Mese: giugno 2024

“Shoshana” il film che racconta la Palestina degli anni Trenta  attraverso la storia di una donna ebrea.

La cover della pellicola.

La storia della protagonista del film, progressista e femminista, è ispirata a quella della figlia di Ber Borochov, tra i teorici del sionismo socialista, ‘convinto che arabi e israeliani potessero convivere in Palestina’.

L’ultimo film di Michael Winterbottom,  che si intitola  Shoshana, è stato presentato in prima mondiale a Toronto, ed è un thriller politico che racconta una vera storia avvenuta nella Palestina occupata dagli inglesi negli anni Trenta, prima della nascita di Israele, e che “affronta il modo in cui l’estremismo politico e la violenza creino una separazione tra le persone costringendole a scegliere da che parte stare”.

Le vie del cinema sono imperscrutabili: il film del regista inglese esce nel pieno della attuale fase dell’interminabile guerra tra Israele e i suoi nemici, scatenata dall’attacco di Hamas di oltre 8 mesi fa. Il tempismo può apparire sospetto, vista la inusuale prospettiva storica prescelta, ma in realtà il progetto di questo film risale – sembra – al 2007, anno in cui il cineasta aveva partecipato al Jerusalem Film Festival.
Si tratta, in ogni caso, di una uscita nelle sale (dal 27 giugno con Vision Distribution) quanto mai opportuna per fare chiarezza sulle origini di tanto odio e distruzione generati dal secolare dramma dell’ebraismo. 


La vicenda, infatti, è collocata nella Palestina sottoposta al mandato britannico, una sorta di protettorato che gli inglesi si attribuirono nello scacchiere del colonialismo internazionale sulla base della “Dichiarazione Balfour”, dal nome del ministro degli esteri di Sua Maestà che – nel pieno della I guerra mondiale, combattuta contro gli Imperi centrali tra cui quello Ottomano – si era impegnato ad assicurare agli ebrei un “focolare nazionale”, ovvero una patria dove raccogliere la diaspora millenaria del popolo di Jahvè.

Questo progetto, volto a realizzare le aspirazioni del sionismo, suscita l’entusiasmo e la voglia di partecipazione alla costruzione dello Stato d’Israele in tanti giovani provenienti soprattutto dall’Europa centro-orientale: tra questi la protagonista Shoshana (Irina Starshenbaum), una giovane giornalista ucraina di famiglia progressista, che si trasferisce nella sempre moderna Tel Aviv.

Qui Shoshana frequenta attivisti e intellettuali ebrei come lei, con i quali condivide il sogno di uno Stato socialista dove vivere in pace con gli arabi che vivono in terra di Palestina. Peccato, però, che quel sogno resterà tale, anche perché proprio negli anni in cui si sviluppa la vicenda (dal 1938 al 1940) all’aggravarsi dell’antisemitismo in Europa – culminato con l’aggressione nazista alla Polonia – corrisponde la nascita di gruppi paramilitari ebraici, intenzionati ad imporre con la violenza la creazione del loro Stato.

L’Irgun, un gruppo clandestino dedito al terrorismo, compie numerosi attentati dinamitardi sia contro civili arabi, sia contro membri dell’esercito britannico, considerato dagli oltranzisti una forza d’occupazione nemica. Uno degli ufficiali, Tom Wilkin (Douglas Booth), diventerà il fidanzato di Shoshana, sfidando convenzioni e regole non scritte. 
Di questo amore lei pagherà il prezzo più alto, come sempre o spesso capita alle donne, rischiando di fare la fine di altre ragazze colpevoli di “farsela con il nemico” e di essere ripudiata dal fratello integralista.

Winterbottom mette la relazione tra i due giovani a far da contrappunto al conflitto dal più ampio respiro storico, che in parallelo corre verso l’inevitabile inasprimento con, alla fine, l’avvio di una guerra strisciante a carattere ormai permanente in quella tormentata regione: Shoshana abbandonerà gli ideali socialisti del padre e imbraccerà le armi a fianco dei suoi compagni, contro popoli a loro volta vittime dei crudeli giochi imperialistici di un terribile ‘900. 


Di seguito il trailer del film di Michael Winterbottom con Harry Melling e Douglas Booth in lingua italiana.

Lou Andreas Salomè: la prima donna psicoanalista e femminista ante litteram.

Ritratto fotografico di Lou Salomè, 1897 c.a.

“Solo chi rimane completamente se stesso si presta alla lunga a venire amato, perché solo così, nella sua pienezza vitale, può simbolizzare per l’altro la vita ed essere avvertito come una potenza di essa. Non vi è errore più grande nell’amore dell’adattarsi timorosamente l’uno all’altro e di uniformarsi a vicenda…”.

Lou Andreas Salomé, “La rivolta dell’Eros. Sull’amore e Il tipo di donna”.

