconoscimento più importante arriva nel 1976 col premio Strega, grazie al romanzo “Le quattro ragazze Wieselberger”, attraverso il quale Cialente racconta due storie: quella della sua famiglia, dunque una storia privata, che si intreccia con la storia collettiva coeva, quella della borghesia italiana di inizio ‘900, colpevole di aver innescato quella scintilla bellica che si sarebbe poi tramutata in conflitto mondiale.

Lasciarsi un giorno a Roma.

Lasciarsi un giorno a Roma è un film del 2021 diretto da Edoardo Leo, con Edoardo Leo, Marta Nieto, Claudia Gerini , Stefano Fresi e narra il rapporto complesso di coppie “navigate”.

I personaggi principali si trovano all’interno di una crisi profonda dettata dal successo della compagna che mette in crisi il maschio.
Zoe è un’affermata imprenditrice, mentre il suo compagno, Tommaso, è uno scrittore che arrotonda lo stipendio rispondendo alle lettere del cuore di donne per una rivista femminile.

Tommaso verrà a conoscenza dell’intenzione di Zoe di chiudere la loro relazione proprio per una lettera che lei scriverà alla posta del cuore della rivista per cui lui scrive sotto lo pseudonimo di Marquez.

L’altra coppia del film è composta dalla sindaca di Roma, fagocitata da impegni burocatrici che la tengono occpata h24 sul lavoro. Il marito, un professore, si trova chiuso nella morsa della carriera della moglie, costretto a rientrare in cliché che non gli appartengono e si deve occupare della figlia e della casa.
Le storie si intrecciano e i punti di vista di sofferenza sia femminili che maschili vengono portati alla luce mettendo in risalto le rispettive sofferenze.

Lo consiglio perché…
Seppure la trama sia il semplice ribaltimento di ruoli, ho trovato interessante come il regista sia stato in grado di dare voce alla frustrazione e alla fragilità maschile, permettendo ai personaggi maschili di parlare delle loro emozioni e sofferenze.

Sofferenze e frustrazioni che si possono leggere anche nei personaggi femminili del film. Per la prima volta i sentimenti si mescolano e restano il filo conduttore del film, mettendo in evidenza che non importa il genere a cui una persona appartiene, l’emozione è la medesima.

Laddove ci troviamo ad indagare scopriamo che l’emozione non è rosa o azzurra, non ha colore, se non quello legato allo stato d’animo.

Bello e intrigante vedere e toccare che anche “l’uomo che non deve chiedere mai” può parlare del suo “sentire”, interessante osservare l’umanità che ci collega tutti, indipendentemente dal ruolo, dal sesso.

Verso il 2022…

La farfalla non conta mesi ma momenti, e ha tempo a sufficienza”.
(Rabindranath Tagore)

Il tempo è quella nostra categoria mentale con cui organizziamo l’incedere della nostra vita, ed essendo appunto nostro, abbiamo tutto il potere di renderlo sufficiente…  

Nel giungere alla fine di un altro anno di sfide, auguri a voi per un inizio lieto!

Paola

Buon Natale 2021 🎄🎄🎄

Auguri a chi non si lascia sopraffare dall’amarezza
se la vita gli nega ciò a cui più tiene.
Auguri a chi balla da solo in casa,
a chi saluta il cielo con un sorriso…
perché la gentilezza e la tenerezza
donano luce all’esistenza.

Buon Natale alle amiche e amici che seguono il mio blog ovunque Voi siate.

Paola

Iwona Lifsches 🎨