Mese: luglio 2018

Anna Kuliscioff: socialista e femminista.

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Era il 9 gennaio 1855 quando nacque Anna Kuliscioff, da una ricca famiglia di mercanti ebrei a Moskaja. Si trasferì nel 1871 a Zurigo per studiare poiché in Russia non era consentito l’accesso all’università alle donne. Il suo animo rivoluzionario si vide fin dalla giovane età. Nel 1873, fu ordinato agli studenti russi di abbandonare l’università di Zurigo perché le giovani russe si recavano all’estero non per assecondare il demone degli studi, ma per abbandonarsi agli “impulsi del libero amore”, proprio in quell’occasione Anna in un gesto provocatorio strappò il libretto degli esami.

Tornata in Russia si avvicinò ad Andrea Costa, con il quale ebbe una relazione, si trasferirono a Parigi per collaborare all’Internazionale di Kropotkin. Si susseguirono anni difficili, anni di repressione durissima, che li vide entrambi al centro di processi e arresti. Quando il rapporto arrivò al capolinea per la gelosia di lui Anna rispondeva «Io alla fine vedo una cosa: agli uomini come sempre è permesso tutto, la donna deve essere di loro proprietà. La frase è vecchia, banale, ma ha le sue ragioni d’essere e l’avrà chissà per quanto tempo ancora». Un pensiero innovativo per il tempo. Con Andrea Costa ebbe una figlia con cui si trasferì prima a Napoli, poi a Torino e a Padova. Infine a Milano dove, dopo aver terminato gli studi di medicina, si dedicò alla cura delle persone più povere, guadagnandosi il soprannome di “dottora dei poveri”.

È proprio a Milano che raggiunse il culmine della formazione. Viene a contatto con personalità di spicco del panorama italiano. La passione e l’amore per l’impegno politico si resero sempre più chiari nell’intervento “Il Monopolio dell’uomo” del 1890 al Circolo filologico di Milano. Un intervento illuminante che analizza la questione femminile in modo chiaro e profondo. Una sferzata al maschilismo, alla mentalità chiusa e alla anormalità di secoli di dominio dell’uomo sulla donna.

“Se l’inferiorità della donna nasce dai privilegi maschili, superarla risulta certo assai difficile perché il predominio dell’uomo esce come consacrato da schemi sociali giuridici e politici che affondano le loro radici nella notte dei tempi e che da qui, sull’onda lunga della storia, giunge fino ai moderni a rinsaldare la catena della subordinazione femminile.”

La principale protagonista del femminismo italiano nel 1885 trasformò il salotto di casa nella redazione di “Critica sociale”, la rivista del socialismo riformista italiano, che Anna diresse insieme a Filippo Turati, a cui era legata sentimentalmente, fino al 1891. L’anno successivo la giovane Anna fu tra i fondatori del Partito dei Lavoratori Italiani, che nel 1895 assumerà il nome definitivo di Partito Socialista Italiano. Partito all’interno del quale Anna elaborò un testo di legge per la tutela del lavoro minorile e femminile che, presentata al Parlamento dal PSI, venne approvata nel 1902 come legge Carcano, n 242. Una vittoria, per l’epoca, nella tutela di donne e bambini. Veniva fissato a 12 anni il limite di età per l’ammissione al lavoro dei fanciulli, per alcuni lavori il limite diventò di 15 anni. Per quanto riguarda le donne la legge fissava un massimo di 12 ore di lavoro giornaliere, con una pausa di due ore, e vietava per le donne minorenni il lavoro notturno.

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Fu introdotto per la prima volta il congedo di maternità, che consisteva alle donne in un riposo obbligatorio di quattro settimane dopo il parto. Alle neo mamme venne permesso per la prima volta l’allattamento, o in una “camera d’allattamento” dello stabilimento, che divenne obbligatoria in presenza di cinquanta operaie, o con l’uscita dal posto di lavoro nei modi e tempi definiti da un regolamento interno.

Proprio grazie a “Critica Sociale” e al Partito Socialista Italiano Anna Kuliscioff riuscì a portare avanti la sua più grande battaglia: il suffragio universale, della quale fu valido alleato Gaetano Salvemini.

