La storia di Enrichetta Caracciolo… monaca per forza, patriota per amore!

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La storia di Enrichetta, della nobile e potente famiglia dei Caracciolo di Napoli, è la storia di una monacazione forzata – come tantissime, a partire dal medioevo -, di una incredibile prevaricazione, ma anche di una ribellione ostinata  e di un meritato riscatto. La storia di una donna destinata a vivere in un’epoca in cui un articolo del Codice Civile consentiva ai genitori, se non di costringere le proprie figlie a prendere i voti, di rinchiuderle in istituti religiosi. Giovane, bella e intelligente, Enrichetta ha la sfortuna di nascere a Napoli nel 1821, durante l’ultimo regime dei Borboni. Alla morte improvvisa del padre, Fabio Caracciolo, maresciallo borbonico discendente dai principi di Forino, Enrichetta, ancora adolescente, viene affidata alla tutela della madre (Teresa Cutelli, gentildonna palermitana) che, avendo deciso di risposarsi, la manda in monastero contro la sua volontà, continuando in tal modo la radicata tradizione del “convento”come destino da cui era esclusa la primogenita.

Enrichetta, quinta di ben sette figlie, parte quindi alla volta del monastero di San Gregorio Armeno a Napoli, dove prende i voti nel 1841. Qui si scontra con la grettezza e la diffidenza di monache ignoranti e per lo più analfabete che le rendono la vita difficile tanto da pensare di evadere a tutti i costi.
Colta e amante degli studi, ben presto si procura la fama di “rivoluzionaria”comprando, senza nascondersi, i giornali dell’opposizione che legge ad alta voce nel convento approfittando della libertà di stampa concessa da Papa Pio IX. Incoraggiata dal clima di speranza riposta nel Papa liberale, nel 1846 presenta al pontefice la prima di una lunga serie di istanze per ottenere lo scioglimento dei voti o almeno una dispensa temporanea per motivi di salute… suppliche destinate purtroppo a naufragare per l’ostinata opposizione del nuovo arcivescovo di Napoli Sirio Riario Sforza (1810 – 1877), che nutre per Elisabetta un disprezzo profondo perché donna colta e non sottomessa. In convento la Caracciolo fa la sagrestana, respinge le proposte oltraggiose dei preti e, nel 1848, legge a voce alta la stampa liberale, diventando, di fatto, anticlericale e repubblicana. Ma allo scatenarsi della repressione borbonica, temendo ripercussioni per sé e la sua famiglia, preferisce dare fuoco alle sue memorie.

Nel frattempo autorizzata dal Papa, si trasferisce nel Conservatorio di Costantinopoli, ma Riario Sforza le impone, per ripicca, di lasciare in convento le argenterie e le pietre preziose ereditate dalle zie monache. Ma nemmeno a Costantinopoli Enrichetta ha vita facile: la badessa le sequestra i libri, tra cui alcuni scritti del Tommaseo e del Manzoni, le impedisce di suonare al pianoforte i brani di Rossini e di scrivere lettere o tenere un diario. Enrichetta, nonostante tutto, continua a inviare lettere, nascondendole nel cesto della biancheria sporca, grazie alla complicità di una domestica. Ma alcuni suoi scritti, pervenuti nelle mani di Riario Sforza, vengono inviati a Pio IX affinché non ceda alle suppliche di Teresa Cutelli (ora separata dal marito e riconciliatasi con la figlia) per la libertà di Enrichetta.

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Solo nel 1849, con il pretesto di alleviare i suoi cronici disturbi nervosi, Enrichetta può finalmente uscire con la madre per curarsi, ma, nel 1850, Riario Sforza non solo le nega una nuova licenza, ma la priva anche dell’assegno della sua dote di monaca. L’anno successivo, persa ogni speranza di ottenere una dispensa definitiva dai voti, fugge dal Conservatorio, e ancora una volta Riario Sforza la fa arrestare, nel 1851, mentre é ospite di una sorella e la fa condurre nel ritiro di Mondragone, dove rimarrà segregata per più di tre anni. Un periodo durante il quale tenta il suicidio, rifiuta il cibo e trascorre il tempo a leggere i pochi libri che le sono rimasti, ma ha la forza di resistere e, finalmente, il 4 novembre 1854, riesce a uscire e a proseguire la sua attività di patriota.

Entrata a tutti gli effetti nella cospirazione antiborbonica, fa ritorno a Napoli dove cambia in sei anni  diverse abitazioni per depistare la polizia e il  7 settembre 1860, nel duomo di Napoli, mentre Garibaldi assiste al Te Deum di ringraziamento per la fuga di Francischiello (Francesco II), Enrichetta depone sull’altare il suo velo nero di monaca  e stringe la mano all’eroe.

Le successive nozze di rito evangelico con il garibaldino napoletano Don Giovanni Greuther dei Duchi di Santa Severina inaugurano la sua seconda vita. Purtroppo il grande impegno politico profuso per i diritti femminili, il lavoro giornalistico e l’attività letteraria non le rendono giustizia e non stupisce affatto che nemmeno al termine della sua vita abbia ricevuto qualche riconoscimento ufficiale. Una vita non semplice, quella di Enrichetta Caracciolo… una vita scomoda, pagata a caro prezzo, ma all’insegna di un valore perseguito sempre e con ostinazione: la libertà!. Muore del tutto dimenticata all’alba del nuovo secolo (1901).

In riferimento agli avvenimenti del 1848 Enrichetta scrive: ” Al clamoroso risvegliarsi dei popoli, al tremendo ruggito delle rivoluzioni, allo strepitio delle barricate, al crollo dei troni, che tanto contrastava col sepolcrale silenzio del mio carcere, io provava una soddisfazione, uno strano contento che mi rapiva”. A tal riguardo emerge tutto l’impegno fattivo di un donna, di una patriota, di una cittadina che intende battersi per libertà e la Costituzione… se è vero che il Risorgimento non è stato soltanto cospirazione e lotta armata ma anche un processo di consapevolezza, di mobilitazione delle coscienze, di assunzione di nuovi modelli, la storia di Enrichetta merita di essere ricordata.

Paola Chirico

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