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“Nessuna Parola” di Margherita Guidacci

JAMES TISSOT, “ASPETTANDO IL TRAGHETTO”

Poiché non mi veniva nessuna parola 
(la parola era «addio», ma non riuscivo a dirla) 
ti ho dato il mio silenzio 
ed ho ascoltato il tuo, 

e non è stato un vuoto, ma condivisa pienezza 
e ancora gioia, mentre accettavamo, 
come la terra, un nostro tempo di neve,  
bianco grembo d’attesa delle future estati.

(da Inno alla gioia, Centro Internazionale del Libro, 1983)

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Durante la guerra, Margherita Guidacci conobbe un giovane soldato proveniente dal Cile, in cerca di qualcuno che potesse tradurre in italiano versi di Gabriela Mistral. Il reciproco amore fu stroncato prima dalla guerra – Francisco conobbe addirittura gli orrori del fronte russo – e poi dal ritorno in patria di lui nel primo dopoguerra. 

Spesso i versi della Guidacci sono espressione di abbandono, di rinuncia: lo sono ancora di più come in questo caso in cui racconta l’addio. Eppure, dopo tante traversie, Francisco ritroverà Margherita, in seguito a una lunga e fortunosa ricerca, molti anni dopo.

Margherita Guidacci (Firenze, 25 aprile 1921 – Roma, 19 giugno 1992), poetessa e traduttrice italiana.

Dopo la crisi del suo matrimonio, negli Anni’60, superò un decennio di grave sofferenza psichica che culminò nel ricovero in una clinica neurologica.

Tra i poeti da lei tradotti John Donne, Emily Dickinson, T.S. Eliot ed Elizabeth Bishop.

Ci vuole coraggio a tremare…

Chandra Livia Candiani

“Non voglio imparare a non aver paura,
voglio imparare a tremare.
Non voglio imparare a tacere,
voglio assaporare il silenzio da cui
ogni parola vera nasce. Non voglio
imparare a non arrabbiarmi, voglio
sentire il fuoco, circondarlo di
trasparenza che illumini quello che
gli altri mi stanno facendo e quello
che posso fare io. Non voglio accettare,
voglio accogliere e rispondere.
Non voglio essere buona, voglio
essere sveglia. Non voglio fare male,
voglio dire: mi stai facendo male, smettila.
Non voglio diventare migliore, voglio
sorridere al mio peggio. Non voglio essere un’altra, voglio adottarmi tutta intera. Non
voglio pacificare tutto, voglio esplorare
la realtà anche quando fa male, voglio
la verità di me. Non voglio insegnare,
voglio accompagnare. Non è che voglio così, è che non posso fare altro”.
[Chandra Livia Candiani, “Il silenzio è cosa viva” – Einaudi 2018]

Chandra Livia Candiani (Milano 1952) è poetessa e traduttrice di testi buddisti, tiene corsi di meditazione e conduce seminari di poesia nelle scuole elementari, nelle case alloggio per malati e per i senza tetto.

Il silenzio è cosa viva“, da cui é tratta la poesia è un bellissimo libricino in cui la poetessa Candiani ci conduce verso il silenzio per scoprire che, guarda caso, è proprio lì che scorre la vita.

Ho letto queste pagine in cui ho riscoperto la pace e la voglia di ascoltare il silenzio, soprattutto di questi tempi e in un mondo di schiamazzi e troppe parole, perché serba un pezzo di noi.

 “Nel punto dove silenzio e solitudine” di Sophia De Mello Breyner Andresen

Nel punto dove silenzio e solitudine
Incontrano la notte e il freddo,
Ho aspettato come chi aspetta invano,
Così netto e preciso era il vuoto.

(da Poesia, 1944)

L’intensità dell’epigramma coglie bene la realtà: la sua brevità consente – come per l’haiku giapponese – di cogliere lo spunto della meditazione e di farlo proprio. La poetessa portoghese Sophia De Mello Breyner Andresen descrive le sue impressioni di una notte fredda e solitaria, rivelando la sua consonanza con il mare e la notte, che alimentano la nostalgia: “Ancora una volta incontro  il tuo volto / mia notte che credevo perduta, / mistero di luci e ombre / sul cammino della spiaggia“.