Erano i primi anni del Novecento e il dibattito era se estendere il voto ai cittadini maschi analfabeti. Delle donne nessuna menzione. Anna Kuliscioff chiedeva il diritto di voto per le donne, non solo per le donne appartenenti a determinate categorie sociali perché: «Direte, nella propaganda, che agli analfabeti spettano i diritti politici perché sono anch’essi produttori. Forse le donne non sono operaie, contadine, impiegate, ogni giorno più numerose? Non equivale, almeno, al servizio militare, la funzione e il sacrificio materno, che dà i figli all’esercito e all’officina? Le imposte, i dazi di consumo forse son pagati dai soli maschi? Quali degli argomenti, che valgono pel suffragio maschile, non potrebbero invocarsi per il suffragio femminile?», queste le sue parole.

Nel 1912 arriva la sconfitta. Il governo Giolitti approva una legge che concede il voto a tutti gli uomini alfabeti che abbiano compiuto i ventuno anni di età, e a tutti i maschi analfabeti che abbiano raggiunto i trent’anni. Fu così che il 7 gennaio del 1912 fonda la rivista bimestrale “La Difesa delle Lavoratrici”, che dirigerà fino al 1914 insieme a Carlotta Clerici, Linda Malnati e Angelica Balabanoff.

Morì nel 1925 e Pietro Nenni la ricordò così: “I funerali erano stati un’apoteosi per lei e per il sopravvissuto suo compagno. Ma, ai fascisti, anche l’omaggio reso a una donna insigne per sapere,  da tutti stimata per la bontà senza pari, era riuscito intollerabile. Sui gradini stessi del Monumentale, mentre a mò di saluto io gridavo “Viva il socialismo!”, fummo aggrediti. Attorno alla bara, attorno alle corone e ai nastri, ci fu una zuffa breve e feroce dalla quale parecchi uscimmo sanguinanti e pesti. Ed era triste pensare che ciò avvenne in un cimitero e davanti alla salma di una donna che, con tutta la sua anima, con tutta la sua intelligenza aveva auspicato pace, giustizia e fraternità”.

Il sogno di Anna Kuliscioff si avverò molti anni dopo, nel 1946, dopo vent’anni di fascismo e dopo la seconda guerra mondiale. Il sogno di una donna definita da Antonio Labriola come “l’unico uomo del socialismo italiano”.

E a tanti anni dalla sua morte le sue parole suonano ancora un monito attuale: “Mi auguro, per il trionfo della causa del mio sesso, solo un po’ più di solidarietà fra le donne. Allora forse si avvererà la profezia del più grande scrittore del nostro secolo – Victor Hugo – che presagì alla donna quello che Gladstone presagì all’operaio: che cioè il secolo XX sarà il secolo della donna”.

Le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto

Un libro da leggere anche se datato, ma con messaggi attuali.
Il titolo potrebbe essere forviante, ma possiede tante sfaccettature che lo rendono pertinente al contenuto del libro. La società vuole che la donna, affinché sia accettata, rispetti determinati canoni, comportamenti e aspetti: deve essere mansueta, amorevole, dedita alla famiglia, capace di sacrificarsi… insomma, deve mettere da parte se stessa per gli altri. Non rispettare questi diktat la fa cadere inevitabilmente nel calderone delle cattive ragazze, ma tante volte finirci dentro non è un male, anzi… vuol dire volersi bene.

Bambole Spettinate Diavole del Focolare

Ute Ehrhardt, nata e cresciuta a Kassel in Germania, è psicologa, psicoterapeuta e impegnata nel movimento femminista. È autrice, tra gli altri, del bestseller mondiale, poi diventato fenomeno di costume, «Le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto», pubblicato da Corbaccio in Italia, dove ha avuto una straordinaria accoglienza di stampa e di pubblico.

Di cosa parla il libro?

Le donne hanno le carte in regola. Sono attrezzate per raggiungere gli uomini in tutti i settori più importanti della vita e anche per conquistare una chiara superiorità. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre superare il muro di resistenze che frenano la loro energia: la paura dell’indipendenza, la paura dell’insuccesso, il peso della responsabilità, il timore di non essere più amate e l’eterna paura di essere sfruttate. Non esiste una formula indolore e anche le donne più sicure possono ricadere negli schemi tradizionali di sottomissione, dai quali liberarsi…

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Inanna e la nascita dell’epica

Il poema più antico del mondo,  é stato scritto da una donna per una Dea, Inanna-Ishtar,divinità sumera assimilabile alla Grande Madre dell’epoca pre-patriarcale.
Il titolo di questo poema epico è “La discesa di Inanna”, messo per iscritto nel 3000 A.C., ma precedente la scoperta della scrittura.

