Ma io, Ipazia di Alessandria, figlia di Teone, temo solo le tenebre dell’anima e non la fine della mia esistenza.
Ipazia d’Alessandria nacque nel 350 d.C. e morì nel 415 d.C. Filosofa neoplatonica, matematica, astronoma, scienziata di grande ingegno diresse il Museion, la più famosa Accademia dell’antichità. Fu martirizzata e uccisa dai monaci parabolani al servizio del vescovo Cirillo, divenuta figura scomoda per il nuovo potere religioso.
Padre,
i miei pensieri attraversano le colonne del tempio di Serapide per giungere a te.
Seppur confusi, stipati come gli adorati volumi, in continua ribellione, io li governo tutti. Sono i solchi del tuo viso la spinta alla mia conoscenza e la sorgente madre dove abbevero la mia inquietudine. Siamo materia viva, fatti di involuzioni ed evoluzioni e i pensieri sono ciò che plasma il nostro destino, destinandoci alla vita o alla sopravvivenza. I miei sono di una sostanza incandescente poichè non riuscirò mai a placare il loro moto, forse fuoco vivo nel deserto, ma sono certa che sono architrave e timpano della nostra volontà, così fragile ed effimera.
Credo che il mio tramonto avverrà con le sembianze di uno spicchio di luna intriso di sangue. Che le mie parole non siano veleno per il tuo male, Padre, perché ciò che abbiamo edificato a sostegno della libertà non potrà difendersi dai tempi. Ma saprò sacrificare la mia vita, se necessario, per la verità e la mia scienza. Ho dovuto superare la tormenta dell’invidia, morbo mortale, muro invalicabile che gli uomini di potere hanno eretto per proteggersi da una donna sola con un vecchio padre, rea di conoscere la matematica e la filosofia.
Vedi, Padre, ho scelto la solitudine e l’infertilità per essere madre di tutti e figlia del dubbio che mi tormenta.
Io ho scelto. I miei figli, i miei discepoli mi nutrono con le loro attenzioni, le domande che aspettano bramose un cenno di risposta, l’opposizione alla scoperta che genera altre verità, sono questi i doni continui che mi vengono serviti come offerte agli Dei.
Oggi ti ringrazio ancora una volta di avermi spalancato le porte del cielo perché la tua saggezza non andasse dispersa e di avermi concepito Donna, come Aspasia di Mileto e Diotima di Mantinea. Null’altro potrei volere se non averti a lungo nella mia vita in questo squarcio di notte, mai asservita alla pratica del sonno ma alla contemplazione degli Astri e all’esercizio del pensiero. Quando tace il giorno ciarliero e produttivo qui, nel nostro tempio di antichi papiri di cui siamo indegni custodi, si apre una voragine nella volta celeste.
Ha il colore delle piume dei pavoni e mozza il fiato, Padre, quando lo fisso.
Il tempo diventa luce e la mente è libera dal giogo degli affanni, dalla fatica della pietà giusta verso i buoni servi che rimettono a noi i loro guai. Mi perdo e tutto mi appare comprensibile e umano, ciò che è scritto e ciò che dobbiamo ancora scoprire. La beatitudine del sapere è la vera gioia e l’unica ragione di vita.
Mio grande Teone e padre adorato, grazie alla tua immensa saggezza gli insegnamenti di Platone e di Plotino hanno attraversato il mare burrascoso della storia e tu non hai mortificato la mia natura femminile per rendermi erede dei tuoi saperi. Hai compreso la mia fedeltà alla grande anima dello spirito ellenico di cui i semi sono germogliati nel mio essere, la mia incorruttibile speranza in un mondo governato da filosofi giusti, la mia generosità. E’ immenso il tuo dono e lo amministrerò con tutta la cura possibile. E continuerò ad aprire la nostra casa a tutti coloro vorrano unirsi al nostro cerchio ad apprendere la sacralità della matematica e dell’astronomia.
Padre, io non vedo Ebrei, Cristiani, Pagani ma solo uomini. Il mondo argina a fatica la materia malvagia che sta emergendo ma farò in modo che la nostra casa sia il fulcro della libertà dove verrà avversata ogni forma di crudeltà e di prevaricazione.
Tu ricordi Sinesio, uno dei miei più cari discepoli: egli è cristiano ora, ma sempre a me devoto. Le nostre anime sono in completa comunione, ed egli si rivolge a me grato della luce che porta nel cuore, della sapienza che non conosce religione, o razza alcuna e si fa condurre nella nostra casa ogni volta che le decisioni più gravi lo assillano e lo tormentano. Questo è ciò che ho appreso dal tuo esempio.
So che non temi la morte ma la mia incolumità. Ma io sono qui, a seguire le traiettorie della volta celeste che è infinitamente più grande di ogni paura e a fissarne i meccanismi con foga, senza badare ai bisogni del corpo. Le sue leggi ci mettono in comunicazione con l’immensità del mondo conosciuto e sconfiggono la nostra dipendenza dai manipolatori, dalle religioni che predicano pace e praticano vendetta. Tu mi hai insegnato che la geometria è l’anima delle cose, della giustizia e della bellezza e io ammiro l’opera di Dinocrate ergersi in tutta la sua magnificenza e splendore nella luce incerta del mattino che pone fine al mio peregrinare, e so che la divinità è nell’uomo stesso e nelle sue azioni complesse.
Quello che tu temi, e io più di te, è quell’uragano di forza incontrollata che sta attraversando il nostro tempo. Ciò che avevamo realizzato, un cenacolo di menti votate alla scoperta del cosmo intero e delle leggi che ne regolano i processi, è minacciato dalla furia cieca dei tori nel recinto.
Ebbene, ci sono bestie di tutte le razze nei fossati e ognuna vorrebbe cospargere di sangue il passato che lo ha umiliato. Le loro divinità sono il pretesto per esercitare la tirannia e la bramosia di potere ne è la vera motivazione. Costoro armano eserciti di affamati di cibo e speranza per difendere i loro interessi e mirano alla distruzione del nostro sapere, il nemico più temibile delle loro coscienze.
Ma io, Padre, esco dal nostro tempio e mi rallegro quando sento tirarmi le vesti, chi per un quesito, chi per ringraziarmi dei gratuiti insegnamenti, altri ancora dicono di scorgere un lume di speranza nei miei occhi. Essi si nutrono del fatto che in me non risiede la mendacia e l’inganno, poiché anche coloro che predicavano la liberazione dalle catene ne stanno forgiando delle altre, lavorando alacremente alle incudini .
Alessandria vedrà legionari distruggere le sue mura e i suoi papiri. Per distruggere un uomo occorre distruggere la sua storia, e la libertà capitolerà insieme a tutte le teste mozzate.
Fonte: La storia di Ipazia di Antonella Rizzo.