Sophia de Mello Breyner Andresen (Porto, 6 novembre 1919 – Lisbona, 2 luglio 2004), poetessa portoghese, seconda donna a vincere il Premio Camões nel 1999. La sua opera consta di 15 libri di poesia, pubblicati tra il 1947 e il 1999, che riconoscono alla parola un valore intrinseco e per questo sono rigorosi, armonici ed equilibrati. Scrisse anche racconti, opere teatrali e libri per ragazzi.

“Come trionfare da ragazza” di Ada Limón.

Mi piacciono di più le cavalle,

il modo in cui fanno sembrare tutto facile,

come il correre 40 miglia all’ora

fosse divertente quanto fare un sonnellino, o brucare.

Mi piace la spavalderia delle cavalle,

dopo che hanno vinto. Alte le orecchie, ragazze, alte le orecchie!

Ma principalmente, siamo onesti, mi piace

che siano femmine. Come se questo grande

pericoloso animale fosse anche una parte di me,

come se da qualche parte dentro questa delicata

pelle del mio corpo, pompasse

un cuore da cavalla di 8 libbre,

gigante per potere, pesante di sangue.

Non volete crederlo?

Non volete sollevare la mia camicia e vedere

l’enorme macchina geniale che batte

che pensa, no, che sa

che arriverà prima.

Ada Limón

Nata il 28 marzo 1976, Ada Limón è originaria di Sonoma, in California. Da bambina, è stata fortemente influenzata dalle arti visive e dagli artisti, inclusa sua madre, Stacia Brady. Nel 2001 ha ricevuto un MFA dal Creative Writing Program presso la New York University.

Con la sua prima raccolta di poesie,  Lucky Wreck  (Autumn House Press, 2006), è stata la vincitrice del 2005 Autumn House Poetry Prize. È anche autrice di  The Carrying (Milkweed Editions, 2018);  Bright Dead Things  (Milkweed Editions, 2015), finalista al National Book Award;  Sharks in the Rivers  (edizioni Milkweed, 2010); e  This Big Fake World  (Pearl Editions, 2006), vincitrice nel 2005 del Pearl Poetry Prize. Del lavoro di Limón, il poeta  Richard Blanco  scrive: “Sia morbido e tenero, enorme e clamoroso, i suoi gesti poetici entrano e trafiggono”.

Borsista nel 2001-2002 presso il Provincetown Fine Arts Work Center e un Guggenheim Fellow, ha anche ricevuto una borsa di studio dalla New York Foundation for the Arts e ha vinto il Chicago Literary Award for Poetry.  Si divide tra Lexington, Kentucky, e Sonoma, California.

Asilo…

(“Asylum”, di Hala Alyan, poeta contemporanea palestinese-americana e psicologa clinica)

asylum seekers

Dissero di bruciare le chiavi 

ma solo i nostri capelli presero fuoco.

Camminammo verso i confini

con fotografie e lettere:

qui è dove la morte è diventata

la loro morte, qui è dove

hanno accoltellato i bambini.

I giudici ci chiamano dentro

in base alle nostre città. Jericho. Latakia. Haditha.

Giuriamo su un dio che non abbiamo mai incontrato, di amare

i laghi, le calotte di ghiaccio,

una gelata dietro l’altra,

ma di notte nei nostri sogni

la biblioteca è bruciata,

le pere erano ancora fresche in dispensa.

Abbiamo atteso che il nostro villaggio alluvionato

fosse prosciugato, che i ponti di pietra fossero ricostruiti.

Abbiamo mangiato le chiavi di casa col sale.

Hala Alyan (27 luglio 1986 , Illinois – Stati Uniti) è una scrittrice e psicologa clinica palestinese-americana specializzata in traumi, dipendenza e comportamento interculturale. I suoi scritti e poesie coprono aspetti dell’identità e gli effetti dello sfollamento, in particolare all’interno della diaspora palestinese.