Jane Austen e la sua battaglia per il diritto di voto alle donne

1908 NUWSS march, Jane Austen banner

Nell’eterno, acceso dibattito su Jane Austen e il femminismo, pochi ricordano un fatto di primaria importanza per verificare l’accoglienza di questa autrice da parte delle donne che scelsero di organizzarsi in un movimento politico per l’ottenimento del diritto di voto.

Pochi, infatti, sanno che Jane Austen partecipò alla grande marcia di Londra delle sostenitrici del suffragio femminile il 13 giugno del 1908. Ovviamente, non di persona ma come una delle donne eroiche del passato a cui le donne del tempo si ispiravano per le loro lotte di emancipazione dagli schemi antichi e ormai troppo inadeguati della società patriarcale in cui vivevano, a cominciare da quella per l’ottenimento del diritto di voto, il suffragio femminile appunto (e attraverso di esso, più in generale, il diritto di essere considerate persone, esseri senzienti e cittadine con lo stesso valore e le stesse opportunità degli uomini).

La marcia di protesta di quel giorno è rimasta scolpita nella storia mondiale come una delle pietre miliari della lunga lotta per i diritti umani sul nostro pianeta. E Jane Austen vi prese parte, insieme ad altre grandi madri della letteratura inglese, sfidando la repressione dei poliziotti e della società patriarcale dall’alto di uno splendido stendardo di seta disegnato e ricamato con il suo nome dalle mani devote e grate delle militanti per il suffragio.

Tutto ciò accadde a  quasi 110 anni da quell’evento e a poco più di 200 dalla morte di Jane Austen, questa storia di donne, diritti civili e letteratura, come Jane e le sue eroine, e come le donne che si riconobbero nei suoi scritti e marciarono quel giorno innalzandola a nume tutelare della lotta per il riconoscimento della dignità umana delle donne.


NUWSS pin

La National Union of Women’s Suffrage Societies (NUWSS) era un’organizzazione fondata nel 1897 che raggruppava le diverse associazioni sostenitrici del suffragio delle donne nel Regno Unito. Da essa, nel 1903, un gruppo di militanti che sosteneva la necessità di azioni più incisive si staccò per fondare la Women’s Social and Political Union (WSPU), capitanate da Emmeline Pankhurst.

A differenza di questa seconda associazione, la NUWSS seguì sempre una linea di protesta pacifica e aperta anche al sostegno militante di molti uomini. Il termine suffragettes per identificare le militanti di questi movimenti fu coniato all’epoca da un giornalista del Daily Mail che intendeva così deriderne le attiviste, puntando soprattutto contro le socie della WSPU.

La prima grande dimostrazione pubblica della NUWSS fu organizzata il 9 febbraio del 1907: si trattava di una grandiosa marcia di protesta a cui presero parte oltre tremila donne, che si tenne  sotto una pioggia incessante e lungo le strade di Londra invase dal fango – tanto che, tra le stesse partecipanti venne in seguito chiamata Mud March, la marcia nel fango, ed è così che è passata alla storia.

I colori bianco e rosso (che, con il verde, erano distintivi della NUWSS) erano ricorrenti nell’abbigliamento delle partecipanti e sugli alti stendardi di seta bianca ricamati a lettere rosse che si stagliavano sul grigio del cielo e delle strade londinesi.

Ad organizzare questo importante aspetto della comunicazione fu un’associazione, la Artists’ Suffrage League (ASL), la lega delle artiste per il suffragio, fondata da Mary Lowndes (una grande artista del vetro colorato) appositamente per produrre gli stendardi, le decorazioni per gli abiti, i volantini e le locandine da usare durante la manifestazione.
Il pessimo tempo non fermò nemmeno gli spettatori, che assiepavano le strade assistendo a quello strano, inedito, coloratissimo spettacolo di educazione civica.
L’obiettivo di portare l’attenzione dei politici, della stampa e di conseguenza dell’opinione pubblica sul tema e sulla quantità di persone che ne sostenevano la bontà fu raggiunto.

