Mese: settembre 2020

L’eleganza del riccio.

Ho letto ‘L’eleganza del riccio’ di Muriel Barbery qualche tempo fa, ma ho deciso di leggerlo una seconda volta, perché molte persone lo hanno accostato a ‘Cambiare l’acqua ai fiori’ di Valérie Perrin e, sinceramente, è un parallelismo che mi convinceva poco prima e mi convince ancora meno adesso, dopo questa lettura.
Comincio dalla descrizione che le protagoniste fanno di se stesse. La prima è Renée:

Mi chiamo Renée. Ho cinquantaquattro anni. Da ventisette sono portinaia al numero 7 di rue de Grenelle, un bel palazzo privato con cortile e giardino interni, suddiviso in otto appartamenti di gran lusso, tutti abitati, tutti enormi. Sono vedova, bassa, brutta, grassottella, ho i calli ai piedi e, se penso a certe mattine autolesionistiche, l’alito di un mammut. Non ho studiato, sono sempre stata povera, discreta e insignificante.


La seconda è Paloma che dice di sé:

Io ho dodici anni, abito al numero 7 di rue de Grenelle in un appartamento da ricchi. I miei genitori sono ricchi, la mia famiglia è ricca, e di conseguenza mia sorella e io siamo virtualmente ricche. 

eleganza del riccio

Renée e Paloma sono i due cardini attorno ai quali ruota l’intera trama del libro e rappresentano anche la chiave di interpretazione della vicenda narrata. Due donne che, attraverso le loro esistenze, rappresentano i concetti fondamentali di apparenza ed essenza. Due persone, nella accezione etimologica del termine: in latino, il termine persōna indicava la maschera che gli attori di teatro indossavano per assumere le sembianze del personaggio che interpretavano. Entrambe scelgono di indossare una maschera per apparire agli altri non come realmente sono, ma come vogliono che le persone le percepiscano. Abitano nello stesso palazzo, ma non si conoscono e questa scelta, apparentemente, rappresenta l’unico punto di contatto tra loro, almeno fino all’arrivo di Monsieur Kakuro Ozu.


Paloma e Renée vivono agli antipodi della società: la prima giovanissima, ricca e fin troppo intelligente, ultra cinquantenne la seconda, povera, che ha imparato tutto quello che sa da autodidatta. In realtà sono anime gemelle e non è un caso che scelgano di indossare lo stesso travestimento per difendersi da una realtà che non condividono, non apprezzano e dalla quale non sono apprezzate.

Vivono all’interno di stereotipi  fin troppo scontati, ma che nessun personaggio con cui interagiscono nella quotidianità raccontata dall’autrice del romanzo, ha la curiosità di indagare per cercare di ‘andare oltre’. 

Apparenza ed essenza, esteriorità e interiorità. ‘L’eleganza del riccio’ riflette su queste tematiche che, da sempre, caratterizzano le relazioni umane. La maggior parte delle persone si accontenta di apparenza ed esteriorità su cui basa i propri pregiudizi e, cosa peggiore, i propri giudizi.

Muriel Barbery lo fa capire in modo inequivocabile attraverso indizi che dovrebbero spingere ad andare oltre o, quanto meno, a porsi delle domande: un esempio è il gatto della portinaia, che si chiama Lev in onore di Tolstoj. Se Renée fosse davvero semplicemente una portinaia, mediocre ed insignificante, mai e poi mai avrebbe scelto proprio quel nome per il suo animale.
Questo romanzo è un invito a riflettere su tematiche importanti della vita e sulle dinamiche che spesso governano, purtroppo, le relazioni interpersonali. Qual è il senso della vita? Vale la pena di viverla? Qual è il valore delle relazioni umane? Ha senso nascondere la propria natura per paura di non essere capiti e apprezzati? 

Paloma e Renée, le due voci narranti del romanzo ci guidano in questo percorso. Partendo ognuna dalla sua esperienza, prendono per mano il lettore e lo coinvolgono in ragionamenti profondi che impongono una visione e un approccio diversi alla vita e agli altri.

Pagina dopo pagina ‘L’eleganza del riccio’ risponde alle domande attraverso una analisi magistrale dell’interiorità delle due protagoniste in primis, e di tutti i personaggi che danno vita alla storia poi.
Due vite completamente diverse, due stili narrativi altrettanto differenti, ma un unico grande desiderio: dare al mondo e alle altre persone la fiducia che fino a questo momento non erano state capaci di accordare. Una lettura mai banale, a tratti non facile, ma che vale la pena affrontare soprattutto adesso, nell’era dei social e dei selfie.

Clara Campoamor – avvocata e femminista spagnola.

Pesantemente ha pagato il suo impegno femminista. Superando le discriminazioni accademiche riuscì a laurearsi in giurisprudenza, esercitò l’attività forense e fondò una federazione per il riconoscimento dei diritti femminili; eletta all’Assemblea Costituente le sue battaglie a favore delle donne vennero contrastate persino dai compagni di partito che la isolarono. Con la guerra civile spagnola riparò in Svizzera dedicandosi all’avvocatura e ad un’intensa attività editoriale volta alla conoscenza di storiche donne di lingua spagnola. Postuma e tardiva é stata la riabilitazione di questa femminista antesignana in una Spagna molto maschilista.

