Mese: gennaio 2021

Hic et nunc… pensieri che vanno !

Viviamo in una situazione difficile, che si protrae da tempo e ciò la rende ancora più difficile.
L’incertezza, la paura, una modalità diversa delle relazioni ci stringono in un assedio che fa fatica a comporsi e ricomporsi. L’abbraccio, la stretta, il bacio ci appare inopportuno persino in un film. Si allontana dal nostro abituale e consolidato modo di vivere il mondo.


Eppure In questo tempo rallentato e circoscritto, molti di noi impiegano il maggior tempo a disposizione disperdendolo, vanificandolo. Alcuni, volutamente, ignorano dati e statistiche per non distrarsi da ciò che maggiormente preme e che ha possibilità di compiutezza e lavoro ugualmente. Altri invece, e spesso sono quelli che fanno un lavoro creativo ed espressivo, leggono meno, non scrivono testi, ma vedono serie televisive oppure risolvono rebus e cruciverba che mai avrebbero fatto in tempi normali.

Eppure! Ci sarebbe un ventaglio di opportunità per far fruttare questo tempo povero di scambi e sollecitazioni, cambiarlo in un tempo ricco e fecondo, pur con l’orecchio e l’occhio voltati a ciò che di straordinario sta accadendo. Basterebbe entrare in una scansione diversa. Solo quella del qui ed ora.
Praticato dai buddisti, l’essere nel presente, è vissuto pienamente da altre specie.  Quella che conosco più da vicino, è quella canina.


La mia cana si chiama Diana ed ha solo un anno e tre mesi. Innumerevoli volte ci siamo affiancate, accompagnate, abbracciate, salutate, ognuna nel proprio linguaggio.
Mai però, Diana mi ha salutata nel vedermi andare via, per uscite brevi o lunghe che fossero.
Sempre, invece, quando sono tornata; addirittura aspettandomi dietro la porta, e saltando e mordendomi le mani, piano piano, in una manifestazione d’amore caldo e vicino. In una esplosione di gioia che si accende per l’attimo in cui ci si ritrova e ci si può amare da vicino.


Loro, le cane, sono nel presente; non hanno proiezioni nel futuro, del passato conservano episodici ricordi legati a traumi, non da rimuovere ma da scansare, e tutto ciò le preserva da rancori, falsi aggiustamenti esistenziali e relazionali. Verso il futuro non hanno aspettative superiori a quelle delle crocchette la mattina, dello starti appiccicate durante il giorno e della meravigliosa passeggiata la sera col proprio amico/a.

Giornata della memoria, se questa è una donna. La storia di Norma Cossetto.

Per i nazisti erano semplicemente stücke, pezzi. Nei campi di sterminio non c’era distinzione fra uomini, donne, bambini, anziani. Solo, brutalmente stücke. Per le donne, forse, la vita nei lager era ancora più grama, se distinzioni si possono fare nell’inferno. Giorni stipate nei vagoni della morte, poi, all’arrivo, subito divise dai propri figli e figlie, dai mariti. Il freddo, la privazione dell’identità.

Solitudine acuita dal freddo, dalla sete, dalla fame, quella che faceva interrompere anche il ciclo mestruale a tutte. Pure questa un’ulteriore perdita di femminilità. Importante per archiviare un giorno dopo l’altro, era la voglia di vita, mettere un piede davanti all’altro. Magari trovando nelle altre donne conforto, una carezza, un po’ di calore. Tante le donne raccontate dai sopravvissuti, tanti i libri che ci hanno restituito in questi anni le loro voci, i loro volti. Ma io voglio raccontarvi di Norma Cossetto e il suo urlo dalle fòibe

Siamo negli anni della Seconda Guerra Mondiale e gli slavi, guidati dal comunista maresciallo Tito, inseguono il disegno nazionalistico di conquista di un territorio ricco e dalle grandi potenzialità, anche ambientali.

Nella provincia della Venezia Giulia e della Dalmazia, i comunisti che alcuni ribattezzano con il nome di “titìni” strappano centinaia e centinaia di italiani dalle loro case e li portano via trascinandoli sul ciglio di quelle  orribili voragini a strapiombo, di natura carsica, denominate “fòibe”. Tutti in riga e con un filo di ferro legato al polso che li unisce tutti, l’uno all’altro.

