A volte sono proprio le ricorrenze a riportare a galla alcune figure della storia del genere umano e con esse i loro pensieri, le loro parole e le loro azioni che hanno influenzato o modificato molte sfaccettature di un mondo complesso. Oggi, nell’anniversario della scomparsa (14 aprile 1986) mi piace ricordare una tra le figure più importanti e fondamentali nella storia del femminismo: Simone de Beauvoir.
Simone de Beauvoir, nata a Parigi il 9 gennaio 1908, è stata una presenza di forte impatto sulla filosofia del XX secolo. Di madre e padre borghesi, studia filosofia alla Sorbona, luogo in cui avviene l’incontro con l’uomo che l’accompagnerà, dal 1929 in poi, per il resto della vita: Jean-Paul Sartre. Tra i due si instaura un legame solido e duraturo, ravvivato e rinsaldato costantemente nella stima reciproca e nel profondo affetto del rapporto (che tuttavia mai li fece convolare a nozze).
L’amicizia – se così si può intendere – tra i due porta a ritrovare nel pensiero di Simone de Beauvoir un riconosciuto velo sartriano. L’esistenzialismo della filosofa si dirige però, a differenza del compagno, verso un terreno molto più concreto e calato nel reale. Pensatrice molto più pragmatica che astratta, dai molti concetti densi e contestualizzati nel vissuto piuttosto che tendente a teorie e speculazioni indirette. È per questo che il suo nome spicca, con gran luce, sul palcoscenico del femminismo del Novecento, con parole quali:
Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo: è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna.
Come si può vedere, nessun mezzo termine. Linguaggio che parla senza filtri o artificiosa retorica. Da donna, si schiera con le donne nel dibattito sull’affermazione di un loro ruolo riconosciuto nella società.
Simone de Beauvoir è individuata come irrinunciabile punto di riferimento per una teoria della decostruzione del determinismo biologico, guardando soprattutto alla sua opera Secondo sesso (1949). Il suo pensiero diventa il principale conforto e punto di riferimento per i movimenti del suo tempo, e oggi è il pilastro degli studi che intendono sottolineare una differenza tra il sesso e il genere.
La donna è un risultato di cultura, una costruzione sociale. Le concezioni della natura femminile sono quindi dei costrutti antropologici, che si basano su motivazioni biologiche: il maschio e la femmina sono distinti anatomicamente, e con il concetto di ‘genere’ si è impostata la società, dando all’uomo e alla donna determinati ruoli prestabiliti.
La donna è stata vittima di preconcetti e acritiche convinzioni sulla propria capacità intellettuale e fisica, e qui si innestano le teorie decostruttiviste che vogliono evidenziare la fallacia di tali impostazioni mentali, individuando e scambiando ciò che appartiene alla natura con qualcosa che invece è prodotto della ‘cultura’. Questo intero discorso è quanto possiamo trovare con evidenza nella legittimazione del sistema patriarcale, ciò che si intende scardinare con i movimenti femministi.
Il poter ricordare oggi Simone de Beauvoir è un’occasione quanto mai ricca di spunti costruttivi per una riflessione di tutto rispetto. Una filosofa, una pensatrice, un’insegnante, un volto deciso e irremovibile nelle sue espressioni – come appare nelle sue fotografie che ci vengono mostrate –, una donna che ha saputo fare storia.
Ma parliamo di un ‘far storia’ alla stregua di un condottiero che lascia impronte profonde sul sentiero che percorre, orme di orientamento per i seguaci e i sostenitori che vogliono imparare e apprendere, almeno in parte, da quel carisma che ha contrassegnato una lotta convinta nel raggiungimento di un obiettivo comune.