Tra storia e leggenda: l’amaro caso di donna “Sabella”.

 

 

CHIRICO 1

“Nun me chiamate cchiù ronna Sabella/ chiammàteme Sabella sbenturata./ Aggio perduto trentatre castella,/ la Puglia chiana e la Baselecata./ Aggio perduto la Salierno bella/ ch’é  lo strazio re sta’ resgraziata”.

Racchiuso in questi semplici e disperati versi, il lamento accorato e tragico di donna Sabella echeggia ancora tra le aspre terre del Cilento e si colora di mille episodi romantici sulla bocca dei vecchi che non si stancano di raccontare, con appassionato trasporto, una vicenda di antica e struggente bellezza..

Nata a Napoli nel 1503, figlia di Bernardo Villamarino, conte di Capaccio e Altavilla e Grande Ammiraglio del Regno, sposò, giovanissima, nel 1516, con il consenso del re Ferdinando II, il principe di Salerno e barone del Cilento, Ferdinando Sanseverino, detto Ferrante, uomo colto e generoso, spirito libero e battagliero, amante della giustizia e della libertà.

Insofferente al giogo spagnolo di Carlo V nell’Italia Meridionale, Ferrante fu, per lungo tempo, ma inutilmente, l’anima della rivolta contro il Vicerè di Napoli don Pedro de Toledo, il quale, di rimando, cercava in tutti i modi e con ogni mezzo, di distruggere la ricca e potente casata dei Sanseverino. Duramente perseguitato,  Ferrante fu costretto a riparare in Francia, accolto e protetto da Enrico II.

Rimasta sola, Isabella, donna intelligente e bellissima e moglie adorata e innamoratissima, per sfuggire alle “avances” sempre più pressanti ed insolenti di don Pedro, si ritirò nel suo bel castello di Velia, sulla mitica costa del Cilento, baronia dei Sanseverino, ove, in attesa di Ferrante, cercava conforto nella stupenda natura del luogo.

Un mattino, all’improvviso, un manipolo di armigeri corse ad avvertirla che si avvicinava alla costa una flottiglia di navi pirate  con il simbolo, tristemente noto nelle marine cilentane, della mezzaluna, Donna Sabella, senza perdersi d’animo, ben conoscendo la ferocia dei musulmani, ordinò che si passasse subito all’uso delle armi.

Dagli spalti del munito castello lo sbarramento di fuoco fu tale che alcune navi, colpite in pieno, colarono a picco. Tra queste l’ammiraglia che, mentre affondava, issò il vessillo dei Sanseverino.

Fu subito chiaro il tragico errore: don Ferrante aveva tentato di rientrare dalla Francia con un astuto stratagemma, per riabbracciare l’adorata consorte della quale non sopportava più la lontananza..

Donna Sabella, disperata, si lanciò dalla torre più alta del castello, ma la sua anima – come narra la leggenda – si incarnò in una civetta che, nelle sere d’estate, si aggira tra le mura dell’antico maniero e gli ulivi, sulla collina di Velia.

Fortunate le coppie, assicura ancora la tradizione popolare, che riescono ad ascoltarne il lamentoso canto.

                                                                                                       

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