Nel 1861, a unificazione avvenuta, l’Italia non era come Manzoni l’aveva immaginata “una d’arme, di lingue, d’altare, di memoria, di sangue, di cor“( Marzo 1821). Il Nord e il Sud del Paese erano ancora due mondi diversi e lontani, e per conciliarne le differenze culturali, sociali ed economiche sarebbe stato necessario – più che riconoscerle – attuare azioni politiche mirate a una maggiore giustizia sociale. Ciò, purtroppo, non avvenne e i nuovi governanti si trovarono a fronteggiare un fenomeno grave, quanto inaspettato: il brigantaggio, che occupò la scena del primo decennio dell’Italia unita.
I briganti erano eroi violenti e romantici, idealisti e attaccabrighe, i cui nomi e la cui fama mascheravano la miseria e l’ignoranza da cui cercavano di riscattarsi (contro tutto e tutti), incuranti della Storia, che, invece, stava delineando un nuovo mondo destinato a poggiarsi, ancora una volta, sulle spalle dei più deboli.
Accanto a loro giovani donne, povere come si poteva essere poveri nell’Ottocento, ignoranti, coraggiose, sfruttate, disperate e spesso feroci verso una società che chiedeva loro di donare in silenzio e in disparte la propria vita. E la vita se la fecero togliere… le brigantesse! Non furono poche, come si crede, e non furono soltanto “concubine, drude e manutengole” come si usava chiamarle a quei tempi. Accanto ai nomi di queste donne era segnata l’appartenenza a questa o quella banda, poiché le brigantesse facevano effettivamente parte dei gruppi organizzativi del banditismo.
Il loro contributo fu massiccio, alcune divennero capibanda, altre entrarono nella leggenda grazie al coraggio, al sacrificio; e di altre, invece, si ricorda la ferocia sanguinaria che fa pensare a una femminilità ferita, umiliata negli affetti e nell’animo. E tutte ebbero una tragica fine.

Mi piace ricordare la storia di Michelina De Cesare, la cui vita (come quella di tante altre) è appena accennata in qualche libro di Storia che si rispetti e ricordata solo da chi l’unità d’Italia l’ha intesa come un’invasione, un’imposizione, una guerra sanguinosa e fratricida. Nessuna donna più di Michelina De Cesare è modello esemplare e lampante di resistenza e amor di Patria, uccisa a Mignano, terra che le aveva dato i natali, il 30 agosto del 1868, massacrata da feroci torture e crudeli sevizie per essersi rifiutata di svelare alle truppe piemontesi le varie posizioni locali.
Nata a Caspoli, frazione di Mignano, in provincia di Caserta, il 28 ottobre 1841, Michelina aveva tenuto, sin da giovane, un atteggiamento ribelle, refrattaria alla legge , educata al furto per sopravvivere. Di famiglia poverissima si sposò appena ventenne con Rocco Tanga, che la lasciò vedova dopo appena un anno di matrimonio. Si unì, tempo dopo, a Francesco Guerra , comandante di un fortissimo gruppo di guerriglieri legittimisti, che combattevano contro i piemontesi nel tentativo di riportare sul trono Francesco II, partecipò a ogni combattimento dimostrando abilità strategico – militari atte a prevenire gli attacchi e le imboscate del nemico. (altro…)
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