La vita di Grace Kelly non pare dissimile da quella di una principessa delle fiabe, anche se con un finale inaspettatamente tragico.

Grace Patricia Kelly nacque il 12 novembre del 1929 a Filadelfia, terzogenita di una delle famiglie più famose e facoltose della costa orientale degli Stati Uniti. Suo padre, John B. Kelly, meglio conosciuto come Jack, figlio di immigrati irlandesi, raggiunse la notorietà e il successo essendo tre volte campione olimpico di canottaggio; una volta ritiratosi divenne imprenditore e proprietario di una ditta di costruzioni, e collaborò più volte con la presidenza statunitense per l’ideazione di programmi sportivi. I suoi due fratelli erano a loro volta famosi: Walter C. era una star del teatro vaudeville e partecipò ad alcuni film per la Metro-Goldwyn-Meyer e la Paramount Pictures; George era un commediografo, sceneggiatore e regista che vinse anche un premio Pulitzer per le sue opere.
La madre di Grace, Margaret Majer, di discendenza tedesca, insegnava Educazione fisica all’università della Pennsylvania e aveva un passato da modella; rinunciò a lavorare quando divenne madre, dedicandosi alla cura delle figlie e del figlio – in ordine di età: Margaret, John Jr., Grace ed Elizabeth – finché non raggiunsero l’età scolare, dopodiché partecipò a varie organizzazioni civili e di beneficenza.
Grace ricevette un’educazione strettamente cattolica, studiando anche danza e recitazione. A dodici anni partecipò al suo primo spettacolo col ruolo di protagonista in Don’t Feed the Animals. Lo scarso rendimento scolastico le costò l’ammissione al Bennington College nel 1947, un duro colpo per il suo futuro lavorativo. Non che in realtà ne avesse bisogno considerando la grande ricchezza della sua famiglia, ma Kelly detestava l’idea di essere una semplice ereditiera che sperpera le fortune altrui; per questo, anche se contro il parere dei genitori, decise di perseguire il suo sogno di diventare un’attrice, ispirata dalle grandi dive di Hollywood come Ingrid Bergman.
Fu lo zio George ad aiutarla a fare i primi passi nel mondo del cinema, riuscendo a farle superare una audizione dell’American Academy of Dramatic Arts a cui Grace partecipò portando una scena tratta da The Torch-Beares, scritta da George stesso. Sotto la guida dello zio e grazie alla propria diligenza e perseveranza ottenne il suo debutto a Broadway nel dramma Il padre di August Strindberg, per il quale vinse il Theatre World Award. Nello stesso periodo ottenne anche i primi contratti da modella.

Nel 1950 il produttore Delbert Mann la assunse come protagonista nell’adattamento televisivo del romanzo Bethel Merriday di Sinclair Lewis, parte della serie The Philco Television Playhouse, a cui partecipò anche per le puntate successive; nel frattempo continuò a lavorare nel teatro, con ruoli in diverse opere come The Rockingham Tea Set, The Apple Tree e The Mirror of Delusion. Impressionato dalle sue doti recitative, il produttore Henry Hathaway le assegnò una parte minore nel film La quattordicesima ora: Kelly, nel ruolo di una donna in procinto di firmare le carte del divorzio che cambia idea dopo aver visto il salvataggio di un suicida, ottenne grandi riconoscimenti pubblici ma la sua performance fu quasi ignorata dalla critica, che la relegò a una meteora dalla fama effimera.
Visto l’incerto futuro nel cinema, decise di continuare nel mondo del teatro, dove ormai aveva una solida reputazione, apparendo anche in singoli episodi di varie serie televisive, fra cui Actor Studio, Lights Out, Big Town, The Clock, The Web e Danger. Fu al teatro Elitch del Colorado che le venne offerto il ruolo di co-protagonista nel western firmato Fred Zinneman High Noon (Mezzogiorno di fuoco), che fu il trampolino di lancio verso il successo: Grace interpretò la moglie quacquera dello sceriffo Will Kane ― la star Gary Cooper ― il quale deve affrontare la vendetta di un bandito arrestato anni prima. Il personaggio di Kelly, una donna profondamente religiosa e avversa alla violenza che per amore del marito non esita a uccidere, ispirò forti contestazioni nell’epoca del rigido e moralistico codice Hays, che regolava le scene di sesso e violenza nei film hollywoodiani. Il pubblico e la critica ancora una volta si ritrovarono spaccati quando dovettero giudicare il lavoro della giovane attrice: mentre il pubblico la lodò per aver saputo osare con un ruolo del genere e fece sbancare il botteghino al film, la critica fu molto più fredda, trovando la caratterizzazione del personaggio inconsistente; Alfred Hitchcock la definì «moscia, poco espressiva», ma non negava che avesse del potenziale non ancora sbocciato.