Scoperta e lanciata poco più che ventenne da Leo Longanesi, incarnò un giornalismo colto e brillante, leggero e caustico, ironico e mai superficiale.
” Io sono una storica del costume, non una curiosità. I miei libri devono incuriosire, certo: ma resistere“. Così scriveva Irene Brinn, donna poliedrica, colta, affascinante e, purtroppo vittima in qualche modo di oblio (se non di indifferenza! ) che mi ha immediatamente sedotta. Il suo stile ha fatto epoca, la sua penna ha inventato un modo nuovo,tagliente e vagamente irriverente di fare giornalismo.
Molto conosciuta, ma invidiata perché donna, ha saputo carpire i pregi, ma anche i difetti di quella borghesia qualunquista, individualista e superficiale della quale lei stessa ne faceva parte. Grazie a lei, per la prima volta, gli articoli di costume vengono pubblicati non solo sulle pagine delle riviste o dei periodici femminili, ma anche su testate nazionali come il ” Lavoro di Genova”, “Il Tempo”, “Il Mattino”, “Harper’s Bazar”, “Il Corriere della Sera”, “Annabella”, “L’Europeo”.
Irene Brinn non è che uno dei tanti pseudonimi (se ne contano 15 o 20) usati dalla giornalista non per vezzo, ma per scoprirsi scrivendo. Il suo vero nome è Maria Vittoria Rossi. Nasce il 14 luglio del 1914 a Roma, ma vive la sua giovinezza a Genova. Suo padre, Vincenzo è un alto ufficiale del Re, sua madre Maria Pia è un’ebrea viennese, ma soprattutto una donna fuori dell’ordinario. Parla tre lingue, ama la lettura ed è molto ambiziosa. E Maria Vittoria, fin da bambina, non può che seguire l’esempio materno.
Nel 1926 non va più a scuola e inizia a studiare da autodidatta, seguita dalla madre. Ed è così che, a soli vent’anni, Maria Vittoria o Mariù, come la chiama il padre e più tardi affettuosamente l’amico Indro Montanelli, è una ragazza che parla cinque lingue, legge di continuo ed è innamorata di Proust. Ma oltre a questi amori per i libri e la conoscenza, sua madre le trasmette il senso e il valore dell’eleganza… insomma una sintesi di cultura e raffinatezza.
Negli anni Trenta, complici le restrizioni delle leggi fasciste, la “terza pagina” diventa lo spazio giusto per una donna che, come Maria Vittoria, vuole dedicarsi al giornalismo. L’esordio arriva nel 1932, quando Giovanni Ansaldo le chiede di scrivere sul “Lavoro di Genova” un pezzo inserito nella rubrica “Parentesi “firmato Marlene, il primo di una sequela di “nom de plume” che Maria Vittoria userà nel corso della sua carriera.
La prosa è forse immatura, ma si dimostra subito originale e briosa, brillante e divertente, con sequenza di bozzetti dove parlano i tic delle persone, il modo di indossare un cappello… un mondo di particolari che mettono in luce l’arguto spirito d’osservazione di Mariù e la sua abilità di trasmettere i mutamenti epocali vissuti dalla società del tempo.
Nell’aprile del 1937 Mariù sposa Gaspare Del Corso “che sarà marito, amico, consulente, socio in affari“. Nello stesso anno Leo Longanesi la chiama a Roma perché sta cercando validi collaboratori per il suo “Omnibus”, il primo rotocalco italiano. Il connubio tra la giornalista e il noto direttore sarà fondamentale per la formazione e la crescita della Brinn. A lui Irene non solo deve uno dei pseudonimi (quello di Irene Brinn) più amati e celebri, ma anche molta della sua arte. (altro…)