“Una donna”: un romanzo che ci riporta al presente e al coraggio di scegliere liberamente del proprio destino.

Ho letto e riletto Una donna di Sibilla Aleramo con lo stesso entusiasmo e curiosità della prima volta.

Io, una giovane donna alle prime letture femministe che da poco aveva cominciato a nutrirsi di libri e non erano tanti quelli da consultare. Mi sentivo chiamata in causa dalla protagonista, mi riconoscevo nel suo bisogno di emancipazione. Parlava anche di me, di noi!


Maria Feliciana Faccio, detta Rina, in arte Sibilla Aleramo nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876. Scrive Una donna nel 1901. Il libro uscirà qualche anno dopo nel 1906, con la casa editrice Sten. Sarà tradotto in molte lingue. Nel 1908 sarà tradotto in francese, poi in tedesco e in altre ancora. Per il suo contenuto rivoluzionario fu rifiutato in un primo momento sia dall’editore Treves che da Baldini e Castoldi. È riconosciuto da tutti come il primo libro femminista in Italia e la vita di Sibilla Aleramo ha segnato una tappa fondamentale nel processo di emancipazione femminile. 

Siamo ai primi del Novecento, con lei nasce l’immagine di una donna nuova, non più solo moglie o madre. Il libro ebbe molta fortuna. Dopo la prima edizione del 1906, ci fu l’edizione Feltrinelli del 1950, del 1973 e da ultimo quella del 1982 con la rilettura di Maria Conti. La letteratura straniera aveva già pubblicato libri femministi, Virginia Woolf per tutti. In un certo senso Sibilla Aleramo ha anticipato Virginia Woolf, Sibilla e Virginia vengono a trovarsi vicine entrambe prototipo della donna indipendente e autonoma. Se Virginia Woolf anelava a una stanza tutta per sé e all’indipendenza economica, vediamo che Sibilla seguirà le stesse indicazioni di rotta. L’importante è avere un foglio bianco su cui scrivere e disporre di denaro per sentirsi libere.

Una donna è un libro autobiografico, ma insieme un romanzo. La giovane protagonista si vede costretta a trasferirsi con la famiglia nella provincia marchigiana di fine Ottocento. Avrà una vita difficile in un contesto culturale molto arretrato. Molto amata dal padre, con una madre malata psichica, si adatta a trovare un posto nella famiglia e nella piccola cittadina di provincia. Ancora giovanissima, aveva appena quindici anni, si innamora di un giovane impiegato nella fabbrica di famiglia. Un amore infelice da cui nascerà un figlio. Per il bisogno di esprimere sé stessa però fuggirà appena possibile anche dall’amato figlio Walter. Complice proprio una piccola somma di denaro, 25 mila lire, ricevuta in eredità, potrà finalmente partire. 

L’indipendenza economica le era utile per sottrarsi all’autorità del marito, ecco un’altra similitudine con Virginia Woolf e la storia delle tre ghinee. In assenza di divorzio, aspettò molti anni prima di poter uscire dal contratto matrimoniale. La prima parte del libro ha una prosa ottocentesca ma nella seconda parte, invece, come se seguisse l’evoluzione del personaggio, la voce narrante sembra prendere il via e scorre fino alla fine intensa e moderna.

L’emancipazione femminile era già entrata nel nostro dibattito politico e culturale e il romanzo dell’Aleramo piombò sulla scena con la forza spudorata di un’autobiografia. Senza mai fare nomi (i personaggi sono sempre chiamati con il loro ruolo: marito, madre, figlio…) denunciava la condizione delle donne e rivendicava la parità tra i sessi. Venne definito il primo libro femminista in Italia, anche se non sempre le femministe amarono la sua autrice.

Nonostante tutto scriverà libri, sarà un punto di riferimento del movimento femminista italiano e straniero. Durante tutto il racconto delle sue vicende però ci accompagna il dolore di quella porta che si chiude alle sue spalle e lascia dietro il figlio. Non sarà stato facile percorrere quella strada nuova. E proprio a Walter dedicherà il libro.

In una puntata del programma di letteratura di Rai Cultura L’altro ’900 del 2019 così Sibilla Aleramo si racconta: «Non penso di aver fatto un’opera sublime, penso però di aver consegnato qualcosa di importante, una verità profonda che riguarda uno dei più importanti sentimenti umani che è l’amore, averlo consegnato sia pure in frammenti alle generazioni future». Le sue carte sono conservate presso la Fondazione Gramsci di Roma. Il libro diede anche lo spunto per un film dal titolo: Un viaggio chiamato amore di Michele Placido (2002), incentrato sulla relazione tra Sibilla Aleramo e Dino Campana (Laura Morante e Stefano Accorsi).

http://trovacinema.repubblica.it/film/un-viaggio-chiamato-amore/122512/

Ed ora, a distanza di un secolo, cosa è cambiato nel destino delle donne? Potremmo dire molto o poco e argomentare per ore. Una sola osservazione. Gli uomini non sono cresciuti abbastanza per condividere e comprendere il lavoro di cura e dare valore e riconoscimento alle donne.

Se i dati che ci arrivano sull’argomento non sono sempre positivi, sappiamo comunque che tanta strada è stata fatta dalle donne nel processo di emancipazione. A questo primo libro ne sono seguiti molti altri. Il Novecento, il secolo appena passato, è stato il secolo delle lotte per i diritti, da qualcuno definito il secolo delle donne. Forse ci aspettavamo qualcosa di più ma le generazioni future sapranno far tesoro del passato. Una Donna è un’opera letteraria che ha più di cent’anni e se li porta bene.

Sono tornata bella
e forse è questo l’ultimo mio autunno.
Bella più di quando gli piacqui nel sole,
bella, e vana ai suoi assenti occhi,
come una foglia d’ombra…
Ma certe notti,
nel silenzio che più non turba il pianto,
invocata mi sento
con disperata sete
dalla sua bocca lontana.


Sibilla Aleramo

Sibilla in un ritratto di Guttuso del 1951

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