Il primo della fila viene fucilato e con il suo peso trascina nella foiba tutti gli altri che sono vivi. Un vero e proprio genocidio. Nel condannare l’orrore – e non potrebbe essere altrimenti – voglio  porre ancora una volta l’attenzione su alcune figure femminili, vittime tra le vittime. E non per preferenza sommaria verso un genere, ma per portare a conoscenza di chi legge alcune delle innumerevoli storie in cui, per la sola colpa di essere donna, si muore più volte, e per dare alle sfortunate protagoniste una voce e un volto, fra le migliaia, restituendo loro quella dignità rubata, saccheggiata, depredata, così come furono i loro corpi, per un delirio di onnipotenza di disumani carnefici.

Trecentomila furono le persone che fuggirono a quel delirante massacro comunista, ma tra loro non ci fu Norma Cossetto, diventata l’esempio emblematico di quello che le donne subirono in quei giorni bui e atroci della nostra storia.

Norma Cossetto era una splendida ragazza di 24 anni, di Santa Domenica di Visinada, laureanda in Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova. In quel periodo girava in bicicletta, per i comuni dell’Istria, per raccogliere testimonianze, documenti e materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo “L’Istria Rossa” (quel “rossa” riferito al colore della terra per la presenza di bauxite). Fu arrestata il 25 settembre 1943 da un gruppo di partigiani e condotta all’ex-caserma della Guardia di Finanza di Parenzo insieme ad altri parenti, conoscenti ed amici.

Qui fu raggiunta dalla sorella Licia (arrestata poi anche lei, ma rimessa in libertà ed ebbe modo di raccontare le tragiche vicende della sorella e del padre, anch’egli ucciso). Qualche giorno più tardi, l’occupazione di  Visinada da parte dei tedeschi, spinse i partigiani ad effettuare un trasporto notturno dei detenuti presso la scuola di Antignana, adattata a carcere.

Da questo momento in poi per Norma Cossetto iniziò il martirio. Tenuta separata dagli altri prigionieri,  segregata in una stanza e legatala a un tavolo con delle corde, fu prima stuprata  da diciassette aguzzini e poi sottoposta, senza alcuna pietà, a ripetute e crudeli violenze. Norma venne ritrovata, dopo alcune ore, da una vicina di casa che, avendo sentito l’eco dei gemiti e dei lamenti strazianti della povera ragazza, si era avvicinata alla finestra della stanza dell’orrore scoprendo il  terribile, atroce misfatto.

La bellezza di Afrodite, il suo “potere divino”ed altro ancora!

“La bellezza dell’anima, che sola supera il fascino di Afrodite, si rivelerà un’immaginazione estetica della psiche e nell’ammaliante potere delle sue immagini. Si rivelerà nei modi in cui la psiche dà forma ai propri contenuti – ad esempio, nella maniera in cui l’anima contiene l’erotico. Ma, soprattutto, la bellezza della psiche si riferisce al significato del bello in rapporto agli eventi psicologici. Quando siamo toccati, mossi, e aperti dalle esperienze dell’anima, scopriamo che ciò che vive in essa non soltanto è interessante e significativo, necessario e accettabile, ma è anche attraente, amabile e bello”.

James Hillman, Il mito dell’analisi, Adelphi, 1984, pagg. 112-113

La psicologia di Afrodite emerge dalle acque dopo essere stata fecondata dalla spuma generata dai testicoli di Urano recisi dal figlio Saturno, a significare il suo stretto legame con il principio di individuazione uranico che ci conduce a realizzare noi stessi esprimendo i talenti del corpo, le abilità della mente e la creatività dell’anima. L’espansione delle potenzialità creative, siano esse manuali o intellettive, avviene spontaneamente in ogni individuo che evolve in consapevolezza di sè (anima) e consapevolezza di relazione (animus).

Ciò avvenne in modo diffuso tra il 1330 e il 1440, periodo in cui l’attività manuale dell’artigiano si concretizza in operazioni artistiche sempre più perfette dal punto di vista estetico e produttivo, e si stabiliscono i fondamenti dell’arte, non più soggetta alla discrezione del committente, ma pensata ed elaborata dall’artista, al fine di rispondere a bisogni individuali e collettivi sempre più complessi ed articolati.

Tra il 1440 e il 1550 avviene uno straordinario fenomeno di apertura al linguaggio simbolico che innesca un processo intuitivo capace di allargare a dismisura l’orizzonte culturale e spirituale dell’individuo che persegue nelle regole dell’arte. Le intuizioni maturate dagli artisti di quel periodo ci rivelano una profonda determinazione a rendere espliciti, attraverso il linguaggio ermetico, la sacralità dell’Universo (Unus Mundus), la natura evolutiva dei sentimenti umani (i moti d’animo), i valori universali della cultura umanistica (Filosofia Perennis) e i principi spirituali che emergono dalla coscienza dell’artista che compie il processo di individuazione.