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Luo Andreas Salomè nata a Pietroburgo in Russia nel 1861, morta a Vienna nel 1931, esule profuga, “heimatlos” come la si definisce, ossia una senza casa, senza patria. Una “straniera” che dà all’esperienza del viaggio un significato rivoluzionario, un’esperienza di rottura.

Essere senza terra ma percorrere le strade nella notte per una donna diventa un modo di vivere che fa sovvertire i dogmi anche della tradizione del pensiero filosofico e psicoanalitico.

Sigmund Freud fotografato da Max Halberstadt nel 1922.

Lou conobbe Freud nel 1911 dopo aver preso parte al Congresso della Società psicanalitica di Vienna e al termine degli studi divenne lei stessa psicoterapeuta.

Donna intellettuale irrequieta, anticonformista è un’innovatrice della riflessione filosofica poichè pone al centro dell’eros l’erotismo delle donne mai indagato dando così rilievo alla materia erotica della sensualità sempre vista dalla tradizione storica e religiosa come il male.

La sessualità femminile quando non è subordinata al desiderio maschile ma è libera, viene da sempre considerata una sessualità “eretica”, immorale, che divora e distrugge e per questo pericolosa per l’uomo.

I titoli delle sue opere ne sono la testimonianza: “La materia erotica. Scritti di psicoanalisi”, “Riflessioni sull’amore”, “Il mito di una donna”, “Eros e conoscenza”, “La rivolta dell’eros”, “Devota ed infedele”, e molti altri ancora.

E poi c’è il carteggio con Freud di cui fu allieva libera, appassionata e indipendente rispetto alle idee del padre della psicoanalisi.

Friedrich Nietzsche nel 1882

Peccato che questa grande teorica e innovatrice dalla cultura profonda sia conosciuta molto spesso solo come una donna dalla bellezza magnetica, ispiratrice del filosofo Nietzsche e per la tormentata relazione con il poeta e scrittore Rainer Maria Rilke.

Lou però non fu una semplice musa capace di ispirarli con la sola bellezza e soavità, ma una raffinata intellettuale capace di aprire orizzonti  a chi le viveva accanto, creando così le condizioni ideali per la manifestazione del genio.

Libro in vetrina…perché piace guardare le donne cadere!

Alzi la mano chi non conosce per filo e per segno le tristi vicende che hanno condotto Britney Spears alla tutela legale da cui solo qualche anno addietro si è liberata. E chi non si è rammaricato per la morte di Amy Winehouse  o di Whitney Houston, che da morte sono tornate a essere un mito mentre nell’ultima parte della loro vita erano diventate donne perdute?

Tutte loro sono trainwreckdonne spezzate, che hanno deragliato. Parla di loro e del perché ci piace osservarne la rovinosa caduta il libro “Spezzate” di Jude Ellison Sady Doyle uscito per le edizioni Tlon con la traduzione di Laura Fantoni e Andrea Salomone.

L’immagine del treno che deraglia è potente, ed è spaventosa: il tragitto di una donna deve seguire un percorso circoscritto, predeterminato, sempre identico. Se dai binari devia, inevitabilmente, deraglia. E non c’è ritorno, perdono o pietà.

Ancora più sconcertante è l’idea che la sofferenza di una persona diventi fonte di intrattenimento. Eppure ogni giorno stiamo a guardare. I sottili meccanismi che agiscono da secoli (sì, secoli, ben prima dell’avvento dei social media) hanno radicato nelle nostre menti l’idea che una donna che deraglia meriti le conseguenze del disastro.

Guardarla, giudicarla, biasimarla sono sfaccettature dello stesso atteggiamento: una donna che esce dai ranghi non rispetta le regole. Fa troppo sesso, beve troppo alcol, usa troppa droga, ha troppa rabbia, troppo dolore, troppa esuberanza? Allora la sua vita merita di essere frugata e messa sotto gli occhi di tutti: la sfortunata ex-brava ragazza che se l’è cercata.

La trainwreck come nuova icona femminista.

Tutto questo serve al patriarcato per dimostrare quale terribile sorte attenda chi non si conforma a modelli di comportamenti giudicati idonei. Ma Doyle offre una prospettiva nuova a chi voglia tentare di ribaltare lo sguardo. La trainwreck diventa un’icona femminista potentissima esattamente nel momento in cui deraglia e mostra con chiarezza quali sono i limiti che la società impone alle donne. Insomma, quanto ci è consentito fare rumore (spoiler: pochissimo, prossimo al niente). Le punizioni sono tremende: implacabile giudizio, oblio o morte, non ci sono alternative.

La donna che deraglia perde tutto – credibilità, status, rispetto – ma lo fa combattendo le norme che le vietano di agire secondo il suo sentire. Non le interessa il ruolo di brava ragazza. La brava ragazza può essere solo invisibile, occupare meno spazio possibile, non farsi notare. Oppure deve essere morta, la morte riabilita l’onore. Finché sono vive, ribollenti, sanguinanti, devianti, le trainwreck meritano di essere additate come cattivi esempi. Il motivo per cui sono sottoposte ai raggi X del biasimo sociale (e social) è proprio quello di indicare come non si deve essere. Doyle racconta che da ragazzina, scegliendo il suo costume per Halloween, aveva optato per Courtney Love. Un mostro. Una trainwreck.

