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27 Gennaio, perché non si ripeta!

Cosa è la deportazione degli ebrei.

Un giorno, gli ebrei italiani furono esclusi da scuole, impieghi pubblici, vita civile, libertà sentimentale. I matrimoni “misti” furono vietati, per esempio. Se oggi vi innamoraste di Gal Gadot, insomma, sareste messi in galera o mandati in manicomio. Che era poi lo stesso. Passò qualche tempo. Gli ebrei italiani erano già scioccati per quel che era accaduto, ma uno che magari si chiamava Umberto Spizzichino o Vittorio Emanuele Anticoli non avrebbe mai potuto credere che il re d’Italia potesse consentire che si facesse come in Germania.

E invece accadde.

Nonostante una delle più strette consigliere (e amanti, probabilmente) del duce fosse Margherita Sarfatti. La povera Sarfatti dovette scampare all’arresto, braccata, in Svizzera e per poco non fu rimandata indietro. La sorella fu deportata. Tanto per parlare della galanteria del capoccione.
Fatto sta che un bel giorno, all’alba, i bambini come al solito pronti a scendere in ‘piazzetta’ per giocare, al sicuro, tra i palazzi di zii e amici di una vita, c’è un brulicare di camionette. I tedeschi bloccano il perimetro esterno, gli italiani, militari e milizie, danno qualche minuto per presentarsi con un paio di cambi. La gente viene messa in lista, o meglio spuntata dalla lista e caricata. Tutti in ordine, senza troppo fiatare. In fondo, se stai buono resti vivo.

Vagoni in stazione. La gente sta ancora in gruppo, familiari e amici stretti condividono lo spazio dei carri vuoti, senza sedili e senza bagno.
Il viaggio si interrompe ogni tanto, come un treno regionale di oggi, in mezzo alla campagna. Ma non ci sono finestrini e il tanfo di pipì ed escrementi è ovunque. Tutti sperano di arrivare, ovunque sia, il più presto possibile. Il viaggio si interrompe per alcuni nei campi oggi famosi, Buchenwald, Dachau, Auschwitz. Nessuno spiega nulla. Arbeit Macht Frei promette guai ma anche vita. Invece le famiglie vengono divise. Uomini da una parte, donne dall’altra. Pochi vengono scelti per esperimenti genetici o studio di medicinali o di protesi, anche strampalate.
Il grosso finisce al lavoro forzato, dopo aver lasciato abiti e ogni avere, dopo una rigorosa perquisizione, anche fisica, dentro gli orifizi, con risate annesse per chi è prestante o gradevole. Alcune donne vengono avviate alla prostituzione da campo, come anche uomini o bambini.
I campi sono quasi auto organizzati. Gli “affidabili” ebrei diventano kapo. Provano a salvarsi e diventano duri come gli aguzzini. Sperano di sopravvivere, ma anche tra loro, molti muoiono. Basta poco. Anche una sola risposta sbagliata.
Bambini allegri trasformati in mummie viventi o cadaveri. Professionisti o artigiani ridotti prima all’osso e poi improvvisamente arrivano a spegnersi mentre lavorano o sulle tavole dove ci si stringe, incuranti di pidocchi, cimici e topi. La fame è tale che in realtà i topi se la vedono male. Vengono mangiati.


I giorni non finiscono mai. Geloni, assideramenti, arti che saltano. Si mente per restare vivi. Ormai è chiaro che chi si lascia andare viene seppellito, prima, poi cremato. Se sei moribondo, non si aspetta più. Puoi essere cremato da vivo. A casa, chi è riuscito a non farsi prendere, vive col terrore. Le perquisizioni delle case dei “salvatori” sono continue. Appena qualcosa fuori dall’ordinario accade, tutti si nascondono in doppi fondi, dietro le pareti, negli scantinati. I cercatori, qualche volta imbeccati, qualche altra abituati a quel lavoro, trovano i nascondigli e anche gli scampati vanno incontro alla morte.
Tedeschi cattivi, ma gli italiani…

Anche gli italiani non scherzano… San Sabba, ma anche qualche decina di campi utilizzati per tenere i balcani in pugno, o per far sparire gli indesiderati, sono luoghi di fame, soprusi, violenze, non solo sessuali. Non si giustificano le foibe, ma la premessa è l’inumanità di tanti, troppi italiani che quando sono servili non si risparmiano niente. Arriva la liberazione degli ebrei, dopo la liberazione italiana. La gioia di essere vivi e la fine della fame per tutti, o quasi.