E’ evidente, nelle opere di quasi tutti gli artisti del Rinascimento, l’intenzione di raffigurare e rappresentare i molti doni che Afrodite concede a tutti gli individui che rinunciano alla tentazione di razionalizzare il tempo, le risorse e gli affetti (l’esilio di Saturno), poiché la felicità e i beni spirituali possono essere conquistati ricercando la bellezza in ogni aspetto della vita.  Celebrata nella mitologia per il suo ‘potere divino’ di tradurre le sensazioni in immagini, le emozioni in metafore e i sentimenti in allegorie, Afrodite rappresentava per i greci una “funzione trascendente” che rendeva possibile quell’apertura simbolica in grado di congiungere gli opposti , di sanare i conflitti e di individuare nuove opportunità di crescita e di sviluppo.

Il premio che Afrodite offre agli uomini non è la bellezza fine a se stessa, ma il suo significato simbolico. L’amore e la pace, la prosperità materiale e culturale, lo sviluppo intellettuale e spirituale sono generati dall’Arte di Afrodite “in quanto mediante questa funzione vengono date quelle linee di sviluppo individuali che non potrebbero mai essere raggiunte per la via già tracciata da norme collettive” (Jung, Tipi psicologici, 1921). Afrodite è una funzione evolutiva che ha nell’amore sessuale la sua forza motrice.

Afrodite è viva e immortale nella percezione delle donne, nell’intuizione degli artisti, nelle opere dei saggi e si manifesta in chi compie la trasformazione dell’energia sessuale in amore, creatività, coscienza di sè e conoscenza simbolica. 

Evita, una vita di amore e passione.

Come accade a tutti coloro che muoiono giovani, la sua morte a soli 33 anni contribuì a crearne il mito, alimentato sia da quello che fece, sia da quello che avrebbe potuto fare.

Figlia illegittima, non dimenticò mai le sue umili origini; a sedici anni giunse a Buenos Aires, determinata a trovare il suo posto nel mondo: prima come mediocre attrice, poi come moglie del futuro presidente. E, in quest’ultimo ruolo, diede la sua performance migliore. Attivista politica appassionata, si batté per i lavoratori, i poveri, le donne – fu grazie a lei che nel 1947 le donne ottennero il diritto di voto – creò una Fondazione a suo nome che si occupò della costruzione di ospedali, di orfanotrofi, di scuole; insieme al marito, in pochi anni, rese l’Argentina uno dei Paesi più democratici del Sudamerica. Ma, soprattutto, riuscì a entrare nel cuore del suo popolo, perché ne parlava lo stesso linguaggio, perché era una di loro.

Eva conobbe Juan Domingo Perón il 22 gennaio del 1944 ad un festival di beneficenza organizzato per raccogliere fondi per i terremotati di San Juan. Nelle sue memorie – La ragione della mia vita – confessa di essersi innamorata di Perón ancora prima di vederlo, per le cose che faceva. Negli ultimi mesi aveva seguito tutti i suoi passi sui giornali, non lo aveva mai visto di persona, tuttavia sentiva che qualcosa li predestinava a “trovarsi”.

Ma quel loro primo incontro fu per lei “un’epifania”, paragonò la sua esperienza personale alla conversione di San Paolo sulla via di Damasco. Perché parlò di “epifania?”. In che modo il “divino” le si era manifestato?. Possiamo provare a rintracciarne la motivazione attraverso una piccola digressione storica.

L’Argentina era in ginocchio da tempo, affossata dalla corruzione politica e dal malessere economico e sociale. Perón, circa sei mesi prima dell’incontro con Eva, avrebbe contribuito al golpe militare che destituì il potere di Castillo e acquistò velocemente credito, soprattutto tra i lavoratori. La speranza in un futuro migliore aveva acceso focolai spontanei di gruppi in stato nascente, che confluivano sempre più numerosi a manifestare per le vie di Buenos Aires.

Anche Evita, da sempre vicina ai poveri, agli oppressi, sentiva prepotente dentro di sé la trasformazione sociale in atto. Doveva solo identificare il grande progetto in cui convogliare e concretizzare la sua sconfinata energia. E lo trovò la sera in cui incontrò Perón. Eva avvertì con tutto il suo essere un’affinità profonda, sentì che lui era il suo “destino”. Lui era la sua svolta e Perón sarebbe stato l’uomo della sua vita, ma anche il capo carismatico che avrebbe saputo guidare l’Argentina verso un futuro più equo e democratico.