Nell’aprile dell’anno successivo, 1908, il nuovo primo ministro, il liberale Asquith, aveva di fatto bloccato l’ennesimo tentativo di far passare una legge a favore del voto alle donne dichiarando di aver bisogno di una prova inconfutabile che il movimento per il suffragio femminile era sostenuto da un vasto numero di donne in tutto il regno.
La risposta dei movimenti non si fece attendere. La WSPU scelse il 21 giugno per organizzare una protesta a Hyde Park (che sarebbe passata alla storia come il Woman’s Sunday), mentre la NUWSS mise in cantiere un’altra grande marcia per il sabato precedente, il 13.
Accanto all’intensa mobilitazione di tutti i circoli sparsi per il regno, per i quali si sarebbero organizzati treni speciali per portare le donne a Londra, anche la ASL si mise all’opera per creare i mezzi più idonei a sostenere il messaggio a favore del suffragio femminile durante la manifestazione. Tra le tante opere (manifesti, cartoline, volantini, coccarde, ecc.), Mary Lowndes diede impulso alla produzione di nuovi, numerosi, eclatanti stendardi, originali e sempre rigorosamente eseguiti dalle abili mani delle militanti.

La testa del corteo della NUWSS

Alla testa del corteo, sarebbe stato issato lo stendardo della NUWSS. E poiché era necessario dare un colpo d’occhio immediato della massiccia presenza di donne da ogni parte del regno, furono disegnati e creati stendardi per ogni circolo ed ogni contea di provenienza delle partecipanti ma anche per chi proveniva dall’Irlanda, la Scozia, e persino da altri paesi europei, dall’America e dall’Australia. Non solo.

L’8 maggio uscì un annuncio sul Times che chiamava a raccolta tutte le donne che, per il loro lavoro, avrebbero potuto marciare in gruppi distinti sotto gli stendardi rappresentativi della loro professione: insegnanti, accademiche, artiste, musiciste, scrittrici, donne d’affari (women in business), infermiere, dottoresse, politiche, sindacaliste… Questo folto gruppo di donne avrebbe costituito il secondo distaccamento della manifestazione. Tra loro, il gruppo considerato più attivo nella battaglia per il diritto di voto era quello delle scrittrici, organizzate nella Women Writers’ Suffrage League. Il loro bellissimo, sontuoso stendardo era di velluto nero e crema, e raffigurava un’aquila.

Women Writers' Suffrage League banner

Questo gruppo espose altri stendardi che fecero scalpore tra gli spettatori e i giornalisti: vi erano indicati i nomi di grandi autrici del passato, evidentemente considerate pioniere dell’emancipazione femminile attraverso le loro opere letterarie e portate in “battaglia” come protettrici e condottiere. Tra queste, Maria Edgeworth, Fanny Burney, Charlotte ed Emily Bronte, e e Jane Austen.

Burney Bronte, Edgeworth NUWSS banner

 

1908 NUWSS march, Jane Austen banner

A loro, seguiva il gruppo delle Great Women of the Past, le grandi donne del passato, tra cui la regina guerriera Boadicea, Giovanna d’Arco, Santa Caterina da Siena (ritenuta una delle prime donne ad occuparsi di politica), Mary Wollstonecraft e le regine inglesi Elisabetta I e Vittoria. In totale, pare che gli stendardi creati e usati quel giorno fossero quasi un migliaio.

Il 13 giugno del 1908, dunque, a partire dal primo pomeriggio, una foresta ondeggiante di svettanti stendardi colorati e sontuosi si mosse come un fiume placido ma irrefrenabile dall’Embankment alla meta finale, la Royal Albert Hall. Un giornalista definì la sfilata delle oltre 10.000 attiviste come un “festival medievale di antica bellezza e grandezza”, in cui gli stendardi ebbero un ruolo determinante nel colpire l’attenzione in modo durevole ed efficace.

La strada , però,verso il riconoscimento del diritto di voto alle donne sarebbe stata ancora lunga e costellata di lotte e sacrifici. Sarà solo dieci anni dopo la Mud March che sarà ottenuto un primo grande risultato, anche se molto parziale: nel 1918, infatti, una legge diede il diritto di voto alle donne oltre i 30 anni (e oltre i 21 se proprietarie della casa di famiglia o mogli di proprietari di case), che nel 1928 sarà esteso a tutte le donne oltre i 21 anni, e con gli stessi termini riconosciuti agli uomini.

