Mese: giugno 2020

Ma le donne che cosa scrivono?

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La tua nostalgia è un mare che puoi navigare,
la tua nostalgia è un terreno su cui puoi camminare,
perché te ne stai allora inerte e scorata
fissando il vuoto?
Verrà un mattino con un orizzonte più rosso
di tutti gli altri,
verrà un vento a porgerti la mano: mettiti in cammino!

Edith Södergran

*

L’abitudine è la più infame delle malattie
perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia,
qualsiasi dolore, qualsiasi morte.
Per abitudine si vive accanto a persone odiose,
si impara a portar le catene, a subir ingiustizie,
a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto.
L’abitudine è il più spietato dei veleni
perché entra in noi lentamente, silenziosamente,
cresce a poco a poco
nutrendosi della nostra inconsapevolezza
e quando scopriamo di averla addosso
ogni fibra di noi s’è adeguata,
ogni gesto s’è condizionato,
non esiste più medicina che possa guarirci.

Oriana Fallaci

*

Separare congiungere
spargere all’aria
racchiudere nel pugno
trattenere
fra le labbra il sapore
dividere
i secondi dai minuti
discernere nel cadere
della sera
questa sera da ieri
da domani

Goliarda Sapienza

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*

Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev’essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso tempo in cui mi sento io.
Vorrei immaginarla, e immaginare che lei debba essere là fuori e che anche lei stia pensando a me.
Beh, spero che, se tu sei lì fuori e dovessi leggere ciò, tu sappia che sì, è vero, sono qui e sono strana proprio come te.

Frida Kahlo

*

Code

Non mi dispiace fare le code,
c’è tempo per pensare,
per guardare dentro la borsa,
dentro la tasca dell’auto,
tempo per programmare i giorni a venire
domani dopodomani,
per guardare negli occhi di quell’extra gentile
(che vetro scintillante mi ha fatto,
gli ho chiesto il sinistro domani il destro,
ogni giorno un pezzetto diverso)
tempo per guardare quel bel geranio al quarto piano,
sta bagnandolo una vecchina pulita, bellina,
tempo per leggere i titoli, il nome di una via,
tempo per cominciare questa poesia.

Vivian Lamarque

*

Apro questa scatola del giorno
sperando di trovarti in offerta
forse non è il prezzo che mi spaventa
ma la data di scadenza

Anna Maria Guerrieri

*

Donna

Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni…
Però ciò che è importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di arrivo c’è una linea di partenza.
Dietro ogni successo c’è un’altra delusione.
Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.
Non vivere di fotografie ingiallite…
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’è in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.
Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Però non trattenerti mai!!!

Madre Teresa di Calcutta

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*

Buongiorno

Superficialità! – Caro peccato,
Compagna mia e nemica mia carissima!
Tu versasti il sorriso nei miei occhi, E la mazurka in tutte le mie vene.
Da te ho imparato a non tener l’anello,
Non m’avrebbe la vita presa in sposa!
A cominciare a caso, dalla fine,
E a finire però sempre daccapo.
A essere fuscello, e essere acciaio,
In questa vita, in cui si può sì poco…
A scioglier la tristezza con la cioccolata,
E a sorridere in viso a chiunque passa!

Marina Cvetaeva

*
Essere donna, l’ho sempre
considerato un fatto positivo,
un vantaggio,
una sfida gioiosa e aggressiva.
Qualcuno dice che le donne
sono inferiori agli uomini,
che non possono fare
questo e quello.
Ah si? Vi faccio vedere io!
Che cosa c’è da invidiare agli uomini?
Tutto quello che fanno, lo posso fare anch’io.
E in più,
so fare anche un figlio.

Joyce Lussu

Remedios Varo, la vita di una sognatrice…

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Il nome della pittrice Remedios Varo è legato al movimento surrealista, l’avanguardia ispirata da André Bretón suo maestro e amico, che dopo il suo soggiorno a Parigi portò in Messico, traducendolo con la sua sensibilità e genialità artistica.

La sua tarda ma intensa attività, durante l’esilio nel paese ispano-americano, permise al surrealismo, la cui prospettiva includeva dimensioni psicologiche freudiane, di distinguersi fra le opere plastiche dell’epoca.

