Grazia Deledda è il simbolo della donna italiana (o meglio isolana!) di fine Ottocento. Il contesto storico – sociale in cui si formò non fu certo quello dei grandi centri di cultura e quando intraprese la carriera letteraria non erano molti in Italia, i narratori di professione, cioè gli scrittori che vedessero nella scrittura lo strumento adatto per stabilire un rapporto solido e continuativo con gran parte del pubblico.
Penultima di sei figli, Grazia Deledda nasce a Nuoro, nel cuore della Sardegna, il 27 ottobre del 1871, in una famiglia alquanto agiata. Il padre Giovanni Antonio, imprenditore dotato di buona cultura, scrive e pubblica , a proprie spese, versi in vernacolo sardo. Retto, saggio, stimato da tutti, è la figura modello di Grazia, che eredita, invece, il carattere forte, severo e schivo della madre, Francesca Cambosu, perfetta padrona di casa e buona moglie, forse non innamorata del marito (come la Deledda suppone nel suo romanzo autobiografico “Cosima”). In questo contesto Grazia vive un grande isolamento culturale, riuscendo a completare soltanto gli studi elementari, in obbedienza alle regole del tempo che vogliono i maschi dediti allo studio e le figlie femmine in attesa di un buon matrimonio.
Grazia contesta questi pregiudizi maschilisti con forza, coraggio e perseveranza, combattendo la sua eccessiva timidezza e coltivando il suo italiano per quello che avverte come un destino inequivocabile: la scrittura.Legge con passione versi, novelle e romanzi e ben presto comincia anche lei a comporre, “ costretta a scriveremo da una forza sotterranea i casi e gli affetti della sua esperienza provinciale” (dal romanzo “Cosima”). Nel 1888, a soli diciassette anni, la Deledda pubblica il suo primo scritto, intitolato “Sulla Montagna”, per il settimanale illustrato “Paradiso dei bambini” edito da Eduardo Perini a Roma. Nello stesso anno pubblica sulla rivista del Perini il racconto “Sangue sardo” e, sempre nel 1888, comincia a collaborare al periodico “L’Ultima Moda”, anch’esso dell’editore romano, con racconti più lunghi, pubblicati a puntate con lo pseudonimo Ilia di Saint-Ismael.
L’anno successivo sullo stesso periodico, appare un altro suo racconto “Cose infantili”. Si tratta di bozzetti dall’intreccio semplice, ma che già nella descrizione del paesaggio rivelano quel sentimento lirico legato alla natura che si affinerà nelle opere successive. La collaborazione a “L’Ultima Moda” si prolungherà sino al 1894 con racconti e poesie. Nel 1891 ha inizio la collaborazione a “Vita Sarda , una rivista di Cagliari, con il racconto “Vendetta d’amore”, collaborazione che, accolta con favore dal pubblico femminile, durerà sino al 1893, anno in cui la rivista cessa le pubblicazioni.
Accanto alla passione letteraria, che trova sfogo nella stesura di romanzi e novelle, si fa strada una convinta attitudine al giornalismo e una attenzione agli aspetti socio-antropologici della società. A suggerire la strada è il conte Angelo De Gubernatis, che nel 1894 la chiama a collaborare a diversi periodici da lui diretti, come la rivista milanese “Natura ed arte” e la “Rivista delle Tradizioni popolari italiane”, una scuola che forgia la donna Deledda e arricchisce il suo bagaglio culturale. I giornali la fanno sognare… come i libri, più dei libri, e nel giro di poco tempo diventa collaboratrice della rivista “Natura ed arte”.
Nel 1900, mentre si trova a Cagliari, ospite di Maria Manca, direttrice della prima rivista femminile pubblicata in Sardegna “La Donna Sarda” e non più giovanissima, Grazia conosce e sposa l’anno seguente, l’impiegato statale Palmiro Madesani (marito moderno e illuminato!) trasferendosi a Roma dove risiederà per il resto della sua vita. Il matrimonio le consente di uscire finalmente dal culturalismo regionale sardo – da quella romantica sardità, ricchezza, ma anche grosso limite – e di aprirsi a una letteratura più ricca e più colta. A Roma conduce una vita tranquilla e appartata con il marito e i due figli , dedicandosi solo alla famiglia e all’attività letteraria, suscitando il plauso del pubblico e l’interesse della critica, conquistando la stima di grandi personaggi come Luigi Capuana, Giovanni Verga, Giuseppe Antonio Borghese e Renato Serra.
L’11 novembre 1909 ha inizio la sua collaborazione al “Corriere della Sera” che, con ben 169 titoli, durerà fino al 1936, seppure con lunghe pause dovute sia ai mutamenti e alle vicende della storia nazionale che alla volontà della stessa Deledda. Un’interruzione particolarmente lunga, tanto da configurare due periodi di collaborazione della scrittrice al “Corriere”, si verificò dal 1914 al 1923, quando per lo scoppio della prima guerra mondiale il quotidiano cominciò a riservare la terza pagina alla cronaca di guerra. La pubblicazione di novelle e racconti riprese solo nel luglio 1923; e con gli scritti della Deledda vi furono quelli di Pirandello, di Bontempelli e di Ada Negri.
Nel 1926, prima donna in Italia, Grazia Deledda riceve il Nobel per la Letteratura. Un premio che suscita scalpore per diversi motivi: la formazione culturale della Deledda, quasi esclusivamente autodidatta; la tematica delle sue opere profondamente legata al territorio; il fatto che fosse una donna e, non ultimo, l’atteggiamento della scrittrice, schivo e riservato, molto distante dall’ambiente italiano di quel periodo.
Grazia Deledda trascorre gli ultimi anni in una solitudine “fatta di lavoro e di pace” avendo la netta percezione di sentire i giorni “cadere come le gocce di una clessidra“, di pensare “alla vanità della vita e delle cose“, allo scandire dei giorni che si susseguono invariati, dei silenzi che succedono ai pensieri infiniti, ai sogni, agli sconforti. Muore il 15 agosto del 1936 per un tumore al seno e chiede per il suo funerale lo stesso abito rosso che aveva indossato per la premiazione a Stoccolma!
paola chirico