Nessuno vuole più ricordare le infamie, le delazioni, quella che pochi giorni prima era una colpa, la religione, viene semplicemente ignorata. Gli ebrei non si fidano. Sanno che ogni portiere di ogni stabile ha sulla coscienza molte decine di arresti e di morti. Ma anche compagni di scuola, iscritti al fascio, coloro che credono alla “scienza” di partito.
Nasce il dibattito. Non si eseguono più condanne sommarie, resta però il problema di cosa fare. Agli ebrei sono state confiscate cose e case. Non possono tornare verso nulla.
Inglesi e francesi non vogliono sentir parlare di stato degli ebrei. Il mondo è grande, ma mentre un’operazione segreta esfiltra i nazisti in America Latina, agli ebrei viene promessa una terra lì vicino.
Ci sono dubbi, ma se non c’è altro da fare, gli ebrei attendono di sapere.

L’America Latina è sbarrata per loro. Venti anni di propaganda hanno lasciato il segno. Che poi, la propaganda è cominciata sotterranea già da tanto. Comincia all’epoca dell’Impero Romano, si acuisce da Costantino in poi. Ha alcuni vertici ai tempi di Isabella di Castiglia e prosegue fino al 1870, a Roma. Si interrompe solo per cinquant’anni, perché ai Savoia fa comodo criticare aspramente il Papa e provocarlo. Fatto sta che gli ebrei non li vuole nessuno nel ’45 e ancora una volta hanno solo nemici. Esiste un gruppo piccolissimo. Li chiamano sionisti. Vogliono tornare dove gruppi consistenti sono sempre rimasti, in Palestina. Comprano da decenni appezzamenti di terreno. Fino alle leggi razziali, i fascisti italiani li aiutano. L’idea è di farli andare via dall’Italia, in silenzio, ma via. Addirittura dopo le leggi razziali anche un’accelerazione, per togliere il problema di torno quanto più è possibile. Per facilitare il processo di emigrazione e pulizia etnica il fascio istruisce anche piccoli gruppi all’organizzazione militare. Gradi, divise, tecniche di lotta sono quelle italiane. Fino alle deportazioni, il fascio ha aiutato gli ebrei, si racconta. No, voleva solo toglierseli di torno con poco rumore.

Gli ebrei senza patria decidono, a gruppi di andarsene, poveri e senza niente in mano verso la Palestina, unico luogo al mondo dove potrebbe esserci terra e protezione di altri come loro. Fanno da soli, perché sono soli. Inglesi e francesi si adoperano perché il progetto non vada in porto. Porti bloccati, embargo, speronamenti, arresti colorano il tentativo dei sopravvissuti di andare in un posto che sperano essere sicuro, su una terra di proprietà, dopo anni in cui il diritto alla proprietà era stato nuovamente cancellato, per loro.
Le armi ebraiche non ci sono. Nemmeno l’Haganah (organizzazione paramilitare ebraica in Palestina) esiste. Sarà costituita dopo, quando le tecniche di guerriglia e le milizie spontanee sono troppe e difficilmente controllabili. Alcune operano con tecniche terroristiche. Per fare una guerra di difesa, il terrorismo dell’esercito degli ebrei deve finire. E finirà. Armi in pugno, tra Haganah appena costituito e milizie che non vogliono obbedire.
Resta l’embargo. Niente armi. Gli arabi ricordano e ascoltano ancora le parole del gran muftì di Gerusalemme. Pochi mesi prima andava perfettamente d’accordo con i nazisti. Deve essere guerra contro gli ebrei. Devono essere cancellati. Le perorazioni dei religiosi non mobilitano gli Stati arabi, da subito. Gli ebrei riescono a difendersi col poco che hanno. Ma poi la pressione diventa enorme, estenuante. Bisogna assicurarsi dei punti strategici per riuscire a organizzare una difesa ma nemmeno i trattori possono arrivare nella terra d’Israele.

