
“Le donne non sono una fauna speciale e non capisco per quale ragione esse debbano costituire, specialmente sui giornali, un argomento a parte: come lo sport, la politica e il bollettino meteorologico“. Oriana Fallaci
Oriana Fallaci si può definire così, a essere brevi: la giornalista italiana più conosciuta e apprezzata al mondo. Ebbe una vita straordinaria, di cui i più giovani sanno pochissimo e quel che sanno è per via delle cose che scrisse e disse negli ultimi dieci anni della sua vita – dall’11 settembre 2001 in poi – e che furono oggetto di critiche e polemiche, ma era stata moltissimo altro. Inventò un modo tutto suo di scrivere e intervistare, fu una delle prime donne a farsi strada in un mondo che fino ad allora alle donne sembrava precluso, ebbe posizioni radicali, fu molto poco politically correct e per questo divenne oggetto di attacchi e pesanti contestazioni (da cui seppe difendersi con energia). A un certo punto della sua vita diventò un personaggio, a prescindere dalle storie che raccontava e che aveva raccontato: fotografata e intervistata dai più importanti giornali internazionali, con i suoi occhialoni, le sigarette, i suoi cappelli e il suo pessimo carattere.
«Sono nata a Firenze il 29/6/1929 da genitori fiorentini: Tosca ed Edoardo Fallaci. Da parte di mia madre, tuttavia, esiste un “filone” spagnolo: la sua bisnonna era di Barcellona. Da parte di mio padre, un “filone” romagnolo: sua madre era di Cesena. Connubio pessimo, com’è ovvio, nei risultati temperamentali. Mi ritengo comunque una fiorentina pura. Fiorentino parlo, fiorentino penso, fiorentino sento. Fiorentina è la mia cultura e la mia educazione. All’estero, quando mi chiedono a quale Paese appartengo, rispondo: Firenze. Non: Italia. Perché non è la stessa cosa». Così Oriana Fallaci raccontò la sua famiglia in “La vita di Oriana narrata da Oriana stessa per i lettori dell’Europeo”: un testo destinato, appunto, ai lettori della rivista con cui collaborava. La sua era una famiglia di antifascisti militanti. Il padre era iscritto al Partito socialista italiano (PSI) da quando aveva 17 anni: «Ho avuto la fortuna di essere stata educata da due genitori molto coraggiosi. Coraggiosi fisicamente e moralmente. Mio padre, si sa, era un eroe della Resistenza e mia madre non gli è stata da meno».

Nonostante le condizioni della famiglia non fossero agiate, i pochi risparmi venivano investiti nell’acquisto di libri. Oriana Fallaci ebbe per tutta la vita una grande passione per i libri («Quando sono in una stanza senza libri mi sembra d’essere in una stanza vuota»); negli anni acquistò anche molti libri antichi creando una collezione che prima della sua morte donò alla Pontificia Università Lateranense di Roma.
Dopo la caduta del regime fascista, nel luglio del 1943, suo padre entrò nella Resistenza e portò con sé la figlia che aveva 14 anni. Con la sua bicicletta e il nome di battaglia “Emilia”, Oriana Fallaci affiancò il padre in varie operazioni, fece da staffetta consegnando ai compagni partigiani armi, giornali clandestini e messaggi e accompagnando i prigionieri inglesi e americani fuggiti dai campi di concentramento italiani dopo l’8 settembre verso le linee degli Alleati. I grandi classici della letteratura pagati a rate dai genitori e la partecipazione alla Resistenza furono i due elementi fondamentali della sua formazione:
«La mia fanciullezza è piena di eroi perché ho avuto il privilegio di esser bambina in un periodo glorioso. Ho frequentato gli eroi come gli altri ragazzi collezionano i francobolli, ho giocato con loro come le altre bambine giocano con le bambole. Gli eroi, o coloro che mi sembravano tali, riempirono fino all’orlo undici mesi della mia vita: quelli che vanno dall’8 settembre 1943 all’11 agosto 1944, l’occupazione tedesca di Firenze. Credo di aver maturato a quel tempo la mia venerazione per il coraggio, la mia religione per il sacrificio, la mia paura per la paura» (“Se il sole muore”, 2010).
