Mese: ottobre 2021

Rachel Carson e la sua battaglia per l’ambiente.

Rachel Carson

«… la primavera ora non viene annunciata dal ritorno degli uccelli, e le prime mattine sono stranamente silenziose dove una volta erano piene della bellezza della canzone degli uccelli.»
Rachel Carson, Silent Spring

Rachel Carson è stata una figura straordinaria del XX secolo, donna carismatica, colta e intelligente, è riuscita a cambiare le sorti del mondo con la sola forza delle idee.

Nasce nel 1907 in Pennsylvania; è una biologa e zoologa statunitense, pietra miliare nella storia dell’ecologia. Sin da piccola ha l’immensa fortuna di vivere immersa nel verde, ed è grazie alla madre che sviluppa un profondo amore e un enorme rispetto per la natura. Sin dalla tenera età si dimostra un’accanita lettrice e scrittrice; già alle medie scrive sul giornalino della scuola storie aventi come protagonisti gli animali che ha modo di osservare perlustrando i 26 ettari della fattoria dei genitori. All’università studia biologia marina, laureandosi a pieni voti nel 1932.

Nel 1936, dopo aver dovuto abbandonare il dottorato per prendersi cura della madre ormai anziana e malata, viene assunta come biologa marina presso il Dipartimento Statunitense per la Pesca. È qui che per la prima volta esterna le sue grandissime doti di scrittrice, che le consentono di diventare in breve tempo la caporedattrice dell’intero dipartimento. Contemporaneamente inizia a scrivere su importanti riviste e, grazie alle sue brillanti doti, richiama l’attenzione di eminenti case editrici.

Nel 1941 pubblica il suo primo libro Under the sea wind, seguito dieci anni dopo da “The sea around us” (Il mare intorno a noi, Feltrinelli); dal quale viene tratto un documentario che vincerà il premio Oscar. Nel 1955 dà alle stampe il suo terzo libro, “The Edge of the Sea”, divenendo così una delle scrittrici più in voga negli Stati Uniti durante la metà de Novecento. Nel 1962 viene pubblicato il suo capolavoro per eccellenza: “Silent Spring “(Primavera silenziosaFeltrinelli).

Già gravemente malata di cancro durante la stesura di quest’ultimo libro, Rachel muore il 14 aprile 1964 a Silver Spring: 16 anni dopo verrà insignita della Medaglia Presidenziale della Libertà, la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti.

Silent Spring è un libro di scienze ambientali, ritenuto il manifesto del movimento ambientalista moderno e descrive, con approfondite ricerche e analisi scientifiche, i danni irreversibili provocati dall’uso indiscriminato del DDT e dei pesticidi, tanto sull’ambiente che sugli esseri umani. Il libro è dedicato ad Albert Schweitzer ed è diventato nel giro di pochissimo tempo un vero e proprio best seller tradotto in ben 24 lingue.

Il titolo deriva dalla drammatica constatazione del maggior silenzio nei campi primaverili rispetto ai decenni precedenti. Questo silenzio era dovuto alla diminuzione del numero di uccelli canori a causa dell’utilizzo massiccio di fitofarmaci.

Lo scenario anticipato dal titolo è disarmante e il testo mostra come la natura possa venir devastata per mano dell’uomo. L’impulso per scrivere Silent Spring è stata una lettera che, nel gennaio 1958, le aveva scritto un’amica, nella quale raccontava della morte di un’ingente quantità di volatili intorno alla sua proprietà proprio per via dell’irrorazione di DDT usato per uccidere le zanzare.

Quest’opera non parla semplicemente dei danni prodotti dai pesticidi, ma affronta il problema molto più complesso del rapporto uomo-natura e mette in discussione l’idea di un progresso scientifico senza limiti, né vincoli: l’etica e l’empatia, per la scrittrice, sono qualità indispensabili e fondamentali in qualsiasi ambito.

