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“Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf… un classico del femminismo che ha ancora qualcosa da dirci!

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Nell’ottobre 1928, Virginia Woolf, già autrice di libri meravigliosi, tenne delle conferenze a Newnham e Girton, due college femminili, sulla donna e il romanzo; un anno dopo, uscì Una stanza tutta per sé, il saggio che raccoglieva le considerazioni della scrittrice.

La riflessione di Virginia Woolf prende avvio dalla presa di coscienza che il tema affidatole era davvero sterminato: Woolf decise quindi di esporre semplicemente il percorso mentale che, nei due giorni precedenti alle conferenze, la portò a sostenere la necessità, per una donna che ambisse a scrivere per professione, di avere una sua indipendenza economica e una stanza tutta per sé dove poter comporre indisturbata.

Fece notare altresì come dipendere economicamente da un uomo (che fosse il marito, un figlio o altri) impediva alle donne la serenità e la libertà necessarie per poter scrivere le loro storie, per poter andare anche contro le voci paternaliste che da sempre stavano loro addosso, decidendo per loro cosa fosse appropriato dire e come fosse lecito comportarsi. E se per raggiungere l’indipendenza economica fosse stato necessario uscire di casa, incontrare persone e studiare in qualche università, Woolf esortava le donne a farlo, ad avere il coraggio di sfruttare tutte le nuove conquiste delle quali adesso potevano beneficiare per ottenerne ancora di più.

A questo punto, ho apprezzato molto che Woolf abbia riconosciuto nel patriarcato il nemico da sconfiggere. Un patriarcato che danneggia gli stessi uomini, in quanto, sebbene detentori del denaro e del potere, sono costretti a logorarsi in categorie non meno rigide di quelle che spettano alle donne. I due sessi, insomma, non sono squadre dove militare per stabilire qual è il migliore.

Non solo: Woolf ventila l’ipotesi secondo la quale, se si scoprissero altri generi, il fan del patriarcato correrebbe subito ai ripari per dimostrarsi ancora “superiore”: noi oggi, infatti, sappiamo che il rigido sistema binario dei generi, che ammette esclusivamente maschi o femmine, è solo un altro modo con il quale il patriarcato opprime le persone.

E allora ben vengano la Women’s March, le manifestazioni dell’otto marzo in quaranta Paesi diversi, e tutti quegli eventi dove chiunque è benvenut*, qualunque sia la vostra condizione economica, la vostra etnia, la vostra identità e la vostra espressione di genere, il vostro orientamento sessuale, la vostra condizione fisica e/o mentale, la vostra (non)religione.

E ben vengano tutti quei luoghi inclusivi, a partire dalla propria casa o dal proprio ufficio, nei quali non esistono “diritti prioritari”, ma ci si supporta tutt* a vicenda, nel nome dell’uguaglianza, finché la libertà non sarà per e di chiunque, nel rispetto di quella altrui.

E indubbiamente l’avere una stanza tutta per sè, con tutte le sue implicazioni di carattere simbolico, ma anche con l’esortazione di tipo più prosaico “Siate indipendenti, anche economicamente”, è la premessa ideale perchè una donna possa scrivere con una mentalità androgina, davvero universale.

Coco e l’emancipazione delle donne agli albori del Novecento

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La moda è libertà o costrizione? gioco o mercato?

 

Le rivoluzioni non si fanno con i guanti di seta. In senso metaforico non si può non essere d’accordo, ma se prendiamo questa frase alla lettera, è possibile fare un’obiezione: c’erano tempi in cui un semplice guanto sfilato in un determinato contesto poteva suscitare scalpore e quando le donne l’hanno capito, non hanno esitato ad usare la moda come strumento di provocazione.

 

Stiamo parlando del lungo e tortuoso percorso dell’emancipazione femminile (su cui a mio parere ci sarebbe ancora tanto da lavorare) e dell’influenza che la moda ha avuto in questo ambito. I primi movimenti risalgono ai tempi delle suffragette, donne che non volevano più essere considerate solo come mogli e madri e chiedevano di avere gli stessi diritti che la società riservava agli uomini; il loro unico mezzo per farsi notare era quello di organizzare azioni che per l’epoca erano estremamente provocatorie: andare in bicicletta, indossare pantaloni, scendere in piazza a manifestare.

 

Dagli anni 20 del Novecento sul panorama della moda si affaccia lo stile unico e inimitabile di Coco Chanel, una delle poche ad aver saputo dar voce alle nuove esigenze delle donne; queste, infatti, diventavano sempre più indipendenti lavorando e cominciando a praticare sport. Dal momento che potevano disporre di propri patrimoni, si avvicinarono anche al mondo dell’economia e della politica, prima assolutamente inaccessibile.

 

inghilterra 1910I progetti di Coco sono dedicati proprio a loro, concependo abiti che fossero raffinati, eleganti e allo stesso tempo comodi; simbolo di questo ideale di donna è il famoso tailleur, creato da Coco prendendo spunto direttamente dai completi dei suoi amanti: emblema del potere maschile, portato dagli uomini più ricchi e importanti, trovava ora la sua versione femminile.

Un altro segno di riscatto fu l’abbandono del corsetto, strumento di “tortura” che provocava danni fisici anche gravi a chi lo portava; la moda, allora, era quella dei vitini di vespa.

Se da una parte è vero che la moda spesso propone un’immagine femminile lontana dalla realtà delle donne ‘normali’ e dagli ideali per cui tante lotte sono state portate avanti, c’è da dire che sicuramente molte delle conquiste e delle libertà di cui ora possiamo godere, sono state ottenute anche grazie ai mezzi che questo mondo ci ha offerto.