Ripercorrere la sua biografia significa avventurarsi in uno dei periodi più difficili della storia spagnola e sicuramente ardui per i primi riconoscimenti dei diritti delle donne.

Clara Campoamor Rodrìguez nacque nel 1888 a Madrid in una famiglia operaia. Rimasta orfana di padre e viste le difficoltà di Pilar Rodríguez Martínez, sua madre, a fronteggiare le difficoltà economiche impreviste, all’età di tredici anni cominciò a lavorare come sarta, dattilografa, segretaria presso “La tribuna”, un quotidiano locale  e a frequentare le scuole serali per assicurarsi un’istruzione fino al conseguimento della laurea in giurisprudenza nel 1923, un traguardo rilevante stante le rare ammissioni di iscrizione universitaria alle donne in Spagna.

Continuò a svolgere molti lavori per mantenere sé e la sua famiglia; iniziò a frequentare diverse organizzazioni femminili, particolarmente interessata ai problemi legati al matrimonio e ai mancati riconoscimenti di paternità, temi, che caratterizzarono il suo impegno con la co-fondazione della Federazione internazionale delle donne nel 1928.

Il passo alla partecipazione ai dibattiti ed ai circoli politici fu breve. Intanto dopo la sua registrazione all’ordine degli avvocati poté esercitare la professione legale, nel 1927 proprio con questo ruolo pubblico sostenne con successo il miglioramento delle leggi sul lavoro minorile, le modifiche alla legge elettorale a favore dell’elezione delle donne in parlamento al compimento del ventitreesimo anno di età.

Il regime di M.P. de Rivera, in carica dal 1923 al 1930, tentò di cooptarla con alcune nomine e riconoscimenti onorifici, lusinghe mirate non soltanto ad assicurarsi il suo appoggio, ma anche a neutralizzarla, invano giacché Clara Rodriguez non cedette. Nel 1931 all’abdicazione del dittatore, fu proclamata la seconda repubblica ed indette le elezioni per la Costituente Cortes. Aderendo al social party fu eletta all’Assemblea Costituente con Viktoria Kent e Margarita Nelken, le uniche tre donne su ventuno deputati. Fu determinante il suo apporto alla redazione della costituzione spagnola del 1931, sancente l’uguaglianza di diritti di donne ed uomini. Si batté strenuamente contro la discriminazione sessuale, per il riconoscimento legale dei bambini nati al di fuori del matrimonio, a favore del divorzio e del suffragio universale.

In seguito servì come ministro del governo ma soltanto brevemente a causa della scarsa approvazione sia da parte dei suoi compagni di partito che dai colleghi parlamentari alle questioni femminili da lei sollevate con il risultato di un isolamento crescente, seppure sostenuta dalle donne attiviste di varie associazioni. Nel 1933 non fu rieletta, in compenso dal governo di Lerroux fu nominata direttrice del dipartimento dei servizi sociali, incarico da lei adempiuto fino al 1936. Durante questi anni fece parte della commissione investigativa inviata ad Oviedo dopo la brutale repressione dello sciopero dei minatori.

Asilo…

(“Asylum”, di Hala Alyan, poeta contemporanea palestinese-americana e psicologa clinica)

asylum seekers

Dissero di bruciare le chiavi 

ma solo i nostri capelli presero fuoco.

Camminammo verso i confini

con fotografie e lettere:

qui è dove la morte è diventata

la loro morte, qui è dove

hanno accoltellato i bambini.

I giudici ci chiamano dentro

in base alle nostre città. Jericho. Latakia. Haditha.

Giuriamo su un dio che non abbiamo mai incontrato, di amare

i laghi, le calotte di ghiaccio,

una gelata dietro l’altra,

ma di notte nei nostri sogni

la biblioteca è bruciata,

le pere erano ancora fresche in dispensa.

Abbiamo atteso che il nostro villaggio alluvionato

fosse prosciugato, che i ponti di pietra fossero ricostruiti.

Abbiamo mangiato le chiavi di casa col sale.

Hala Alyan (27 luglio 1986 , Illinois – Stati Uniti) è una scrittrice e psicologa clinica palestinese-americana specializzata in traumi, dipendenza e comportamento interculturale. I suoi scritti e poesie coprono aspetti dell’identità e gli effetti dello sfollamento, in particolare all’interno della diaspora palestinese.

Mary Shelley, colei che scrisse Frankenstein

Il 2018 è stato il 200° anniversario della pubblicazione di Frankenstein. Il romanzo, considerato una delle prime opere di fantascienza, è stato scritto da un’adolescente inglese che ha vissuto praticamente in contrasto con tutte le convenzioni sociali del suo tempo. Mary Shelley sarà sempre ricordata per aver creato uno dei mostri più famosi della letteratura, ma ha avuto una vita emozionante e piena di passione, oltre che di dolore e sofferenza.