Questo consentì a Remedios Varo di raggiungere il prestigio internazionale e alla sua visione surrealista di essere inconfondibile nel panorama artistico degli anni ’50.

Nel secondo decennio del secolo scorso, una ragazza dagli occhi a mandorla come un gatto e uno sguardo curioso ammirava un manoscritto con immagini.

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L’affascinavano in particolare delle immagini del medioevo le visioni di Hildegarda de Bingen (artista ed erudita dell’XI secolo), come i disegni di Ende (sul Beato de Gerona) la prima donna artista, probabilmente una monaca, che firmò delle miniature nella storia dell’Europa occidentale. È così, forse, che una ragazza sognò il suo futuro d’artista.

Il suo nome era Remedios Varo ed era nata per caso in Catalogna (Anglés, Gerona), il 16 Dicembre 1908, mentre i suoi genitori (padre andaluso, Rodrigo Varo e Zejalvo, e di una madre basca Ignacia Uranga e Bergareche) vi si trovavano per motivi di lavoro.

Molto presto la piccola Remedios sogna e disegna. Pensa ai viaggi e agli andirivieni di una casa governata dai trasferimenti richiesti dalla professione del padre. La famiglia si trasferisce ad Algeciras, nel sud della Spagna, poi a Larache (Marocco) ed infine sono a Madrid.

Sono gli stessi viaggi che Varo farà fare ai personaggi che dipinge, percorsi che hanno il sapore profetico. Però deve essere questo il destino dei visionari, quelli capaci di trasformare l’ordinario, un viaggio di lavoro, nello straordinario di un’opera.

Remedios disegna fin dall’infanzia mentre riceve un’educazione liberale.Impara a disegnare tessuti e vestiti con un padre capace di infonderle anche una passione per la natura, la scienza e la fotografia, con il regalo molto amato di una macchina fotografica.

A metà degli anni venti entrò nell’Accademia di San Fernando a Madrid (una delle prime donne ad accedervi), dove conobbe Gerardo Lizárraga, uomo dal forte impegno per la Repubblica.

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Lì, fra tertulias y vivencias, conobbe nella residenza studentesca artisti come García Lorca e Salvador Dalí. Sposò Gerardo Lizárraga nel 1930 era la libertà che avveniva, paradossalmente, con un matrimonio: così doveva essere allora anche per una giovane donna di una famiglia liberale. Insieme a Lizárraga andò a Parigi, incontrando e facendo suoi gli ideali d’avanguardia del surrealismo di André Bretón.

Tornata in Spagna si stabilì nella città più surrealista della penisola iberica, a Barcellona, dove iniziò una relazione d’amore con l’artista Esteban Francés: la sua prima rottura con i severi codici morali del tempo.

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In quegli anni, e insieme a Frances e al canario Óscar Domínguez, Varo intraprese un percorso apertamente surrealista. I cadaveri squisiti sono un gioco in cui ogni giocatore scrive o disegna una parte del testo o della figura senza tener conto dell’esecuzione per il resto dei partecipanti. Il risultato è una composizione che conserva il carattere collettivo e casuale del lavoro. Il nome deriva da quella che si ritiene la prima composizione fatta dai surrealisti: il cadavere squisito berrà il vino nuovo(Le cadavre exquis boira le vin nouveau).

Lo scrittore e artista Marcel Jean avrebbe descritto Remedios Varo, nel 1935, così: “Appena dipingeva, disegnavamo un po’ e passavamo molto tempo a fare cadaveri squisiti insieme“.

Condivideva lo studio con il pittore surrealista Esteban Francés con il quale aveva frequentato il circolo surrealista di André Breton. A Barcellona, anche con Óscar Domínguez e Marcel Jean, crearono dei preziosi “cadaveri squisiti”, disegni collettivi che come per le parole, erano iniziati da un partecipante al gioco, coperti e continuati dal giocatore successivo: i risultati furono sorprendenti.

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(altro…)

Io sono Ilaria e sono morta il 20 Marzo 1994…

Mi piace raccontare di Ilaria, della morte, della storia giudiziaria, del nulla di fatto, di questa giustizia che spesso è ingiustizia quando ci sono di mezzo i “segreti di Stato”. Quale Stato? non il nostro, non quello in cui vogliamo porre la nostra fiducia. 