La svolta la dà Golda Meir. Piccola donna che va in America e spiega cosa accade in quella piccola porzione di terra che si affaccia sul Mediterraneo. Le pressioni politiche in USA crescono. Gli inglesi devono recedere dal loro embargo, almeno le armi leggere possono arrivare e finalmente anche i trattori che vengono trasformati in blindati, per arrivare a Gerusalemme e combattere i nemici dalle alture.
Un Paese nato perché nessuno ha mai voluto dare a tutti gli uomini gli stessi diritti. Nemmeno quelli di proprietà e dell’habeas corpus.

Ecco che cosa è stata la deportazione degli ebrei. Uno sterminio che ha costretto poche centinaia di migliaia di uomini a trovarsi da sola una terra dove sopravvivere. La voglia di vivere ha fatto diventare quel piccolo Paese una terra ricca dove studio, ricerca avanzata, guerra convivono. E dove prima c’era solo deserto. E da quel deserto sono nati alberi che dovrebbero ricordare a tutti noi l’infamia del bullismo religioso che sfocia in persecuzione etnica e miserabile pregiudizio violento.
Io, cristiana di battesimo da cento generazioni, probabilmente, ricordo e non dimentico. Ricordo tutto. E penso a quella bambina che. anche se scampata alla prima retata, ha dovuto nascondersi senza poter nemmeno starnutire, ad ogni rastrellamento. E se ha starnutito, ha anche provato il senso di colpa per aver fatto ammazzare padre, madre, fratelli e cugini. Per colpa di uno starnuto? No. Per colpa di chi ha pensato di ammazzare chiunque arbitrariamente, chiamandolo “ebreo”, come fosse un’offesa.
Per colpa di gente come me. Ma non proprio come me. Da gente come me, ma miserabile davvero. Ecco cos’è la deportazione degli ebrei: la differenza tra un noi umano e un “loro” indifferente, e alla fine crudele. Capace di dire poi, “eh, ma facevano tutti così. E poi, che volete, alcuni sono ancora vivi”. Come se la morte non fosse qualcosa che colpisce individui. Uno ad uno.

Ecco cos’è la deportazione degli ebrei, quindi: lasciare che si distingua tra i bimbi e decidere quale bimbo può giocare e quale deve morire.
Io no, noi no. Noi crediamo che tutti i bimbi dovranno essere donne e uomini liberi e devono tutti giocare ed avere potere sul proprio corpo e sulle cose che possono produrre e comprare. Siamo un solo popolo. Chi distingue, consente la deportazione degli ebrei.

E per favore, non confondiamo i passi di carta e i numeri tatuati sulle braccia. C’è una bella differenza tra l’essere ammazzati senza motivo e non poter andare al ristorante per un paio di mesi, peraltro perché in questo modo, magari sbagliando, un’autorità civile pensa di mettervi al riparo dalla morte.

Per favore, non banalizziamo le atrocità con le beghe, per quanto discutibili. Anche chi banalizza, alla fine, avrebbe facilitato la deportazione degli ebrei. Perché avrebbe detto certamente: perché io sono obbligato a fare il vaccino e loro nel ghetto no? Senza nemmeno pensare che nel ghetto il vaccino non sarebbe stato fatto solo perché se fossero morti nessuno se ne sarebbe preoccupato. Ecco la differenza!
Buona memoria. A tutte/i.

Giornata della memoria, se questa è una donna. La storia di Norma Cossetto.