Mary Wollstonecraft Godwin nasce a Londra nel 1797. Sua madre, Mary Wollstonecraft, è stata una delle filosofe femministe più importanti dei tempi moderni e una delle poche donne che è riuscita a guadagnarsi da vivere con la scrittura in quel periodo storico. La sua opera più famosa è A Vindication of the Rights of Woman, saggio che resta fondamentale nella storia del femminismo. Lei sosteneva che “agli occhi di Dio” le donne erano uguali agli uomini e, pertanto, dovevano ricevere la loro medesima educazione ed essere trattate allo stesso modo, come esseri razionali. Sebbene considerarla femminista in senso stretto sarebbe anacronistico – perché la parola non esisteva in quel momento e le sue opinioni sulla sessualità e sulla sensibilità femminile oggi sarebbero considerate controverse – l’influenza che i testi di Wollstonecraft hanno avuto sulle lotte delle donne è innegabileSuo padre, William Godwin, invece, è considerato il precursore dell’anarchismo, un movimento che si sarebbe sviluppato in profondità nel diciannovesimo secolo. Il suo libro Un’inchiesta sulla giustizia politica sostiene l’idea di una società libera e critica le istituzioni politiche dell’epoca, che reputa un ostacolo al progresso dell’umanità.

Wollstonecraft e Godwin scioccano la società del tempo con la loro storia d’amore. Essa è basata sulla parità di condizioni, in un’epoca che ancora vedeva la moglie come proprietà di suo marito e in cui alle donne non era permesso ricevere alcuna forma di istruzione superiore. Il rapporto tra i suoi genitori è essenziale per comprendere la vita di Mary Shelley: sua madre muore di setticemia poco dopo averla partorita, quindi Mary non ha modo di conoscerla, ma ne conserva la memoria attraverso i suoi libri e ciò che il padre le dice di lei. Il padre di Mary, nonostante sia un liberale, si oppone al fatto che figlia vada al college e ancor di più alla sua relazione con Percy Shelley – che era il suo protetto da qualche tempo – nonostante lui stesso abbia avuto una relazione simile con Wollstonecraft.

Un anno dopo la morte di Mary Wollstonecraft, William Godwin pubblica le sue memorie. Nonostante vengano scritte in omaggio alla defunta moglie, nel libro si rivela l’esistenza di una figlia illegittima. Fanny, la sorella di Mary Shelley, nasce in seguito alla relazione di Wollstonecraft con un altro uomo, prima di Godwin. E la notizia fa scandalo.

Mary vive in un modo insolito per il suo tempo. Il padre si risposa con una donna che ha già altri due figli, e tutti condividono la stessa casa, anche se all’autrice di Frankenstein non piace la sua matrigna e cresce nell’ammirazione della figura di sua madre. William Godwin fornisce alla figlia un’istruzione non ortodossa ma molto ampia, e lei ha sempre accesso a una vasta biblioteca: lui la incoraggia a leggere, specialmente testi di filosofia e politica liberale, e la giovane cresce circondata dagli intellettuali che visitano di frequente suo padre.

Nel 1812, Shelley viene mandata in Scozia per stare diversi mesi da William Baxter, allo scopo di allontanarla dalla matrigna con cui ha un rapporto difficile, che va peggiorando. Lì è felice e diventa molto amica della figlia di Baxter. Secondo Mary Shelley, questo è il luogo dove nasce l’idea di Frankenstein. Suo padre decide poi che deve tornare a Londra ed è lì, nel 1814, che Mary conosce il poeta e filosofo Percy Bysshe Shelley, che diventerà il grande amore della sua vita.

Percy, che ammira profondamente William Godwin, viene accolto da lui come suo discepolo; il padre di Mary sta affogando nei debiti e ha bisogno dei soldi che Percy si offre di dargli. Quando Percy inizia a frequentare casa Godwin, il giovane poeta è sposato – sebbene separato da sua moglie e dalla figlia che ha avuto con lei. Inizia una relazione segreta con Mary e la coppia finisce per fuggire in Francia quando Mary ha appena 16 anni, accompagnata dalla sua sorellastra, Claire Clairmont. Mary viene ostracizzata dai suoi amici e dalla sua famiglia per essere fuggita con un uomo sposato e suo padre – apparentemente liberale – le toglie il sostegno finanziario fino a quando la coppia non si fosse sposata adeguatamente. Sia Mary che Percy, però, credono che il matrimonio sia repressivo, quindi si sposano molto più tardi del previsto, solo dopo la morte della prima moglie di Percy, Harriet, che si toglie la vita. Vengono giudicati così controversi e poco raccomandabili, che viene negata loro la custodia della figlia di Percy, e Mary è considerata uno zimbello. Indipendentemente da ciò, i due viaggiano in diversi Paesi europei, fino a quando la mancanza di denaro li costringe a tornare in Inghilterra. Mary rimane incinta di una bambina, nata prematuramente e morta poco dopo – cosa che fa precipitare la scrittrice in una profonda depressione. In seguito, rimane di nuovo incinta di un bambino che battezza con il nome di William.