Donne, pittura, società: riflessioni su una parità non ancora riconosciuta.

La visione della serie tv L’amica geniale, tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrantetrasmessa dalla RAI, e, in particolare, una battuta pronunciata da  una delle due protagoniste, mi ha indotto ad elaborare alcune considerazioni circa il  ruolo della donna nella pittura. Lenù, diminutivo di Elena, che ha già all’attivo il successo riscosso con la pubblicazione del primo romanzo, invitata dal suo interlocutore a leggere  libri che parlano di donne, come Madame Bovary,  afferma con una certa determinazione il suo desiderio di voler scrivere sull’argomento, in quanto nota come le figure femminili  siano sempre state considerate unicamente dal punto di vista degli uomini.

In effetti questo fenomeno si riscontra anche nell’arte figurativa.

L’universo femminile ha sempre e, ovviamente, suscitato l’interesse degli uomini, che tuttavia hanno creato degli stereotipi – l’innocente fanciulla, la moglie, la madre, la prostituta, la femme fatale, ecc. – che in qualche misura hanno condizionato anche le donne, ingabbiandole in una sorta di recita a vita per identificarsi in ruoli pensati dai maschi per piacere ai maschi. Mi rendo conto che il problema è molto complesso, ma qui voglio  proporre  soltanto alcune brevi riflessioni, che evidenziano come la donna, sia come autrice, sia come soggetto dell’opera sia stata da sempre relegata ai margini della società.

Ad esempio, in pittura, per secoli  essa viene presentata o come un personaggio mitologico, di cui viene esaltata la bellezza come in Venere, o la gelosia come in Giunone,  caratteristiche  che in un certo senso sono legate allo sguardo dell’uomo, ammirato oppure assente, tanto da scatenare passioni ostili, basti pensare a Medea, o a Elena di Troia. Oppure viene raffigurata come una tenera madre, anzi come la madre per eccellenza, la Vergine  che tiene in braccio il suo bambino, o ancora si ricorre alla figura femminile per rappresentare un concetto allegorico, la Carità, la Giustizia fino ad arrivare alla celeberrima Libertà che guida il popolo di Delacroix.

Le artiste spesso non vengono neanche menzionate dai biografi e ancora oggi stentano a trovare un posto nei manuali di storia dell’arte. Si parla quasi esclusivamente di Artemisia Gentileschi, ma più che per il suo valore artistico, per la triste  vicenda personale che la vide vittima dello stupro subito dall’aguzzino Agostino Tassi, o di Frida Kahlo, anche lei proposta quale icona dell’opposizione al capitalismo imperante per quella sua ostinata ostentazione del costume tradizionale messicano e dei baffi, segno della  ribellione alle convenzioni, o di Tamara de Lempicka per le sue trasgressioni.

Certo oggi, per fortuna, stanno uscendo dall’ombra artiste notevoli, spesso presenti in varie mostre. Ma le varie Sofonisba Anguissola, Elisabetta Sirani, Fede Galizia, Ginevra CantofoliOrsola Maddalena Caccia, che oggi cominciano a trovare il giusto spazio nel panorama culturale della loro epoca, avendo condotto esistenze “normali” senza grandi eventi, hanno dovuto aspettare secoli prima di essere valutate nella giusta ottica, prima che qualche studioso abbia condotto ricerche atte a ripercorrerne le carriere brillanti. Le nobili potevano occuparsi della miniatura, ritenuta un’arte minore, potevano dipingere ritratti, per i quali spesso erano giudicate per l’abito indossato dall’effigiato, più o meno rispettoso della moda del tempo,  argomento classificato come “frivolo”, più difficilmente se ne coglieva la portata innovativa in senso estetico, formale, tematico. Le donne si formavano in ambito familiare, non potevano frequentare accademie.

Questa situazione si protrae fino a tutto il Settecento e  l’Ottocento.

Faustina Bracci, eccellente ritrattista  miniaturista, non riscuote lo stesso plauso dei fratelli, Virginio architetto, Alessandro scultore e Filippo pittore. E ancora nel secolo successivo  i primi pittori che spezzano con la tradizione,  gli impressionisti, che pur accolgono nel loro gruppo Berthe Morisot, non riescono   a concepire  le donne fuori dell’ambito domestico, come   le Stiratrici di Degas, e se svolgono altre attività,  o sono illecite come la  prostituzione  o sono mansioni a servizio dello svago degli uomini. Le ballerine di Degas servono per far divertire un pubblico borghese costituito anche da donne, ma che vanno a teatro per essere notate, oltre che per assistere agli spettacoli, come si vede in La loggia di Mary Cassatt del 1879 o le Giovani donne nel palco del 1882 (fig. 1).

1) M. Cassatt, Giovani donne nel palco, Washington, National Gallery

Le signorine ben vestite che si riparano con l’ombrellino di Monet, o le figlie di Renoir intente a leggere o a suonare il pianoforte rivelano un immaginario maschile in cui le donne si occupano di faccende futili,  come era giudicata allora la moda,  o creative come la musica, ma  solo per soddisfare un piacere da gustarsi nell’intimità delle quattro mura di una casa. Il non etichettabile Manet dipinge iAngolo di un caffè concerto (fig. 2) una cameriera che sta portando un boccale di birra ad un tavolo dove è seduto un operaio, che si concede una pausa dalla sua occupazione, godendo di uno spettacolo di danza.

2) E. Manet, Angolo di un caffè concerto, Londra, National Gallery

La cameriera e la ballerina, che si vede sullo sfondo del quadro,  dunque,  servono per il relax dell’uomo, l’unico che pare aver lavorato, come se la dura disciplina della danza o il servizio in un locale non implicassero la stessa fatica. Interessanti, a tal proposito, alcuni studi condotti sui dipinti della Morisot.

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