Appena diciassettenne, si sposò con il suo professore di sociologia, Philip Rieff, da cui, ad appena diciannove anni, ebbe il figlio David Rieff. Rimase legata al marito fino al 1958, quando divorziò da lui tornando a vivere a New York con il piccolo David. Sontag terminò successivamente i suoi studi ad Harvard, specializzandosi in letteratura inglese, e, nel corso degli anni Cinquanta, frequentò anche le università di Oxford e di Parigi.
Nel corso degli anni Cinquanta l’autrice prese coscienza della propria omosessualità e sull’argomento sviluppò diverse riflessioni, ad esempio: “Il mio desiderio di scrivere è connesso alla mia omosessualità. Ho bisogno di quell’identità come di un’arma, da contrapporre all’arma che la società usa contro di me. Ciò non giustifica la mia omosessualità. Ma mi accorderebbe, lo sento, una certa licenza. Solo adesso mi sto rendendo conto di quanto mi sento in colpa d’essere omosessuale. […] Essere omosessuale mi fa sentire più vulnerabile”.
Diverse riflessioni di Susan Sontag sono rimaste sconosciute al pubblico fino a quando il figlio David Rieff, inviato di guerra e scrittore come la madre, non le raccolse in due volumi che fece pubblicare dopo la sua morte. Purtroppo i volumi dei diari di Susan Sontag non sono ancora mai stati tradotti interamente in italiano, anche se alcuni loro estratti sono stati pubblicati su giornali e riviste.
La produzione letteraria e saggistica di Sontag è sterminata, tenendo conto anche delle sue collaborazioni per riviste come il New Yorker e il Partisan Review.
Docente in diverse università statunitensi, scrisse instancabilmente sugli argomenti più vari: dal cinema alla fotografia, dalla letteratura alla condizione femminile (in particolare su questo argomento pubblicò “Odio sentirmi una vittima: intervista su amore, dolore e scrittura” , che rappresenta una pietra miliare nel suo genere), dalla politica, alla guerra, al concetto del dolore e della malattia nella nostra società.
Per quanto riguarda quest’ultimo tema, il pensiero dell’autrice si sviluppò a metà degli anni Settanta dopo che le fu diagnosticato un cancro: in “Malattia come metafora: aids e cancro“, pubblicato per la prima volta nel 1988, dopo essere stata dichiarata guarita, Susan Sontag non desiderava raccontare la sua esperienza, né portare conforto attraverso il proprio racconto autobiografico ad altri malati o ex-malati come lei; nel suo saggio la scrittrice analizza il tema della malattia in funzione dei significati sociali che l’accompagnano.
Secondo Sontag, la malattia dovrebbe essere epurata di ogni pregiudizio e di ogni metafora legata a un immaginario di colpevolezza, impotenza, ineluttabilità, che inutilmente aggiungono dolore al dolore nella vita quotidiana dei malati.