Non ci vuole niente a spezzare una donna. Nel tempo sono cambiati i metodi e la rapidità, ma non l’efficacia del sistema. Se ai tempi di Mary Wollstonecraft c’era solo la stampa, oggi ci sono i social sempre pronti a registrare e riprodurre in loop ogni comportamento censurabile, a spettacolarizzare il dolore e renderlo esemplare. Ecco che fine farai se… E nessuno è al sicuro in un mondo in cui la tecnologia si trasforma facilmente in sorveglianza costante della vita di tutti e tutti mostrano continuamente la propria vita online.

Donne che deragliano: trainwrech di ieri e di oggi.

Nel libro si scoprono le traiettorie di molti personaggi accomunati da un unico destino, di ieri e di oggi… Paris Hilton e Tara Reid, Lindsay Lohan e Taylor Swift. Britney Spears, naturalmente. E ancora Miley Cyrus, Monica Lewinsky, Amy Winehouse, Lady D, Whitney Houston. E ci sono anche le trainwreck del passato. Oltre a Mary Wollstonecraft e Charlotte Brontë, anche la scrittrice afroamericana ed ex-schiava Harriet Jacobs che raccontò l’abuso del padrone in un libro bollato come fiction, indegno di credibilità e condannato all’oblio. C’è anche la parabola di Sylvia Plath, e quella di Valerie Solanas. Tutte hanno pagato un prezzo altissimo, imposto da una società che pretende che le donne siano, e rimangano, controllabili.

Una miriade di regole norma ogni sfera dell’esistere di una donna e quando una scelta qualunque devia dalla norma è a quella che si riduce l’intera vita della trainwreck. Per una donna saltare gli steccati, ieri come oggi, è visto come un tentativo di sovvertire tutte le regole su cui si fonda la società, non come il desiderio personale di vivere la vita che si vuole. Su chi è famosa l’errore viene fatto pesare in maniera amplificata, ma siamo tutte soggette allo stesso meccanismo. Quello che si scatena immediatamente va dalla curiosità all’indignazione, più raramente c’è pena.

Non c’è scampo per la trainwreck né per noi che stiamo a guardare. Distogliere lo sguardo è difficile perché insieme al sistema di norme da non violare il meccanismo patriarcale ha messo a punto anche un formidabile strumento di deterrenza: farci guardare le donne sporgersi sull’abisso e precipitarvi ha il potere dell’esempio da non imitare, pena ritrovarsi nella stessa situazione.

Il libro lo consiglio per chi come me conosceva poco di queste vicende o comunque ha seguito distrattamente gli sviluppi su Clinton, sulle attrici, sulle poetesse prima osannate e poi dimenticate. Chi invece conosce già questi episodi potrebbe non trovare nulla di nuovo nel libro in termini di nozioni, ma la parte importante del saggio è tutta riflessiva. Spezzate fa scattare una molla, che è quella del ragionamento ed è quella che ci renderà davvero libere.
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L’ autrice Jude Elison Sady Doyle.

Accogliamo Giugno con due poesie al femminile.

Due visioni del mese di giugno, quello più verde e umido di un bosco russo cantato dalla poetessa futurista Elena Guro, e quello mediterraneo, giallo di grano e di sole, caldo, in contrasto con l’azzurro del mare e con i falò che illuminano la notte del Corpus Domini nei versi della scrittrice catalana Olga Xirinacs

ELENA GURO

Giugno

Intenso, azzurro intenso. 
Il bosco è pieno di calore. 
Ed ebbri pendono gli aghi dei pini 
e c’è un lieve 
risuonar di sogni. 
Intensi, intensi gli aghi.
Pieni di calore, 
e di felicità, 
e di ebrezza, 
e di estasi

1913

OLGA XIRINACS

Poesia di Giugno

Poesia del mese di giugno
giallo di sole e di grano
gigli in fiore sulla montagna
e le spiagge spalancate.
Che luce nel mese di giugno
dolce e aspro, radioso e chiaro
mille falò sopra le vette
li guardano dal mare azzurro.

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 Elena Genrichovna Guro (Pietroburgo, 18 maggio 1877 – Usikirko, 6 maggio 1913), scrittrice e pittrice russa. La sua carriera ha attraversato il periodo di transizione tra il simbolismo e il futurismo: fu esponente di spicco del gruppo conosciuto come Cubofuturismo. È nota per aver sviluppato nuove teorie sul colore nella pittura.

Olga Xirinacs Díaz (Tarragona, 11 maggio 1936), scrittrice e pianista spagnola in lingua catalana. Ha una solida formazione artistica, che dona spessore alla sua opera letteraria. Ha scritto poesie, romanzi, racconti e saggi.  Sul piano della poesia spicca la raccolta di poesie Llavis que dansen, del 1987.