
“Non fate malagrazie”, “nuovo astro che sorge”, “non riconosco più la mia Germania”, “egregio signor Lipmann”, “il baco del calo del malo” , “sgarabazzi, sempiezzi, sbrodeghezzi”, “addio Luigi undicesimo”… sono solo alcune delle parole, frasi, modi di dire che identificano e rendono unica la famiglia Levi, così come accade un po’ in tutte le famiglie con le storie raccontate che tramandano personaggi e fatti a noi lontani nel tempo e nella memoria.
Lessico famigliare di Natalia Ginzburg è infatti un romanzo (forse) generazionale e di memoria che narra di cose realmente avvenute e di persone realmente esistete.
Memoria individuale, che diventa memoria collettiva quando la storia della famiglia si intreccia alla storia d’Italia di quel tempo (prima metà del Novecento) e la vive senza subirla, e le sopravvive.
Nuove parole si introducono allora nel lessico famigliare di ognuno dei componenti: antifascismo, campagna razziale, cospirazione, confino, Resistenza e ognuno, con il proprio modo di essere, agisce e combatte affinché queste parole non rimangano vuote, senza significato.
Non è una famiglia perfetta quella in cui l’autrice ha vissuto; genitori d’altri tempi che non badavano troppo ai modi, alle tenerezze e fratelli che si disprezzano anche, che si prendono a botte, che non si danno “spago”, ma che si ritrovano a guardare nella stessa direzione, ad essere dalla stessa parte, nonostante tutto.
Il ricordo rimarrà il filo conduttore, fino alla fine del libro quando, dopo tutte le “avventure” capitate, i vecchi genitori continuano a rievocare storie passate:
“Egregio signor Lipmann, disse mia madre – ti ricordi come diceva? E poi diceva sempre “Beati gli orfani!”.
Diceva che tanti erano matti per colpa dei loro genitori. Beati gli orfani diceva sempre” ”ah non cominciamo adesso con il Barbison! disse mio padre – quante volte l’ho sentita contare questa storia”.