“M’ero detta tante volte in quegli anni, che lo scopo della mia vita era proprio di riuscire, di diventare qualcuna, per tornare un giorno in quelle viuzze dov’ero stata bambina e godermi il calore, lo stupore, l’ammirazione di quei visi familiari, di quella piccola gente. E c’ero riuscita, tornavo; e le facce, la piccola gente eran tutti scomparsi”.
Nel 1949 uscì la stesura del romanzo breve “Tra Donne Sole“, pubblicato pochi mesi nella raccolta “La Bella Estate”, che comprendeva il romanzo omonimo,“Tra Donne Sole” e “Il Diavolo sulle Colline”.
Un anno dopo, nel 1950, l’autore dell’opera, Cesare Pavese (1908-1950) vinse il prestigioso premio “Strega” che gli valse la gloria come scrittore. Purtroppo il caso volle che Cesare Pavese venisse trovato morto nell’albergo Roma di Torino: aveva ingerito oltre dieci bustine di sonnifero. Era il 27 agosto 1950.
Ho voluto ripercorrere quei momenti attraverso il romanzo “Tra donne sole” pubblicato nel 1949 a distanza di un anno dalla sua morte.
Il tratto originale del libro è che Pavese scrive in prima persona, nei panni di Clelia, e racconta di un gruppo di personaggi, soprattutto femminili, appartenenti alla borghesia torinese e mette in contrasto il mondo del lavoro con la noia dei giorni vuoti e ripetitivi dei divertimenti mondani.
Non a caso il libro inizia con il carnevale e tutto il romanzo è intriso di finzione e incomunicabilità che si manifesta con una fitta rete di dialoghi, pettegolezzi, frasi di circostanza, allusioni, che mascherano un profondo vuoto esistenziale. Il destino viene ad abbattersi inesorabilmente su Rosetta, la più giovane, che si suicida.
La storia è quella di Clelia, di origine popolare, che riesce con il lavoro e le sue capacità a diventare direttrice di una casa di moda. Clelia, che è ormai diventata una modista affermata, viene incaricata dalla ditta per cui lavora di gestire un atelier nel centro di Torino.
La prima sera pernotta in un albergo e nell’affacciarsi nel corridoio per chiamare la cameriera vede un gruppo di persone davanti a una porta e una ragazza, che aveva tentato il suicidio, uscirne in barella.
A un veglione conosce l’ambiente di quella ragazza, Rosetta Mola, e ascolta i discorsi cinici di Momina, Mariella, Fefé e Loris e si rende conto che per costoro la disgrazia di un’amica non conta nulla se non per distrarsi dal vuoto delle proprie giornate.
Clelia, pur seguendo la vita futile di quelle donne, sa mantenere il suo equilibrio lavorando con serietà, mentre Rosetta, che non ha questa forza, ritenta il suicidio e questa volta non riesce a salvarsi. La trovano in una stanza che aveva preso in affitto morta per il veleno ingerito.
Dal libro è stato tratto un film, Le amiche, del 1955, diretto da Michelangelo Antonioni.
L’opera riscosse un buon successo di critica e venne premiata con il Leone d’argento alla 20ª Mostra internazionale del cinema di Venezia.
Intessuto di dialoghi essenziali e di aspro rigore psicologico, il dramma inscenato nel film da Antonioni si discosta alquanto dal romanzo di Pavese, ma ne restituisce bene la profondità e l’amarezza.
Film soprattutto psicologico, Le amiche, descrive in modo lucido i rapporti di classe e l’annoiata crudeltà che anima gli ambienti borghesi.
L’attenzione del regista, in accordo con i temi tipici della sua filmografia, è rivolta principalmente alle protagoniste e all’ambigua condizione che esse incarnano: donne ricche, in apparenza libere ma pronte a rivelare la loro dipendenza dall’uomo, che viene presentato come un essere fragile sul piano umano ma forte nel (e del) suo ruolo sociale.
Il film venne segnalato dal quotidiano statunitense Los Angeles Times come fonte d’ispirazione della serie televisiva Sex and the City.