 

25 anni fa, il 20 marzo 1994, veniva assassinata a Mogadiscio la giornalista Ilaria Alpi, assieme al suo operatore Miran Hrovatin. Erano in missione in Somalia e indagavano su un traffico internazionale d’armi e rifiuti tossici.

Le responsabilità di quel brutale assassinio non sono mai state chiarite, ma una verità è stata definita dalla magistratura: il fatto che ci sia stato un depistaggio e la creazione di una “verità ufficiale”.

Quella “verità ufficiale” alla quale i genitori di Ilaria non si sono mai rassegnati, chiedendo costantemente di ottenere la verità sui mandanti.

Quella “verità ufficiale” sulla base della quale il cittadino somalo Hashi Omar Hassan ha trascorso in carcere 17 anni, innocente, condannato sulla base di una testimonianza infondata di un connazionale che, rintracciato dopo 17 anni dalla trasmissione “Chi l’ha visto”, ha ammesso di essere stato pagato per accusarlo in maniera del tutto infondata. Ci fu così la revisione del processo e la scarcerazione di Hassan.

Le indagini sono proseguite, ma si parla di archiviazione del processo… ma ora parliamo di Ilaria.

Una laurea in lingue e letteratura araba, conseguita con il massimo dei voti presso l’Istituto di Lingue orientali dell’Università La Sapienza di Roma, è stata il suo passaporto verso il Medio Oriente. Le sue corrispondenze dal Cairo per “Paese Sera” raccontavano l’Egitto, non solo dal punto di vista economico e politico, ma anche culturale.

Dalla metà degli anni ’80 aveva iniziato le prime collaborazioni per “Paese Sera”, “L’Unità”, “Rinascita”, “Noi Donne”, poi, nel1990 aveva vinto il concorso per i giornalisti Rai. Dalla redazione Esteri del Tg3 è stata inviata a Parigi, Belgrado, in Marocco e per sette volte in Somalia, dal dicembre 1992 al marzo 1994.

Inviata per documentare la missione di pace dell’esercito italiano nell’ambito di Restore Hope, capì che il suo scopo non era stare ad ascoltare le conferenze stampa dei generali, ma fare giornalismo d’inchiesta.

Le sue ricerche la portarono a indagare sulla strada tra Garoe e Bosaso, che attraversava il nulla , una strada apparentemente inutile, ma ottima per seppellire i bidoni di rifiuti tossici. Nel porto di Bolsaso (anonimo villaggio di pescatori del Nord della Somalia), dove Ilaria si recò parecchie volte, avvenivano movimenti molto sospetti.

Navi pirata etichettate come navi da pesca misteriosamente affondate con un carico sospetto a bordo. Ilaria Alpi intervistando i signori della guerra, sultani, uomini dei servizi segreti, forse era arrivata alla verità… aveva scoperto che parte delle armi somale andavano in Jugoslavia per alimentare un altro conflitto.

Stava preparando un servizio con clamorose ammissioni del sultano di Bosaso, ne aveva parlato con il direttore del TG3 Flavio Fusi, quando una misteriosa telefonata le fece lasciare in fretta, assieme a Miran, l’hotel Sahafi, per raggiungere l’Hotel Hamana.

Ilaria non riuscì a trasmettere quel servizio per il TG3 delle 14,20. Invece, andò in onda un’edizione speciale del Tg per annunciare in Italia la morte dei due giornalisti: “Flavio Fusi entrò piangendo nelle case degli italiani (…) Annunciando la morte della collega”.

I genitori, Luciana Riccardi e Giorgio (lui scomparso nel 2010, lei nel 2018) hanno combattuto in questi anni per arrivare alla verità e alla giustizia sulla morte della loro unica figlia. “Non credo più nella giustizia di questo paese”, aveva affermato la madre Luciana.

Nell’ottobre 2008 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito loro la Medaglia d’oro al Merito civile ( molto consueta nel nostro paese!). Nel nome di Ilaria Alpi sono fiorite tante iniziative legate al giornalismo e alla solidarietà.

Ilaria Alpi era una giovane donna forte e determinata, coraggiosa ma non aggressiva. Faceva il suo lavoro di giornalista con serietà professionale, amore e senza mai tirarsi indietro.

                              ilaria alpi e miran hrovatin.