“A me non piace piacere a molti, ma ai pochi a cui piaccio”.

É trascorso appena un anno dalla sua morte e mi sembra ieri.
Ho avuto difficoltà, e l’ho ancora, a scrivere di Adele Cambria perché mi é difficile accettare la scomparsa di una persona libera e coraggiosa, spesso scomoda, ma che non si é mai piegata agli imperativi del tempo. Mi sarebbe piaciuta conoscerla di persona, ma mi sono dovuta accontentare della lettura di molti suoi libri. L’ho seguita nelle sue battaglie per la parità di cui si è parlato negli anni e che é ancora lontana ad arrivare.
Adele aveva un’idea assolutamente precisa e personale delle storture sociali, provocate dalle disuguaglianze e dalle ingiustizie, come pure dalle cattive relazioni fra i generi, basate tutte sull’assoggettamento di un sesso sull’altro. La natura di combattente poteva farla apparire spesso aspra, ma non era così. Appassionata, mai settaria o ideologica, riusciva a parlare con tutti e a costruirsi in autonomia una propria visione del mondo, spesso fuori dal coro, pagandone le conseguenze in termini di carriera nei giornali nazionali dove ha lavorato.
Spirito inquieto, estremamente curioso delle tante forme della vita sociale, con la sua penna passava tranquillamente da un articolo sulle sfilate di moda a Firenze a quello sui migranti di Badolato ( Reggio Calabria), sempre con la stessa grazia e un forte senso dell’autoironia, non dimenticando il suo amore per l’uguaglianza, e la passione nel raccontarsi e nel raccontare le donne.
Nata a Reggio Calabria nel 1931, si laurea in Giurisprudenza a Messina e arriva a Roma negli anni ’50 con un preciso obiettivo: quello di scrivere. Voleva caparbiamente essere testimone del mondo a lei contemporaneo e diventare giornalista come suo marito Bernardo Valli da cui poi divorzierà. La sua casa romana diventa così luogo di incontro fra artisti e intellettuali del tempo, tra cui Pier Paolo Pasolini del quale diventerà amica carissima e attrice in alcuni suoi film. Nel 1956 entra nel mondo del giornalismo e scrive per “Il Mondo” di Mario Pannunzio con “colonnine di costume” che il direttore le faceva firmare con un non de plume: Leone Paganini. Leone per la forza espressiva delle sue note, per il coraggio e forse anche per un pizzico di incoscienza che l’aveva spinta da Reggio Calabria a Roma: lei esile, brunetta, dagli occhi azzurri e col pallino del giornalismo.
Quanto al perché del cognome Paganini lo ricorda Adele stessa “Mario Pannunzio sviolinava nell’aria con le sue mani curatissime, ed era tutto! Tempi favolosi, vivevo nel miracolo”. Subito dopo ha l’occasione di debuttare in un quotidiano innovativo e coraggioso, “Il Giorno” , diretto da Gaetano Balducci. Ci lavora a lungo sino ai primissimi anni ’80. Ha già alle spalle le vicende del quotidiano ” Lotta Continua”, di cui è stata direttrice responsabile e trascinata in giudizio (poi assolta) per la pubblicazione di un articolo sull’assassinio del commissario Luigi Calabresi, così come già ha scritto e scrive per altre testate del calibro di “Paese Sera”, “La Stampa”, “Il Messaggero”, “L’Europeo”, “L’Espresso”, “Il Diario”, “L’Unità”. (altro…)
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