In Silent Spring la Carson ha posto delle dure domande, ossia se gli uomini abbiano il diritto di controllare e dominare la natura e il potere di decidere chi debba vivere e chi debba morire e se è lecito distruggere la vita degli altri esseri viventi che popolano la Terra.

Con questo libro l’autrice lancia l’allarme sul fatto che l’ecosistema terrestre avrebbe presto raggiunto i suoi limiti di sostenibilità se non si fossero presi tempestivamente seri provvedimenti atti a contrastare l’uso indiscriminato di sostanze fortemente nocive.

Poiché la Carson era giunta alla conclusione che i fitofarmaci, attraverso la catena alimentare, avvelenano animali e uomini, l’industria chimica americana, vedendo lesi i propri interessi economici, decide di accusarla di essere una donna isterica, sensibile, non professionale e addirittura comunista. Viene così intrapresa una terribile campagna denigratoria nei suoi confronti.

Il libro riuscì tuttavia a far maturare una forte consapevolezza nell’opinione pubblica statunitense circa i pericoli dell’inquinamento ambientale, ispirando la nascita del movimento ambientalista, che ha portato alla creazione dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente. È riconosciuto come il testo ambientale che “ha cambiato il mondo” e ha catturato l’attenzione del presidente Kennedy.


Un decennio dopo, si sono vinte due straordinarie battaglie, salvando uccelli e altri animali selvatici dall’estinzione: l’EPA nel1972 ha bandito il DDT negli Stati Uniti e, successivamente, è stata approvata la legge sulle specie in via di estinzione.

Molti critici affermarono che la Carson aspirasse all’eliminazione di tutti i pesticidi, ma in realtà non stava chiedendo la messa al bando dei fitofarmaci utili, ma ne stava incoraggiando un uso responsabile, poiché era fortemente contraria alla spietatezza del progresso così come lo intendevano le grandi industrie, mentre era favorevole a una scienza etica di cui si sentiva parte.

Per onorare i sacrifici e il lavoro svolto da Rachel, l’ex-vicepresidente americano Al Gore, nel 1992 ha scritto una splendida prefazione all’edizione del trentennale di Silent Spring.

Più riusciamo a focalizzare la nostra attenzione sulle meraviglie e le realtà dell’universo attorno a noi, meno dovremmo trovare gusto nel distruggerlo” Rachel Carson

Maria Bellonci, l’ideatrice del Premio Strega.

Due vite si intrecciano, insidiandosi reciprocamente nella lunga esistenza di Maria Bellonci: quella della scrittrice e quella della patronne del Premio Strega. Maria Villavecchia nasce a Roma all’inizio del secolo da una famiglia piemontese. Per le monache di Trinità dei Monti, è un’alunna brava, ma difficile. Finiti gli studi classici, la ragazza che a scuola si ribellava ai lavori di cucito, si fidanza con Goffredo Bellonci, un giornalista colto, in grado di starle a fianco e di guidarla. Si sposano nel 1928. La sposa in raso bianco ha quattro veli di strascico. «Ero molto carina? Mi pare di sì. Snellissima, bruna, con vitino». Eppure, anche in quelle foto i lineamenti forti di Maria non sembrano mai belli.

Scrittrice di romanzi storici, meticolosa nella ricerca documentaria così come nella costruzione di ogni singola frase, Maria Villavecchia in Bellonci ha concepito nel 1947 uno dei premi letterari più rilevanti del nostro Paese, lo Strega, termometro dell’ambiente culturale e dei gusti dei lettori italiani, nonché motore delle vendite dei libri. E l’ha fatto per promuovere una ricostruzione, personale e collettiva, nell’Italia martoriata dal secondo conflitto mondiale.

