Ni una màs…

Mai sentito parlare di Ciudad Juárez? Basta farsi un giro tra le classifiche delle città con più alto tasso di criminalità al mondo per trovarla tra le prime posizioni.
Da donna non mi sono mai sentita al sicuro a camminare per strada, visto ciò che si sente in giro… Figuriamoci qui!
Mi si accosta una macchina affianco e dopo qualche secondo di terrore mi rendo conto che dietro il finestrino c’è Susana Chávez: ci saremmo dovute incontrare direttamente in un bar, poche centinaia di metri più avanti, ma a questo punto un passaggio lo accetto volentieri.
“Grazie, andiamo al bar di cui mi ha parlato al telefono?”
“Ti prego, non darmi del Lei. Va bene, allora!
Sedute davanti a una birra gelata, in una delle poche vie tranquille di Ciudad Juárez, nasce subito un’intesa tra di noi. Sarà l’età, sarà che abbiamo due personalità affini, ma subito mi sembra di parlare con una vecchia amica…
“Quando hai cominciato a scrivere poesie?”
“Ero molto piccola, avevo undici anni. Ovviamente crescendo ho trascinato con me la mia poesia, è cresciuta anche lei”.
“C’è un tema che attraversa la tua scrittura?”
“Sicuramente il protagonismo della natura, del simbolismo naturale. Da grande, ho trovato grande ispirazione anche nel mondo femminile, nelle mille sfaccettature che esistono nell’approccio delle donne alla propria corporeità. Credo che questo senso di vergogna che ci viene istillato fin da bambine abbia generato una cappa di silenzio, ma è proprio nel silenzio che una voce fa più rumore”.
“Che cosa intendi dire?”
“Che si può, si deve, partire dal proprio silenzio, dalla propria marginalità per ritagliarsi uno spazio di libertà, di autonomia. In poche parole: non è mai troppo tardi!”
“Secondo te la poesia ha il potere di cambiare il mondo?”
“A questo non so risponderti. Sono convinta che possa risvegliare le coscienze e magari, aiutare a far alzare la voce. Questo è sempre stato il mio scopo, sia come attivista sia come poetessa”.
“Cos’è che rende così grave la situazione in questa regione del Chihuahua?”
“Dal 1993 in questa zona viene portato avanti un genocidio di genere senza fine, che cresce ogni anno che passa, tanto che siamo arrivati a una media di tre donne uccise ogni due giorni. È difficile individuare i fattori che hanno contribuito a creare questa orrenda condizione in Messico, sicuramente c’è un problema culturale, c’è la criminalità organizzata e ci sono le maquiladoras…”
“Scusa l’ignoranza, ma cosa sono le maquiladoras?”
“Qui in Messico sono stabilimenti industriali controllati dagli Stati Uniti dove vengono assemblati prodotti che poi tornano al paese d’origine. I diritti umani nelle maquiladoras praticamente non esistono e ci lavorano moltissime ragazze per pochi dollari al giorno. Molte delle vittime di femminicidio in Messico sono operaie delle maquiladoras, che vengono rapite, violentate e uccise lungo il percorso che fanno tutti i giorni per andare e tornare dalle periferie e dalle zone rurali di questa regione”.

Ciudad Juàrez: la mattanza delle donne
Tu che ne hai viste veramente tante, pensi ci sia ancora una speranza per Ciudad Juárez?”
“Finché il governo non si deciderà ad aprire gli occhi, a interrompere il suo silenzio complice, continueremo ad essere decimate e potrà solo andare peggio. Ora come ora provo una sensazione di vuoto, abbandono e impotenza, come molti altri suppongo. Immaginare un miglioramento per quanto mi riguarda è difficile, ma nutro ancora delle speranze perché sono una donna di fede!”
Una Ciudad Juárez diversa Susana non l’ha potuta vedere. Il 6 gennaio del 2011 l’hanno ritrovata morta sul ciglio della strada, abbandonata come un sacco di spazzatura.
Aveva 36 anni.
Dopo il ritrovamento, il cadavere è stato trattenuto dalle autorità per cinque giorni e si è fatto di tutto per slegare l’omicidio di Susana dal suo attivismo politico.
“Era ubriaca…Ha incontrato tre ragazzi fuori controllo al bar, la situazione è sfuggita di mano…” hanno detto gli inquirenti, che, in parole povere, suona come il solito, vergognoso “se l’è andata a cercare…”
L’assassinio di Susana Chávez si iscrive invariabilmente nell’ambito dei femminicidi, un crimine che si aggiunge a quello di migliaia di donne assassinate per ragioni violente. È la radiografia della mascolinità più primitiva, quella che lacera, offende, ferisce, aggredisce, insulta e dilania la società. Abbiamo bisogno di costruire tra tutti una mascolinità senza violenza, attacchi e impunità.
Una chitarra le dà il commiato al cimitero. Sua madre mette un foglio nella bara. È la poesia che Susana Chávez scrisse in onore a una morta di Ciudad Juárez: “Sangue mio, sangue di alba, sangue di luna tagliata a metà, sangue del silenzio”.

SUSANA CHAVEZ: nata a Ciudad Juárez nel 1974 è stata una giornalista, poetessa e attivista per i diritti umani messicana. Iniziò a scrivere poesie a 11 anni, partecipando a molti dei festival letterari e forum culturali Messicani, offrendo anche letture delle sue poesie durante le manifestazioni per le donne scomparse e assassinate. Laureata in psicologia alla Universidad Autónoma de Ciudad Juárez, al momento della morte stava lavorando a un libro di poemi e scriveva inoltre sul suo blog Primera Tormenta.
È conosciuta come l’autrice dello slogan “ni una mujer menos, ni una muerta más” (“non una donna di meno, non una morta in più”), usato dagli attivisti per manifestare contro il massacro delle donne di Juàrez.