Per i nazisti erano semplicemente stücke, pezzi. Nei campi di sterminio non c’era distinzione fra uomini, donne, bambini, anziani. Solo, brutalmente stücke. Per le donne, forse, la vita nei lager era ancora più grama, se distinzioni si possono fare nell’inferno. Giorni stipate nei vagoni della morte, poi, all’arrivo, subito divise dai propri figli e figlie, dai mariti. Il freddo, la privazione dell’identità.

Solitudine acuita dal freddo, dalla sete, dalla fame, quella che faceva interrompere anche il ciclo mestruale a tutte. Pure questa un’ulteriore perdita di femminilità. Importante per archiviare un giorno dopo l’altro, era la voglia di vita, mettere un piede davanti all’altro. Magari trovando nelle altre donne conforto, una carezza, un po’ di calore. Tante le donne raccontate dai sopravvissuti, tanti i libri che ci hanno restituito in questi anni le loro voci, i loro volti. Ma io voglio raccontarvi di Norma Cossetto e il suo urlo dalle fòibe

Siamo negli anni della Seconda Guerra Mondiale e gli slavi, guidati dal comunista maresciallo Tito, inseguono il disegno nazionalistico di conquista di un territorio ricco e dalle grandi potenzialità, anche ambientali.

Nella provincia della Venezia Giulia e della Dalmazia, i comunisti che alcuni ribattezzano con il nome di “titìni” strappano centinaia e centinaia di italiani dalle loro case e li portano via trascinandoli sul ciglio di quelle  orribili voragini a strapiombo, di natura carsica, denominate “fòibe”. Tutti in riga e con un filo di ferro legato al polso che li unisce tutti, l’uno all’altro.

Il primo della fila viene fucilato e con il suo peso trascina nella foiba tutti gli altri che sono vivi. Un vero e proprio genocidio. Nel condannare l’orrore – e non potrebbe essere altrimenti – voglio  porre ancora una volta l’attenzione su alcune figure femminili, vittime tra le vittime. E non per preferenza sommaria verso un genere, ma per portare a conoscenza di chi legge alcune delle innumerevoli storie in cui, per la sola colpa di essere donna, si muore più volte, e per dare alle sfortunate protagoniste una voce e un volto, fra le migliaia, restituendo loro quella dignità rubata, saccheggiata, depredata, così come furono i loro corpi, per un delirio di onnipotenza di disumani carnefici.

Trecentomila furono le persone che fuggirono a quel delirante massacro comunista, ma tra loro non ci fu Norma Cossetto, diventata l’esempio emblematico di quello che le donne subirono in quei giorni bui e atroci della nostra storia.

Norma Cossetto era una splendida ragazza di 24 anni, di Santa Domenica di Visinada, laureanda in Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova. In quel periodo girava in bicicletta, per i comuni dell’Istria, per raccogliere testimonianze, documenti e materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo “L’Istria Rossa” (quel “rossa” riferito al colore della terra per la presenza di bauxite). Fu arrestata il 25 settembre 1943 da un gruppo di partigiani e condotta all’ex-caserma della Guardia di Finanza di Parenzo insieme ad altri parenti, conoscenti ed amici.

Qui fu raggiunta dalla sorella Licia (arrestata poi anche lei, ma rimessa in libertà ed ebbe modo di raccontare le tragiche vicende della sorella e del padre, anch’egli ucciso). Qualche giorno più tardi, l’occupazione di  Visinada da parte dei tedeschi, spinse i partigiani ad effettuare un trasporto notturno dei detenuti presso la scuola di Antignana, adattata a carcere.

Da questo momento in poi per Norma Cossetto iniziò il martirio. Tenuta separata dagli altri prigionieri,  segregata in una stanza e legatala a un tavolo con delle corde, fu prima stuprata  da diciassette aguzzini e poi sottoposta, senza alcuna pietà, a ripetute e crudeli violenze. Norma venne ritrovata, dopo alcune ore, da una vicina di casa che, avendo sentito l’eco dei gemiti e dei lamenti strazianti della povera ragazza, si era avvicinata alla finestra della stanza dell’orrore scoprendo il  terribile, atroce misfatto.