Nel 1944, in una Roma appena liberata dall’occupazione, la scrittrice, insieme al marito Goffredo, giornalista e critico letterario, aveva ideato le sue domeniche, “partendo dall’idea di radunarsi come per una festa”. Più che di un salotto letterario, all’inizio si trattava di informali riunioni settimanali nella casa dei coniugi Bellonci in Viale Liegi. Il primo appuntamento si tenne l’11 di giugno. Fu un vero e proprio avvenimento e Maria Bellonci – come racconta nel saggio che ripercorre quell’epoca, Come un racconto. Gli anni del Premio Strega, aveva segnato la data sulle pagine del suo taccuino, accanto alle liste degli invitati, destinati ad aumentare in maniera vertiginosa.

Nelle annotazioni della padrona di casa, che investiva questi incontri di grande valore, i nomi di amici e familiari si mescolavano a quelli di scrittori, artisti e letterati. “[Era] il tentativo di ritrovarsi uniti per far fronte alla disperazione e alla dispersione”, ricorda Bellonci, un’alleanza basata sull’esercizio dell’intelligenza. La domenica pomeriggio si parlava dell’Italia ritrovata, di politica, di letteratura e si mangiavano le torte che la scrittrice preparava all’alba, perché il gas dopo le sette non riscaldava abbastanza il forno.

Nel salotto della casa di Maria e Goffredo Bellonci: Maria Bellonci, Aldo Palazzeschi, Alba de Céspedes, Anna Proclemer, Paola Masino, Libero Bigiaretti e Vitaliano Brancati

Maria Bellonci pensava che in quel “tempo di pericolo”, come aveva battezzato il fragile dopoguerra, la letteratura fosse un luogo riparato e luminoso dove stare e dopo tre anni desiderava sperimentare quella democrazia ancora in nuce nello spazio, per quanto circoscritto, dei libri, creando un premio. Ne discusse con Goffredo che le rispose “con occhi lucenti di approvazione”. “[L’idea] era nata da me, da me a paragone con gli altri, dalla nuova coscienza sorta nei tempi tanto incisivi della Resistenza durante i quali avevo imparato che gli uomini esistono gli uni per gli altri e che gli scrittori non fanno eccezione. Pensavo adesso che ciascuno avesse il dovere di vivere dentro un nucleo sociale e di offrire, potendo, alla comunità, un tributo di azioni quotidiane”. Il premio era un modo per affidare alla cultura il compito di costruire un principio di solidarietà, sulle macerie della guerra.

Fu così che in una domenica di gennaio del 1947 la scrittrice e traduttrice romana annunciò di voler far nascere un riconoscimento nuovo, che “nessuno avesse mai immaginato”, e lo fece fondando una giuria vasta, composta appunto dagli “Amici della domenica”, nome con cui venivano soprannominati gli ospiti che frequentavano il salotto romano. Nelle piccole stanze tappezzate di libri di casa Bellonci c’era anche Guido Alberti, proprietario dell’azienda produttrice del liquore Strega: il sodalizio fu immediato e il Premio trovò il suo fedele finanziatore.

Maria Bellonci alla presentazione del Premio Strega (1952)

La giuria del primo anno, nel 1947, era composta da 170 persone e vinse Ennio Flaiano con il suo romanzo Tempo di uccidere, un’allegoria del conflitto appena trascorso che racconta la storia di un tenente dell’esercito italiano e delle sue disavventure sul suolo africano. Nel 1948, i votanti diventarono 190, l’anno successivo 202 in un continuo crescendo che toccò i 350 quando fu incoronata la prima scrittrice donna, Elsa Morante, nel 1957 con L’Isola di Arturo. Oggi il corpo elettorale, che porta ancora il nome di Amici della domenica, è costituito da quattrocento persone inserite a vario titolo nel mondo culturale italiano che ogni giugno, in casa Bellonci, scelgono la cinquina e poi, i primi di luglio, eleggono il libro vincitore al Ninfeo di Villa Giulia, a Roma. Si diventa giurati per cooptazione, su segnalazione di un altro membro. 

Elsa Morante riceve il Premio Strega per il libro L’Isola di Arturo (1957)