Quando ho letto questa storia per la prima volta, ho pensato al pregiudizio che vuole Jane Austen anti-femminista, paladina del ruolo gregario delle donne, condannate alla sola carriera del matrimonio (possibilmente di grande convenienza), e addirittura autrice di romanzi rosa: la scelta delle sostenitrici del diritto di voto alle donne del 1908 dimostra ancora una volta e in modo inconfutabile come questa grande autrice fosse già all’epoca considerata un nume tutelare della battaglia per il diritto di voto e, più in generale, per l’emancipazione delle donne dagli schemi rigidi della società patriarcale in nome dell’affermazione del proprio valore come persona.

Quindi, possiamo non sapere se abbia letto Rivendicazione dei diritti della donna di Mary Wollstonecraft, pubblicato nel 1792 quando Jane è una giovane donna di diciassette anni, e che cosa ne pensasse. Ma sappiamo per certo che era abituata a leggere di tutto, dai libri ai giornali, e a prestare attenzione al dibattito culturale e politico, e che nella ricca biblioteca di suo padre, a cui aveva libero accesso, era venuta in contatto con quelle tesi poiché c’era una copia di Hermsprong di Robert Bage, un romanzo filosofico del 1796 che riprendeva le idee di Mary Wollstonecraft.E soprattutto sappiamo che nelle sue opere Jane Austen racconta la propria realtà in modo diretto ma obliquo, appunto, e splendidamente concreto, attraverso le situazioni o le dichiarazioni delle sue eroine.

In un’epoca, la sua, in cui i ruoli sociali dell’uomo e della donna erano definiti da schemi intoccabili e a compartimenti stagni, e contrapposti, ben più rigidi di quanto non lo siano ancora oggi, ecco una donna antitetica al modello femminile predefinito e approvato – fuori età massima, nubile, di classe media, assai meno che benestante, per di più scrittrice (anche se anonima) con la fissazione di mantenersi da sola – che non teme di lasciare le briglie sciolte alla sua intelligenza e sensibilità per raccontare la condizione femminile e rivendicare il diritto di essere riconosciuta come creatura senziente, per le sue donne, per sé, per noi. Questo avevano visto le sostenitrici del suffragio femminile che la scelsero come compagna di strada nella marcia verso l’autodeterminazione in quel pomeriggio di giugno del 1908.

Jane Austen era, allora come oggi, “più moderna dei moderni“, così lungimirante da essere più avanti, assai più avanti di noi che abbiamo ancora bisogno di un 8 marzo per riflettere sul ruolo e il destino delle donne nella società patriarcale moderna.

by Cassandra Austen, pencil and watercolour, circa 1810

“In me c’è un’ostinazione che non sopporterà mai di essere intimorita dalla volontà degli altri.  Il mio coraggio cresce sempre, a ogni tentativo di intimidirmi.”
Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio


Fonte:
La maggior parte delle notizie e delle immagini riportate in questo articolo vengono dal dettagliato e illuminante articolo di Elizabeth Crawford (un nome molto austeniano!), pubblicato sul suo sito Woman and her Sphere: Suffrage stories: An army of banners – Designed for the NUWSS Suffrage Procession 13 June 1908 (in inglese).

Dove si trovano gli stendardi oggi:
L’importante archivio della Artists’ Suffrage League, con quanto creato da Mary Lowndes, è conservato alla Women’s Library della London School of Economics, mentre alcuni stendardi sono di recente entrati a far parte della collezione del meraviglioso Museum of London, dove un settore importante è dedicato alla storia delle Donne che fecero l’impresa. Fino al prossimo gennaio 2019, è in corso una mostra tematica sul tema Votes for Women.

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In Italia, noi donne abbiamo atteso molti decenni, comprese due guerre mondiali con tanto di dittatura tra l’una e l’altra, per avere lo stesso diritto di contare. In un periodo, il nostro, in cui votare è un diritto disdegnato da tante persone, può essere utile ricordare che le donne italiane hanno ottenuto il diritto di voto nel 1945, esercitato per le amministrative, e su scala nazionale abbiamo votato per la prima volta nel 1946.