“La paura a volte fa immaginare cose vane”.

Il romanzo della Brontë racconta la storia di Lucy Snowe, una giovane donna che salpa dalla solitaria e poco promettente Inghilterra verso la città di Villette (nome di fantasia che potrebbe essere Bruxelles), dove ottiene il posto di insegnante di inglese nel collegio femminile di Madame Beck.
Protestante, isolata in mezzo a gente di cui non condivide né la lingua, né costumi, né la fede, si sente incompresa, incapace di trovare il suo posto, soggetta a crolli mentali ed episodi di depressione.
Mentre lotta per tutta la vita si innamora anche di due uomini, rivendicando il diritto ad amare ed essere amata.
Lucy Snowe racconta la sua storia come farebbe nel suo diario, affidando i suoi stati d’animo, tormentati e contraddittori: l’amore, le relazioni sociali, il rapporto con il mondo e con la vita.
Parla dell’esistenza come se lei fosse assente e questo contrasto rende originale il romanzo che rispecchia tutte le caratteristiche del romanticismo inglese, in particolare, per l’attenzione ai sensi
“La vita è sempre vita, con tutti i suoi dolori. Ci resta l’uso degli occhi e delle orecchie, anche se l’attesa di quanto ci appaga ci venisse negata del tutto e il suono di ciò che consola fosse messo completamente a tacere”.
La tristezza del collegio e gli umori altalenanti di Lucy creano un’atmosfera che assume il colore della penombra che scende come una carezza carica di pietà.
Lucy è un punto interrogativo, un grande enigma; è uno dei personaggi femminili più complessi e indefinibili incontrati nelle mie letture.
Come in “Jane Eyre”, Charlotte Brontë ritrae qui un’eroina singolare, dal carattere forte, innamorata della solitudine e forse un po’ bigotta.
Nonostante la sua rettitudine morale, Lucy non corrisponde del tutto al modello di femminilità in voga nell’Ottocento.
Il suo temperamento orgoglioso e indipendente, la sua capacità di tener testa agli uomini e il suo lato asociale lo rendono un personaggio bizzarro, incline all’osservazione altrui quasi maniacale, soprattutto dell’abbigliamento.
Ho trovato Lucy Snowe anche inaffondabile come narratrice perché volutamente maschera sentimenti e nasconde le vere identità delle persone, ma in compenso sa essere dolorosamente onesta con sé stessa e con gli altri
Combatte una grande battaglia interiore tra il voler rimanere nell’ombra e l’apparire, ma le ombre perseguiteranno Lucy per tutta la storia.
Villette è una storia profonda e commovente sulla solitudine e la costante battaglia tra ragione e sentimento “mi sembrava di avere due vite, la vita del pensiero e quella della realtà “.
Lucy nonostante la bellissima scrittura di Charlotte Brontë è rimasta per me un’eroina un po’ troppo rassegnata e anche se il romanzo non ha lo spessore di Jane Eyre, credo sia impossibile non empatizzare con i suoi stati d’animo senza sentire qua e là, l’eco dei propri.