Le Sorelle Brontë… Tre nomi, tre sorelle, tre pseudonimi maschili!

is-this-a-photo-of-the-br-0081-400x265Qualche  anno fa Seamus Molloy,, un collezionista di Halifax, nello Yorkshire, ha acquistato su eBay, per sole 20 sterline, una fotografia molto vecchia, che ritraeva tre donne austere, sedute l’una accanto all’altra. Secondo Molloy la fotografia era in realtà la copia di un’originale, scattata nel 1840, e le donne in questione non erano tre sconosciute qualsiasi, ma  le sorelle Brontê.

Secondo gli esperti ci sono buone probabilità che non esista alcuna fotografia delle sorelle Brontë, eppure la questione aveva suscitato moltissimo interesse e rilanciato la storia di queste tre sorelle, nate e cresciute in condizioni complicate, che avevano pubblicato tre romanzi nello stesso anno. Di questi tre, due sono ancora oggi tra i romanzi più letti e apprezzati al mondo. Ma partiamo dall’inizio, da un cognome che non è il loro.

In origine Charlotte, Emily e Anne non si chiamavano Brontë di cognome, ma Brunty. Il loro padre, Patrick Brunty, era un pastore anglicano di origini irlandesi con una smodata passione per l’ammiraglio Nelson. Quando, nel 1799, Nelson fu nominato duca di Bronte da Ferdinando di Borbone, Patrick Brunty decise di modificare il suo cognome da Brunty a Brontë, aggiungendo la dieresi sulla “e”, proprio per indicare che, trattandosi di un nome italiano, la e andava pronunciata. Dopo essere stato ammesso a Cambridge e dopo essere stato nominato pastore, Patrick Brontë sposò Mary Bramwell, dalla quale ebbe sei figli: Mary, Elizabeth, Charlotte, Patrick, Emily e Anne.

Ben presto la famiglia si trasferì a Haworth, nello Yorkshire, dove dopo poco la madre Mary morì. I sei bambini vennero quindi educati a casa, dal padre e dalla zia, che era fortemente metodista. La vita della famiglia Brontë non fu affatto semplice: alla morte della madre seguì quella delle due primogenite, Mary ed Elizabeth, per tubercolosi. Patrick, che alla morte della madre venne soprannominato con il cognome di lei, e cioè Branwell, ebbe un’esistenza tormentata, fatta di amori non corrisposti, alcol e oppio. Charlotte, Emily e Anne cercarono di migliorare la propria educazione, alle volte anche soggiornando in altri paesi per perfezionare la conoscenza di altre lingue: è il caso ad esempio di Charlotte ed Emily che vissero a Bruxelles per un periodo. Lavorarono spesso come istitutrici ma il loro principale obiettivo era riuscire ad aprire una scuola a Howarth.

Nel 1845, tra uno spostamento e l’altro, si ritrovarono tutte a Howarth; in questa occasione Charlotte scoprì per caso che anche Emily e Anna avevano scritto dei versi, esattamente come aveva fatto lei. Si decise a pubblicarli, ma, in un’epoca come quella vittoriana, in cui essere donna non era cosa semplice, per evitare i pregiudizi, decise di farlo utilizzando degli pseudonimi maschili per ognuna di loro. Le sorelle Brontë divennero i fratelli Bell. In particolare Charlotte divenne Currer Bell, Emily divenne Ellis Bell e Anna, Acton Bell.

Nel 1846 venne pubblicato un volume contenente le poesie scritte dalle te sorelle. Si intitolava Poems By Currer, Ellis and Acton Bell, e non ebbe molto successo. L’anno successivo, però, le tre sorelle fecero un secondo tentativo, ognuna con un suo romanzo: Charlotte cercò di pubblicare The Professor, Emily Cime Tempestose e Anne Agnes GreyThomas Newby, l’editore a cui erano stati proposti i romanzi, accettò solo gli ultimi due e rifiutò The Professor (che venne poi pubblicato postumo). Fu così che Charlotte scrisse, e poi propose, Jane Eyre.  

I romanzi uscirono tutti nello stesso anno, il 1847, e conobbero sorti letterarie diverse. Nel 1848 morì Bramwell, mentre Anne pubblicò il suo secondo romanzo, La signora di Wildfell Hall. La morte di Branwell fu un colpo durissimo per Emily, che in quel periodo si era ammalata di tubercolosi e decise di smettere di curarsi: morì qualche mese dopo. L’anno successivo, nel 1849, sempre di tubercolosi, morì anche Anne. Restò in vita solo Charlotte, che pubblicò altri due libri, Shirley e Villette, si sposò e morì nel 1854, di parto.

Diciamo subito che da un punto di vista letterario quella a cui andò peggio fu Anne. Agnes Grey non ebbe particolare successo, nonostante George Moore lo avesse descritto come “la prosa narrativa più perfetta della letteratura inglese… Semplice e bella come un vestito di mussolina, l’unica storia nella letteratura inglese in cui stile, personaggi e tema siano in perfetto unisono”.

Tutt’altra cosa fu invece per Charlotte. Jane Eyre riscosse fin da subito un successo incredibile, non solo per la trama ma anche per il messaggio femminile e femminista di cui si faceva portatore. Oltre a oggettivare un tema, come quello delle passioni, nascosto e represso in epoca vittoriana, Jayne Eyre è un’esempio di fermezza, indipendenza e coraggio: una donna che si guadagna da vivere, che riesce a contare solo su se stessa e che non ha paura di innamorarsi di un uomo sposato.

Se Jane Eyre ebbe più successo all’epoca possiamo forse dire che Cime Tempestosene ebbe di meno quando uscì, ma a partire dal 1900 fu considerato il  romanzo per eccellenza delle sorelle Bronte. Storia di un amore passionale, violento e contraddittorio, Cime Tempestose è un romanzo complicato in cui il confine tra bene e male, amore e vendetta diventa labilissimo. Eppure è una delle storie d’amore più potenti che siano mai state scritte, fonte di ispirazione non solo di film, ma anche di canzoni. 

Non è facile parlare di Cime Tempestose e descriverlo a chi non l’ha letto, perché si tratta di un’esperienza fortemente soggettiva. Per capire qualcosa di più, però, ci si può affidare alle parole che usò Virginia Woolf per parlare della differenza tra il romanzo di Charlotte e quello di Emily:

Cime tempestose è un libro più difficile da capire di Jane Eyre, perché Emily era più poeta di Charlotte. Scrivendo, Charlotte diceva con eloquenza e splendore e passione «io amo», «io odio», «io soffro». La sua esperienza, anche se più intensa, è allo stesso livello della nostra. Ma non c’è «io» in Cime tempestose. Non ci sono istitutrici. Non ci sono padroni. C’è l’amore, ma non è l’amore tra uomini e donne. Emily si ispirava a una concezione più generale. L’impulso che la spingeva a creare non erano le sue proprie sofferenze e offese. Rivolgeva lo sguardo a un mondo spaccato in due da un gigantesco disordine e sentiva in sé la facoltà di riunirlo in un libro. […] Il suo è il più raro dei doni. Sapeva liberare la vita dalla sua dipendenza dai fatti; con pochi tocchi indicare lo spirito di una faccia che non aveva più bisogno di un corpo; parlando della brughiera far parlare il vento e ruggire il tuono.