Nonostante la militanza nella Resistenza non perse nemmeno un anno di scuola, anzi: ne saltò uno, sostenne un esame per passare dalle magistrali al liceo classico e si diplomò con un anno di anticipo nel giugno del 1947. A settembre si iscrisse alla facoltà di Medicina e iniziò a lavorare per il quotidiano di Firenze Il Mattino dell’Italia centrale (il fratello del padre, Bruno Fallaci, era uno stimato giornalista e anche le due sorelle di Oriana, Neera e Paola, iniziarono a fare questo mestiere collaborando con Oggi e il Tempo). All’inizio Oriana Fallaci si occupò di cronaca nera. Poi lasciò l’università e iniziò a scrivere di cronaca giudiziaria e anche di argomenti di costume: è molto famoso un suo articolo del 7 dicembre del 1948 in cui descrisse le sfilate di Dior a Firenze.
Il suo obiettivo era diventare «scrittore» e il giornalismo per lei era inizialmente solo un modo per guadagnare dei soldi:
«Io più che il giornalista ho sempre pensato di fare lo scrittore. Quando ero bambina, a cinque o sei anni, non concepivo nemmeno per me un mestiere che non fosse il mestiere di scrittore. Io mi sono sempre sentita scrittore, ho sempre saputo d’essere uno scrittore, e quell’impulso è sempre stato avversato in me dal problema dei soldi, da un discorso che sentivo fare a casa: “Eh! Scrittore, scrittore! Lo sai quanti libri deve vendere uno scrittore per guadagnarsi da vivere? E lo sai quanto tempo ci vuole a uno scrittore per esser conosciuto e arrivare a vendere un libro?”» (Archivio privato Oriana Fallaci, Appunto dattiloscritto).
Nel 1951 un suo articolo fu pubblicato sul settimanale L’Europeo, uno dei più prestigiosi del tempo. Il pezzo si intitolava “Anche a Fiesole Dio ha avuto bisogno degli uomini” e raccontava la storia di un cattolico comunista di Fiesole a cui erano stati negati i sacramenti e i cui compagni vestiti da prete avevano inscenato un funerale religioso. Negli anni Cinquanta lavorò per Epoca (diretto dallo zio) e scrisse per L’Europeo altri articoli trasferendosi a Roma (dal settimanale verrà poi assunta nella redazione di Milano continuando le collaborazioni fino al 1977). Come le altre sue colleghe si occupò di temi considerati adatti a delle giornaliste:costume e spettacolo. Intervistò gli attori stranieri che lavorano a Cinecittà e i grandi attori e registi del cinema italiano: Fellini, Mastroianni, Totò, Anna Magnani. Nel frattempo partecipò a diversi viaggi organizzati per la stampa nel mondo. Nel 1954 andò per esempio a Teheran e intervistò Soraya, la moglie dello Scià, e poi negli Stati Uniti: da quel viaggio nacque il reportage “Hollywood vista dal buco della serratura” che divenne anche il suo primo libro (“I sette peccati di Hollywood”).

A questa pubblicazione ne seguirono altre: “Il sesso inutile” (1961), nato da un reportage sulla condizione della donna in Oriente e Medio Oriente; “Penelope alla guerra”, il suo primo romanzo pubblicato nel 1962; “Gli antipatici” del 1963. Ebbero tutti un grande successo in Italia e vennero tradotti in diverse lingue. Oriana Fallaci poté a quel punto permettersi di comprare una grande casa in Toscana per i suoi genitori e di comprare per sé una casa a Manhattan, New York, dove si trasferì nel 1963. Diventata ormai famosa e riconosciuta, in quegli anni che cercò di occuparsi di cose che non fossero divi e mondanità: chiese a L’Europeo di poter andare in California e in Texas nelle basi della NASA per vedere da vicino come si preparavano gli astronauti e scrisse sull’argomento diversi articoli e due libri, anche questi di grande successo: “Se il sole muore” e “Quel giorno sulla Luna”.
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