Giorno: 30 marzo 2020

Gemma Donati…e lei tra di loro!

 

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Henry Holiday, l’incontro immaginario fra Dante e Beatrice (con il vestito bianco) accompagnata dall’amica Vanna (con il vestito rosso), sul Ponte Santa Trinità in Firenze (1883)“

Non deve avere avuto un’esistenza semplice e serena Gemma Donati.
Gemma…chi? Chi è costei? Forse qualcuno nel leggere il suo nome ci ha dovuto pensare un po’ prima di identificarla nella sua mente, o forse non la si è mai sentita particolarmente nominare. Eppure, essendo moglie di un uomo italiano altamente illustre e appartenendo lei stessa ad una famiglia che non passava certo inosservata a Firenze nel XIII secolo, avrebbe dovuto godere di altrettanta memoria. E invece di Gemma non si parla mai, se non in pochissime occasioni relegate a momenti di approfondimento critico e accademico.
Figlia di Manetto Donati, cugina di terzo grado di Corso, Forese e Piccarda Donati, Gemma era nata forse il 3 marzo 1265, stesso anno del suo sposo promesso, niente poco di meno che Dante, Dante Alighieri!  Lui, il sommo poeta, idolo letterario di intere generazioni da sempre, l’autore dell’opera più letta, studiata, amata e tradotta al mondo dopo la Bibbia, un’opera che mette al centro più di ogni altra cosa l’amore, ogni forma di amore: quello di Dio per l’umanità e quello degli esseri umani per i propri simili.

Il destino di Gemma è quanto di più triste una donna si possa augurare. Promessa in matrimonio a Dante per interesse già dal 9 febbraio 1277, data vergata nell’atto notarile del fiorentino ser Oberto Aldovini, in cui si stabiliva anche la dote di Gemma in 200 fiorini, tra il 1285 e il 1290 la fanciulla si ritrovò sposata all’austero e in altre faccende affaccendato Dante, figlio di Alighiero di Bellincione di Alighiero, famiglia fiorentina di piccola nobiltà ma decaduta. L’unione con Gemma rappresentava il classico matrimonio combinato, promessi alla tenerissima età di dodici anni e con molta probabilità senza alcun fondamento d’amore, il che non è inusuale per l’epoca. Ma fin qui nulla di strano per una giovane in pieno Medioevo. Sarebbe stato un matrimonio ordinario come tanti, se non ci fosse stata la presenza incombente, ingombrante, strabordante di un’altra donna, l’unica che Dante amerà di amore assoluto e divinizzato: Bice, figlia di Folco Portinari, a noi nota, notissima come Beatrice.

Deve essere stato questo il vero grande dramma interiore di Gemma: la sua presenza di donna e moglie non ha avuto alcun riflesso nella vita e nella vasta opera di Dante. Non un cenno, non una menzione, ogni verso, ogni frase, ogni riferimento è rivolto alla donna che ha rapito Dante da quando aveva solo nove anni fino alla sua morte. Non solo: Beatrice era sposata a Simone de’ Bardi, ricco banchiere di Firenze, anche lei con un destino segnato dalla morte, probabilmente per il parto del primo figlio, essendo giovanissima, appena adolescente, quando viene, pure lei, destinata al matrimonio combinato.
A Beatrice il sommo poeta ha dedicato un intero, e meraviglioso, romanzo autobiografico, la Vita Nova, la sua presenza si intravede già nelle varie rime precedenti la Divina Commedia, è per lei che Dante ha la forza di attraversare la selva oscura della sua esistenza e di compiere un viaggio ultraterreno che lo porterà ad incontrarla, con sua immensa e indicibile gioia.
Insomma, un’intera esistenza, quella di Gemma, vissuta nel più totale “esilio” non volontario e nella rassegnazione, quella che accomuna gran parte delle donne del passato, non consce del tutto dei loro diritti ma ben istruite sui loro doveri verso il coniuge e verso il focolare domestico. Una rassegnazione che permette a Gemma di vivere accanto a Dante senza mai ribellarsi, a quanto ne sappiamo, e mettere al mondo ben tre figli certi e uno probabile: Pietro, Iacopo, Antonia e forse un Giovanni.

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